La Corte, con il pronunciamento in esame, ha ribadito la rilevanza del principio di diritto stabilito da Sez. 1, n. 2819 del 15/06/1992, Piromalli, Rv. 191345 secondo il quale “la potestà punitiva dello Stato, che l’esecuzione della pena attua con la costrizione del condannato, ha un limite costituito dalla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo (art. 32 Cost.), che neppure la generale inderogabilità dell’esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità fisica del soggetto (art. 147, comma primo n. 2, cod. pen.), finisca col costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione. Nella motivazione del potere di rinvio di esecuzione della pena, il giudice di merito deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) con quelli della tutela della salute (art. 32 Cost.) e del senso di umanità (art. 27 Cost.) che deve caratterizzare l’esecuzione della pena, per modo che in sede di legittimità se ne possa valutare la correttezza e la completezza”.
La Suprema Corte ha annullato, in accoglimento del ricorso proposto dalla difesa, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo con la quale detto organo giudicante aveva respinto l’istanza di differimento dell’esecuzione, anche nelle forme della detenzione domiciliare, stante il grave stato di infermità in cui versava il condannato-istante (trattavasi, nel caso di specie, di detenuto “affetto da insufficienza renale cronica terminale in trattamento dialitico trisettimanale, ipertensione arteriosa, diverticolosi del sigma e del colon, ipertrofia prostatica. (Lo stesso) risulta in lista di attesa per trapianto renale; (…) di recente ricoverato in ospedale per frattura del femore sinistro, ed ora (deambulante) con girello, spostandosi tre volte alla settimana in ospedale per le sedute dialitiche. Era stata segnalata una temporanea incompatibilità con la restrizione inframuraria a causa delle barriere architettoniche dell’istituto”).
Orbene, il Tribunale di Sorveglianza rilevava che la sussistenza di un elevato indice di pericolosità sociale attesa l’evasione commessa dal condannato nel 2018 e il contenuto delle informazioni provenienti dai competenti organi di controllo statali ostavano alla concessone del richiesto differimento dell’esecuzione della pena.
Ciò posto, il ricorrente, impugnando la suindicata ordinanza, lamentava violazione di legge con riferimento all’art. 47 ter, comma 1 ter, L. n. 354 del 1975 e vizio di motivazione avendo il Tribunale di sorveglianza rigettato l’istanza formulata nell’interesse del condannato “nonostante la presenza di gravi motivi di salute da ritenere incompatibili con il regime carcerario”.
Difatti, il ricorrente, nel corpo del relativo atto di gravame, rilevava:
- che l’ordinanza, emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo, si era soffermata sul profilo personologico del condannato e sui titoli di reato in espiazione procedendo a una motivazione apparente in ordine al diniego dell’invocato differimento dell’esecuzione della pena (pur ricorrendone i presupposti ex lege) e la medesima (ossia l’ordinanza) risultava scollegata rispetto agli esiti afferenti l’attuale stato di salute del medesimo;
- che il dirigente sanitario dell’istituto di reclusione aveva attestato la temporanea incompatibilità del detenuto con la struttura carceraria trattandosi di soggetto in gravi condizioni di salute, quasi ottantenne e sottoposto a dialisi tre volte a settimana;
- che, difatti, la grave situazione patologica aveva determinato la restrizione del ricorrente, durante l’intero processo, attraverso la applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari;
- che “la ritenuta compatibilità perorata dai giudici della sorveglianza” confliggerebbe con la documentazione fornita dall’Area sanitaria presso la casa circondariale ove il condannato trovavasi ristretto.
Il Supremo Collegio reputava il ricorso fondato sulla base delle seguenti argomentazioni di carattere giuridico.
Preliminarmente, secondo la Suprema Corte, devesi evidenziare che “è principio recepito che il giudice chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo con riguardo sia all’astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza del livello di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto, valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico” (cfr. Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018, Acampa, Rv. 273699; n. 55049 del 07/06/2017, Levi, Rv. 271891).
Pertanto, la concessione del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena in caso di sussistenza di una situazione di grave infermità è subordinata a un’attenta valutazione della gravità dello stato di salute del condannato il quale deve essere inteso “come patologia implicante un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti tali da non poter essere praticati in regime di detenzione inframuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354” (cfr. Sez. 1, n. 37216 del 05/03/2014, Carfora, Rv. 260780; Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Nobile, Rv. 276413).
Ciò posto, devesi ulteriormente evidenziare che la valutazione della gravità dello status patologico del soggetto ristretto, in regime inframurario, impone in capo al decidente l’obbligo di bilanciare una serie di diritti costituzionalmente tutelati quali il divieto di trattamenti disumani (art. 27 Cost.), il principio di legalità della pena (art. 25 Cost.) e il diritto alla salute (art. 32 Cost.) rispetto all’esigenza di certezza dell’esecuzione della pena e l’eguaglianza di fronte alla legge (art. 3 Cost.).
Di tal che, la gravità della patologia non può costituire, in alcun modo, una forma ulteriore di intollerabile sofferenza durante la detenzione (cfr. Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Nobile, Rv. 276413 “Ai fini dell’accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 147, comma primo, n. 2, cod. pen. non è necessaria un’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario”).
E, ancora, “non è sufficiente che l’infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale” (cfr. Sez. 1, n. 39595 del 29/5/2018, Rondinone, n.m.).”
Difatti, la protrazione dello stato detentivo non può e non deve costituire un fattore di probabile aggravamento di patologie già in atto incombendo, in capo al giudice, una attenta valutazione della situazione patologica e l’obbligo di evitare situazioni che si pongano in conflitto con quanto stabilito dalla norma contenuta nell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cfr. Sez. 1, n. 30945 del 5.7.2011, Vardaro, Rv. 251478; Sez. 1, in. 22373 del 85.2009, Aquino, Rv. 244132; Sez. 1, n. 16681 del 24.1.2011, Rv. 249966; Sez. 1, n. 32405 del 23.2.2017, Farinella, Rv. 270585, in tema di proroga del regime differenziato).
Infine, come chiaramente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità “la potestà punitiva dello Stato, che l’esecuzione della pena attua con la costrizione del condannato, ha un limite costituito dalla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo (art. 32 Cost.), che neppure la generale inderogabilità dell’esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità fisica del soggetto (art. 147, comma primo n. 2, cod. pen.), finisca col costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione. Nella motivazione del potere di rinvio di esecuzione della pena, il giudice di merito deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) con quelli della tutela della salute (art. 32 Cost.) e del senso di umanità (art. 27 Cost.) che deve caratterizzare l’esecuzione della pena, per modo che in sede di legittimità se ne possa valutare la correttezza e la completezza (Sez. 1, n. 2819 del 15/06/1992, Piromalli, Rv. 191345)”.
Pertanto, il giudice deve valutare e verificare se le condizioni di salute del condannato (le quali richiedono un attento, rigoroso e specifico esame) possono essere tutelate, in modo adeguato, all’interno del carcere o in centri clinici penitenziari e, soprattutto, se le ridette condizioni siano compatibili o meno con il principio (costituzionalmente previsto) di rieducazione della pena nel pieno rispetto di quel trattamento conforme al senso di umanità, alla durata della pena e all’età del condannato in rapporto alla pericolosità sociale del medesimo.
Conclusivamente argomentando, il Supremo Collegio ha annullato con rinvio l’impugnata ordinanza rappresentando l’omessa valutazione, da parte del Tribunale di Sorveglianza, degli “elementi decisivi in ordine alle condizioni di salute del condannato” non avendo il giudice della sorveglianza proceduto non procedendo ad un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco e avendo, conseguentemente, abdicato in ordine “alla necessità di approfondire la situazione sanitaria del ricorrente, che allo stato sembra avere determinato una condizione di incompatibilità alla detenzione, sia pure ritenuta transeunte”.
Cass. pen., sez. I, ud. 13 dicembre 2023 (dep. 8 gennaio 2024), n. 510
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