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La Terza Sezione, con la sentenza in esame, ha statuito che “l’art. 10-quater non richiama espressamente, a fini definitori dei “crediti inesistenti”, il citato art. 13. (…) Questo, da un lato, ha diversificato la reazione sanzionatoria penale in caso di indebita compensazione di crediti non spettanti (primo comma dell’art. 10-quater) o di crediti inesistenti (secondo comma); dall’altro ha modificato proprio l’art. 13 del  D.Igs. 471/1997, estrapolando, dall’originaria indistinta fattispecie sanzionatoria dell’omesso versamento, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, dei versamenti in acconto, dei versamenti periodici, del versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, le specifiche condotte di “utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute”, fornendo, al contempo, la definizione di “crediti inesistenti” nei termini specificati dal comma 5 della norma (così Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022, I2v. 283236). (…) Il mancato richiamo dell’art. 13 nella fattispecie penale di indebita compensazione costituisce un forte argomento a sostegno della inapplicabilità della definizione di “credito inesistente” contenuta nella normativa tributaria”.

La Corte di appello di Milano, confermando la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale della medesima città, condannava l’imputato poiché ritenuto responsabile del reato di indebita compensazione di crediti inesistenti.

Ciò posto, l’imputato, impugnando la ridetta sentenza, lamentava l’avvenuta violazione di legge in relazione all’art. 10 quater, comma 2, D.Igs. n. 74 del 2000 e vizio di motivazione non avendo i giudici di secondo grado valutato correttamente gli atti di indagine (trattavasi di procedimento svolto con le forme del rito abbreviato) dai quali non era, pertanto, possibile desumere la consapevolezza, in capo al ricorrente, dell’indebito utilizzo di crediti di imposta inesistenti.

In tal senso, secondo il ricorrente, non poteva ravvisarsi, nel caso di specie, un credito inesistente (il quale può definirsi tale “solo qualora lo stesso sia effettivamente non reale”), ma solo un credito c.d. non spettante.

La Suprema Corte dichiarava infondato il motivo rappresentando che, “a seguito della riforma operata con il D.Igs. n. 158 del 2015, la rilevanza penale dell’indebita compensazione varia a seconda che si tratti di “crediti inesistenti” o di “crediti non spettanti” ”.

Di tal che, secondo il Supremo Collegio, diviene essenziale la distinzione intercorrente tra i medesimi crediti posto che “parte della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, si v. Sez. 3, n. 16353 del 21/02/2023, Grandi, non massimata), afferma che, ai fini della configurabilità del delitto in esame, per credito “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario (v. anche Sez. 3, n. 36393 del 07/07/2015, Rv. 265014)”.

Orbene, dalla disamina contenutistica della sentenza n.  16353/2023 risulta necessario “interpretare la locuzione “crediti inesistenti”, contenuta nel comma 2  dell’art. 10-quater del DLgs. 74/2000, alla luce dell’art. 13 del D.Igs. 471/1997, e cioè richiamando “una definizione volta ad escludere, dal novero dei crediti inesistenti, quelli per i quali la mancanza del presupposto costitutivo non era riscontrabile attraverso i controlli automatici previsti dalla normativa tributaria“.

Ciò posto, la ridetta sentenza ha dato, però, seguito a un diverso indirizzo interpretativo secondo cui è “applicabile alla sola materia degli illeciti di natura amministrativa la definizione dell’art. 13 del D.Igs. 471/1997, imperniata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del presupposto costitutivo dei crediti medesimi, e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e all’art. 54-bis del DPR 633/72”.

Orbene, il dato essenziale che è possibile desumere dalla disamina contenutistica della norma contenuta nell’art. 10 quater è che tale articolo “non richiama espressamente, a fini definitori dei “crediti inesistenti”, il citato art. 13 anche se costituisce un dato inequivocabile (…) che entrambe le norme sono state modificate dal medesimo D.Igs. 158/2015”.

Di tal che devesi evidenziare che se, da una parte, il ridetto decreto legislativo ha condotto a una diversificazione del trattamento sanzionatorio in caso di indebita compensazione di crediti non spettanti (primo comma dell’art. 10-quater) o di crediti inesistenti (secondo comma), dall’altra “ha modificato proprio l’art. 13 del D.Igs. 471/1997, estrapolando, dall’originaria indistinta fattispecie sanzionatoria dell’omesso versamento, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, dei versamenti in acconto, dei versamenti periodici, del versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, le specifiche condotte di “utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute”, fornendo, al contempo, la definizione di “crediti inesistenti” nei termini specificati dal comma 5 della norma (così Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022)

Di conseguenza, la omessa indicazione dell’art. 13 all’interno della fattispecie criminosa di indebita compensazione costituisce un punto di riferimento interpretativo per ritenere non applicabile la definizione di “credito inesistente” contenuta nella normativa tributaria.

Pertanto, seguendo “una tesi differente e “ampliativa”, nella stessa disposizione convivrebbero irragionevolmente due diversi presupposti della medesima condotta: nel caso di utilizzazione di crediti non spettanti, non sarebbe richiesto il requisito della loro facile rilevabilità a seguito di uno dei controlli citati; nel caso di compensazione con crediti inesistenti, tale requisito sarebbe invece richiesto, “con l’ulteriore, assurda conseguenza che la condotta più grave avrebbe un margine di applicazione (in conseguenza di presupposti non richiesti in caso di crediti non spettanti) addirittura meno ampio di quella meno grave”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte rigettava il ricorso.

 

Cass. Pen. Sez. III, sent. N. 6 Anno 2024

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