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La Quarta Sezione, con pronuncia in esame, ha enucleato il principio di diritto secondo cui “ai fini dell’applicabilità dell’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 prima ipotesi cod. pen., non è necessario prendere in esame l’oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l’imputato (prima del giudizio) abbia integralmente riparato il danno mediante adempimento delle obbligazioni risarcitorie e/o restitutorie che, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., trovano la loro fonte nel reato e se, qualora il risarcimento sia avvenuto ad opera di un terzo, l’imputato abbia manifestato una concreta volontà riparatoria”.

La Corte di appello di Napoli, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dichiarava la penale responsabilità di un imputato accusato del reato previsto dagli artt. 589, commi 2 e ult., c.p. e 140,141,143,146 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 per avere cagionato la morte del conducente di un’autovettura Skoda Fabia e del soggetto trasportato a seguito dell’invasione della corsia opposta di marcia, di pertinenza del veicolo dianzi indicato, con la propria autovettura Ferrari F149 California.

L’andatura del veicolo sportivo, in un tratto di strada ove il limite di velocità era di 50 km/h, era pari a 90 mentre quello della Skoda Fabia era di 40 km/h.

Durante il giudizio di merito, la velocità mantenuta dal conducente dalla Ferrari non è stata ritenuta consona rispetto al tratto di strada in questione e la condotta di guida è stata reputata non attenta e diligente.

La Suprema Corte accoglieva parzialmente il ricorso presentato dall’imputato con specifico riferimento alla dedotta inosservanza ed erronea applicazione della norma contenuta nell’ art. 62, comma 1, n. 6, prima parte, c.p. in relazione al diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno.

Il giudice di secondo grado aveva negato la compatibilità tra la circostanza attenuante prevista dalla norma contenuta nell’art. 62, n. 6, c.p. e il delitto di omicidio colposo trattandosi, nel caso di specie, di fattispecie produttiva della irreversibile distruzione del bene giuridico protetto dalla norma e, pertanto, tale da non consentire l’applicazione dell’invocata attenuante.

Ciò posto, secondo il Supremo Collegio, assume decisivo rilievo sottolineare la differenza intercorrente tra la circostanza attenuante invocata dalla difesa ossia la c.d. “riparazione totale del danno” e quella prevista dalla norma contenuta nell’art. 62, n. 6, c.p. ossia il c.d. “ravvedimento operoso”.

Difatti, la Quarta Sezione ha ribadito che “il parziale risarcimento del danno, inidoneo ad attenuare il reato secondo la prima ipotesi, non può essere valutato con riferimento alla seconda ipotesi, che inerisce alle conseguenze diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile e riguarda la lesione o il pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata” (cfr. Sez. 3, n. 31841 del 02/04/2014, C., Rv. 260290 – 01; Sez. 1, n. 27542 del 27/05/2010, Galluccio, Rv. 247710).

Pertanto, l’attenzione si focalizza sulla sola ipotesi della attenuante della “riparazione totale del danno”.

Preliminarmente, devesi rilevare la differenza intercorrente tra la predetta attenuante e quella prevista dalla norma contenuta nell’art.  62, n. 4, c.p. si fonda sul fatto che la prima è limitata a determinati reati – ossia quelli contro il patrimonio “o connotati da un particolare elemento soggettivo (motivi di lucro)” – e sul fatto che il dettato normativo non prevede “alcun vincolo di identità nella prima, a differenza di quanto avviene nella seconda (danno cagionato alla persona offesa dal reato), tra persona offesa e danneggiato”.

In tal senso, assume peculiare rilievo quanto stabilito dalle Sezioni Unite che, con la pronuncia n. 145 del 29/10/1983), occupandosi della applicabilità della circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, c.p. ai reati contro la fede pubblica avevano statuito che “solo l’art. 62 n. 4 cod. pen., richiamandosi al concetto di patrimonio nella sua duplice funzione di oggetto giuridico della tutela penale e di oggetto del danno risarcibile, avesse riguardo a quei reati dalla lesione del cui oggetto giuridico discende un danno patrimoniale, rendendo doveroso, al fine di verificare l’applicabilità di questa circostanza, effettuare un’indagine circa l’oggettività giuridica dei reati contemplati”.

Invece, “la circostanza di cui all’art. 62 n.6 cod. pen. attiene non già al patrimonio e all’offesa che può derivare ai reati che ad esso si ricollegano ma, genericamente, al danno che può derivare (indipendentemente dall’offesa al bene giuridico protetto) da qualsiasi reato, sicché questa circostanza è del tutto svincolata dall’oggettività giuridica del reato rispetto al quale se ne prospetta l’applicazione e non implica, perciò, la necessità di alcuna indagine in proposito” (orientamento condiviso anche da Sez. U, n. 46982 del 25/10/2007, Pasquini, Rv.237855).

La successiva pronuncia del 1991 delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 1048 del 6/12/1991, dep. 1992, Scala, Rv.189183), soffermandosi sulla correlazione sussistente tra le obbligazioni civili restitutorie e risarcitorie previste dalla norma contenuta nell’art. 185 c.p., aveva sottolineato “la distinzione tra evento del reato e danno, chiarendo che ciò che effettivamente rileva ai fini dell’applicazione dell’attenuante è il danno cagionato dal reato, che nel suo significato più proprio è quello giuridicamente considerabile, cioè quello per cui è data l’azione di risarcimento, e non piuttosto l’evento costitutivo del reato, consistente nella lesione o messa in pericolo di interessi non valutabile economicamente: così escludendo, conseguentemente, l’incompatibilità dell’attenuante in oggetto con i reati cosiddetti plurioffensivi, in ragione del fatto che il requisito dell’avere interamente riparato il danno non può concernere valori disomogenei ma esclusivamente il danno che, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., è suscettibile di essere eliminato nelle forme e con i mezzi previsti dalle leggi civili mediante le restituzioni e il risarcimento”.

Pertanto, il “solco” tracciato dalle pronunce dianzi indicate ha trovato ulteriore conferma nella successiva pronuncia n. 5941 del 22/01/2009 che, occupandosi in ordine alla possibilità di applicare detta attenuante anche ai concorrenti nel reato, ha stabilito che “nei reati colposi, il criterio di ragionevolezza impone di rilevare la condotta riparatoria, per una visione socialmente adeguata del fenomeno, anche nell’aver stipulato un’assicurazione o nell’aver rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivati dall’attività pericolosa”.

Sulla scorta dei principi dianzi indicati, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato come sia fondamentale rimarcare l’importanza della “componente soggettiva” della attenuante ex art. 62, n. 6, c.p., in caso di risarcimento effettuato da parte di un soggetto diverso dall’imputato in favore della persona offesa o danneggiata dal reato.

Difatti, ai fini del riconoscimento della attenuante dianzi indicata, non è sufficiente che tale soggetto abbia rapporti contrattuali o personali con l’imputato o i concorrenti (o coobbligati solidali) a tal punto da giustificare l’intervento del primo (terzo estraneo al reato) in favore del reo per risarcire, in nome di quest’ultimo, il danno da egli cagionato.

Difatti, è pur sempre “necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all’adempimento” (cfr. Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep.2018, M.V., Rv. 271969 – 01).

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte ha reputato fondata la censura del ricorrente non condividendo l’assunto del giudice di secondo grado secondo cui la predetta attenuante si porrebbe in una posizione di incompatibilità con il delitto di omicidio colposo.

Pertanto, sulla scorta di tali considerazioni, la Quarta Sezione ha reputato necessario enucleare il principio di diritto secondo cui “Ai fini dell’applicabilità dell’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 prima ipotesi cod. pen., non è necessario prendere in esame l’oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l’imputato (prima del giudizio) abbia integralmente riparato il danno mediante adempimento delle obbligazioni risarcitorie e/o restitutorie che, ai sensi dell’art. 185 cod. pen., trovano la loro fonte nel reato e se, qualora il risarcimento sia avvenuto ad opera di un terzo, l’imputato abbia manifestato una concreta volontà riparatoria.

L’impugnata sentenza veniva, dunque, annullata e disposto il rinvio per un nuovo giudizio, davanti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, limitatamente al punto concernente il mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, prima parte, c.p..

 

Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 9180/2024

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