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La Legge 168/2023 (entrata in vigore in data 9/12/2023) si inserisce nell’ambito della normativa in materia di violenza sulle donne.

Il Legislatore italiano ha iniziato una serie di interventi volti a stabilire una vera a propria strategia per combattere la violenza nei confronti delle donne a partire dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (nota anche come Convenzione di Istanbul- sottoscritta dall’Italia il 27/9/2012).

Il trattato si proponeva di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità dei colpevoli, come primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in grado di costruire un quadro strutturale completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza intesa come violazione dei diritti umani e forma di discriminazione.

La Convenzione era il primo trattato internazionale a contenere una definizione di genere definito come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” (art. 3, lett. c).

Inoltre, il trattato stabiliva una serie di delitti caratterizzati da violenza contro le donne, da eventualmente includere nella legislazione statale interna ove non espressamente previsti (come: la violenza psicologica (art. 33); gli atti persecutori – stalking (art. 34); la violenza fisica (art. 35), la violenza sessuale, compreso lo stupro (art. 36); il matrimonio forzato (art. 37); le mutiliazioni genitali femminili (art. 38), l’aborto forzato e la sterilizzaizone forzata (art. 39); le molestie sessuali (art. 40).

Il legislatore italiano ratificava il trattato internazionale con la Legge n. 77 del 2013 introducendo una serie di interventi in attuazione della Convenzione.

Ma le prime modifiche al sistema penale si manifestavano con il decreto Legge n. 93 del 2013 che prevedeva una serie di obiettivi di prevenzione dei reati, di protezione delle vittime e di inasprimento delle pene per i reati di genere, da conseguire anche mediante l’adozione periodica dei cd. Piani d’azione contro la violenza di genere.

Nel 2019, la legge n. 69 nota anche con il termine di “codice rosso” dava attuazione a molti principi ispiratori della Convenzione di Istanbul.

In particolare: sul versante processuale, venivano attivate specifiche procedure per diversificare e velocizzare il conseguente procedimento penale; mentre in ambito sostanziale, si introducevano alcuni nuovi reati e si inasprivano le pene di delitti già esistenti (come maltrattamenti contro familiari e conviventi, atti persecutori, violenza sessuale in danno di minori ed altro).

Infine, la legge n. 122 del 2023, nel riprendere e potenziare la procedura per i procedimenti per i delitti di violenza domestica e di genere, imponeva l’obbligo per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

 

  1. La Legge 168/2023.

L’ultimo intervento del legislatore intende affrontare i dati relativi al quadriennio 2019-2022 in cui si rileva un tendenziale incremento delle fattispecie di reato della violenza di genere.

Gli omicidi di donne sono costantemente aumentati pur mostrando una linea di crescita minore rispetto a quelli degli omicidi volontari.

Ma il dato estremamente significativo viene rappresentato dall’ambito familiare/affettivo in cui tali reati vengono realizzati.

Si tratta di contesti in cui le vittime sono di sesso femminile e subiscono violenza da soggetti con legami affettivi (partner o ex partner).

Nell’anno 2023 si è registrato uno spiccato aumento del fenomeno del cd. femminicidio tale da stimolare il Legislatore ad intervenire per rafforzare la Legge 69/2019 (cd. codice rosso) ed introdurre nuove forme di tutela, e protezione, per le donne vittime di violenza.

L’Italia è stata più volte condannata dai giudici di Strasburgo per violazione degli artt. 2,3,14 della Convenzione Edu, e l’inerzia delle autorità italiane dinanzi alle reiterate denunce delle vittime di violenza familiare costituisce un serio problema per gli epiloghi spesse volte tragici.

E’ stata segnalata l’inidoneità del sistema a salvaguardare le vittime ed i minori per i reati di violenza evidenziando la necessità dell’introduzione di nuovi strumenti giuridici volti alla prevenzione ed alla repressione di tali reati.

Le linee di tendenza del legislatore della riforma riguardano tre essenziali obiettivi: a) prevenzione; b) protezione; c) punizione.

In tema di prevenzione, si evidenzia la necessaria formazione, nella pubblica opinione, del ruolo e della funzione della donna al fine di evitare la costruzione di stereotipi sessisti violenti, nonché la nascita di figure professionali specializzate in grado di supportare le donne vittime nel percorso di recupero.

In relazione alla protezione, si auspica la totale presa in carico della donna -vittima di violenza- con il potenziamento degli strumenti esistenti e la creazione di nuovi programmi specie per le donne vittime di discriminazione multipla (migranti, richiedenti asilo e rifugiate).

In ordine alla punizione, si prevede la costruzione di un procedimento penale che consenta un’efficace e rapida gestione del rischio di lesione al bene giuridico tutelato, con diversificazione dei meccanismi per l’applicazione di misure cautelari e della sospensione condizionale della pena.

 

  1. Gli interventi sul rafforzamento delle misure in tema di ammonimento e di informazione alle vittime.

            La prima importante novità riguarda l’inserimento dei fatti riconducibili a reati consumati o tentati di violenza privata (art. 610 c.p.), di minaccia aggravata (art. 612 secondo comma c.p.), di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il cd. revenge porn (art. 612 ter c.p.), di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e di danneggiamento (art. 635 c.p.) nell’ambito dell’applicabilità della misura di prevenzione dell’ammonimento d’ufficio del questore (art. 3 Decreto Legge n. 93 del 2013).

La nozione di violenza domestica viene estesa anche ad uno o più atti gravi, ovvero non episodici, anche in presenza di minorenni che diventa un ulteriore autonomo elemento idoneo ad integrare tale requisito (art. 3 Decreto Legge n. 93 del 2013).

Per alcuni sopracitati reati, oltre all’ammonimento d’ufficio, il questore dovrà procedere alla comunicazione della notizia di reato alla competente Procura della Repubblica trattandosi di analoga procedibilità circa l’esercizio dell’azione penale.

I casi di violenza privata (art. 610 c.p.), di minaccia aggravata (art. 612 secondo comma c.p.), di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e di danneggiamento (art. 635 c.p.) sono inseriti anche nella parte in cui è previsto il sostegno alle vittime di condotte di violenza domestica o sessuale.

Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche, che ricevono dalla vittima notizia dei reati sopra citati, hanno l’obbligo di informare la stessa sui centri antiviolenza presenti sul territorio ed in particolare nella zona di residenza, nonché metterla in contatto con i medesimi, ove se ne faccia espressamente richiesta (art. 3 comma 5 Decreto Legge n. 93 del 2013).

Il legislatore della riforma, inoltre, inserisce tre rilevanti commi (5 ter, 5 quater, 5 quinquies) all’art. 3 del Decreto Legge n. 93 del 2013.

Con il primo (comma 5 ter) si stabilisce che i provvedimenti di ammonimento emessi dal questore possono essere revocati non prima che siano decorsi tre anni dalla loro emissione, valutata la partecipazione del soggetto ad appositi percorsi di recupero presso gli enti antiviolenza.

Si tratta di un efficace intervento che condiziona la revoca dell’ammonimento al decorso del tempo e soprattutto al percorso di rieducazione il soggetto ammonito.

Lo scopo è quello di monitorare l’effetto del provvedimento per capire se ne abbia realmente conseguito il risultato mediante l’esito del percorso di formazione dell’ammonito.

Con il secondo (comma 5 quater) si prevede un aumento di pena per i reati di cui agli articoli 581 c.p. (percosse), 582 c.p. (lesione personale), 610 c.p. (violenza privata), 612 comma 2 c.p. (minaccia aggravata), 612 bis c.p. (atti persecutori), 612 ter c.p. (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti), 614 c.p. (violazione di domicilio) e 635 c.p. (danneggiamento), nei casi in cui il fatto è commesso da persona già ammonita, anche se la persona offesa è diversa da quella per cui la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento nell’ambito di violenza domestica.

La disposizione in questione rappresenta una circostanza aggravante soggettiva speciale, ed anche se non espressamente indicato, ad effetto comune (consentendo l’aumento della pena fino ad un terzo).

Con il terzo (comma 5 quinquies) si introduce la procedibilità di ufficio per i reati suscettibili di ammonimento, precedentemente procedibili a querela, se commessi nell’ambito di violenza domestica da soggetto già ammonito.

Anche in questo caso si evidenzia come la disposizione sia applicabile nei confronti della vittima persona diversa da quella per la quale tutela è stato adottato il provvedimento.

Il legislatore della riforma tende a svincolare il procedimento penale dalla volontà della persona offesa, spesso volubile, statuendone la procedibilità di ufficio.

Viene inserito anche un inedito art. 3.1 nel Decreto Legge n. 93 del 2013 che impone all’organo di polizia, che procede per fatti riconducibili ai reati di cui all’art. 362 comma 1 ter c.p.p. commessi nell’ambito di violenza domestica, qualora rilevi l’esistenza di concreti e rilevanti elementi che prefigurino il pericolo di reiterazione delle condotte, la comunicazione al prefetto affinché questi possa adottare a tutela della persona offesa le adeguate misure di vigilanza dinamica (da sottoporre a revisione trimestrale).

La finalità di tale importante novella risiede nel fatto che la persona possa essere adeguatamente protetta da eventuali ulteriori condotte violente.

L’ingravescenza del fenomeno criminoso, come emergente dalle citate statistiche, necessita di essere arginato anche con la particolare tutela preventiva per le vittime di violenza domestica (art. 3.1 Decreto Legge n. 93 del 2013).

Il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612 ter c.p.) viene inserito accanto a quello di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) per l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’ammonimento di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 11 del 2009.

Si prevede un aumento della pena per i medesimi reati quando il fatto è commesso da soggetto già ammonito anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento, e la conseguente procedibilità di ufficio quando il fatto è stato commesso da soggetto ammonito con le stesse estensioni precedenti sulla diversità della persona offesa.

Infine, anche l’art. 11 del decreto legislativo n. 11 del 2009 viene parzialmente ritoccato con l’introduzione del compito per le forze dell’ordine, dei presidi sanitari e le istituzioni pubbliche, di fornire indicazioni alle vittime sui centri antiviolenza presenti sul territorio ampliandone l’applicabilità anche al reato di omicidio.

 

  1. Il potenziamento delle misure di prevenzione.

Il legislatore della riforma si occupa anche di apportare alcune modifiche alla materia delle misure di prevenzione.

Lo scopo principale è sempre quello di rafforzare lo strumento di prevenzione applicato nei confronti di particolari categorie di soggetti e di renderlo sempre più funzionale alla concreta possibilità di scongiurare episodi di violenza di genere nell’ambito domestico.

La novella essenziale attiene, pertanto, all’estensione dell’applicabilità della misura di prevenzione personale anche a soggetti indiziati dei delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 575 (omicidio), 583 nelle ipotesi aggravate dall’art. 577, primo comma numero 1 e secondo comma, 583- quinquies (deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso) e 609 bis (violenza sessuale) del codice penale (cfr. art. 4 comma 1 lett. i-ter L. 159/2011).

L’annosa questione della disponibilità dei dispositivi preposti ai fini della verifica degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale, con il consenso dell’interessato, viene risolta mediante l’accertamento della fattibilità tecnica (cfr. art. 6 comma 3 bis L. 159/2011).

Il richiamo testuale all’art. 275 bis del codice di procedura penale rimane inalterato, e così l’utilizzo dei mezzi di mezzi elettronici o di altri strumenti tecnici nella disponibilità della polizia giudiziaria.

Ed infatti, viene introdotta una speciale disposizione proprio nei casi in cui la misura della sorveglianza speciale sia applicata con le modalità di controllo elettronico ex art. 275 bis c.p.p.

Il cd. braccialetto elettronico, con il consenso dell’interessato e la relativa verifica della fattibilità tecnica, diventa strumento effettivo per sorvegliare l’indiziato dei gravi reati di genere.

Se l’interessato nega il consenso, la durata della misura di prevenzione non è inferiore a tre anni con obbligo di presentazione periodica all’autorità di pubblica sicurezza con cadenza almeno bisettimanale e, salvo diversa valutazione, anche l’obbligo o il divieto di soggiorno.

La misura, quindi, diventa estremamente invasiva sia per durata che per natura, in grado di neutralizzare ogni reale, o recondita, volontà di commissione di fatti reato.

Inoltre, l’eventuale recalcitranza dell’interessato, manifestata mediante la manomissione dello strumento di controllo, viene ulteriormente stigmatizzata attraverso l’ulteriore aumento (non inferiore a quattro anni) della misura di prevenzione.

In caso di difficoltà alla fattibilità tecnica delle modalità di controllo elettronico, il legislatore della riforma stabilisce che sia il Tribunale a prescrivere l’obbligo di presentazione all’autorità di pubblica sicurezza con cadenza almeno bisettimanale e, salvo sempre diversa valutazione, anche l’obbligo o il divieto di soggiorno (cfr. art. 6 comma 3 ter L. 159/2011).

L’eventuale possibile lacuna nel contenuto del provvedimento del questore, circa la prescrizione del divieto di avvicinamento ai luoghi della denunciante, viene colmato dalla modifica normativa dell’art. 8 della L. 159/2011.

Infatti, con riferimento ai soggetti destinatari della misura di prevenzione per le categorie dei reati di cui all’art. 4 comma 1 lett. i-ter L. 159/2011, si prevede che il Tribunale imponga il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione e di mantenere una determinata distanza non inferiore a cinquecento metri da tali luoghi e da tali persone, salvo ulteriori modificazioni a causa di motivi di lavoro o altre comprovate esigenze.

L’ulteriore torsione della misura appare molto efficace specie nei casi, molto frequenti, in cui il sottoposto alla misura di prevenzione risiede in prossimità della denunciante.

In tale ottica, non poteva mancare la modifica per l’adozione della misura di prevenzione con la procedura d’urgenza.

Nel caso sia pendente il procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, e la proposta riguardi sempre i reati di cui all’art. 4 comma 1 lettera 1- ter), il Presidente del Tribunale, in costanza di motivi di particolare gravità, con decreto può disporre la temporanea applicazione delle precedenti prescrizioni unitamente alle modalità di controllo prevista dall’art. 275 bis c.p.p.

Analogamente nei casi di diniego del consenso e di non fattibilità tecnica, sempre il Presidente del Tribunale impone all’interessato di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza con cadenza bisettimanale fino a quando la misura di prevenzione non sia divenuta esecutiva.

La ratio è chiara, e si pone in assoluta sintonia con le esigenze rappresentate nella procedura ordinaria per l’applicazione della misura di prevenzione.

Unica questione da verificare, con l’applicazione pratica della disposizione, è quella di capire come, e soprattutto quando, debbano essere considerati i “motivi di particolare gravità” legittimanti i provvedimenti di urgenza.

La valutazione discrezionale, si ritiene, deve attraversare delle evidenze concrete, rappresentate da attività di indagine effettive (e possibilmente riscontrate), in grado di evidenziare il fumus richiesto dalla norma.

Non poteva mancare, infine, la previsione della sanzione penale per la violazione dei divieti agli obblighi ed alle prescrizioni conseguenti all’applicazione dei provvedimenti di urgenza delle misure di prevenzione.

Il contravventore è punito con la reclusione da uno a cinque anni, ed è consentito l’arresto anche fuori dai casi di flagranza (art. 75 bis comma 1- bis L. 159/2011).

La fattibilità tecnica dei mezzi elettronici e degli altri mezzi di controllo di cui all’art. 275 bis c.p.p. costituisce oggetto di monitoraggio annuale da parte del Ministero dell’Interno della pubblica sicurezza unitamente all’analisi criminologica della violenza di genere (art. 3 comma 3 DL 93/2013).

 

  1. Le misure in materia di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi.

Il Legislatore della riforma interviene sull’art. 132 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

La formazione dei ruoli di udienza per la trattazione di processi incontra priorità assoluta anche per i delitti previsti dagli articoli 387 bis c.p. (violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa); 558 bis c.p. (costrizione o induzione al matrimonio); 582 c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576 c.p. primo comma numeri 2,5 e 5.1, e 577 c.p. primo comma, numero 1 e secondo comma (lesioni personali aggravate), 583 -quinquies c.p. (deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso) , 593-ter c.p. (interruzione dello stato di gravidanza non consensuale); 612 ter c.p. (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti) e 613 terzo comma c.p. (stato di incapacità procurato mediante violenza laddove ricorrano le circostanze aggravanti ad effetto speciale e quindi il colpevole ha agito con il fine di far commettere un reato ovvero la persona resa incapace commette in tale stato un fatto previsto dalla legge come delitto).

Lo scopo di tale allargamento sulla priorità assoluta si giustifica in ordine alla gravità dei fatti incriminati ed alla necessaria rapida definizione del procedimento, in grado di evitare ulteriori condotte violente e l’eventuale immediata individuazione della responsabilità con annessa inflizione di pena.

 

  1. La trattazione spedita degli affari nella fase cautelare.

Parallelamente all’intervento per la formazione dei ruoli di udienza per la trattazione dei processi, il legislatore della riforma stabilisce che nei casi indicati dall’articolo 132 bis comma 1 lettera a-bis) delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, si debba assicurare priorità anche alla richiesta di misura cautelare personale ed alla decisione della stessa.

Si dispone che i dirigenti degli uffici adottino i relativi provvedimenti per consentire la rapida definizione dei procedimenti penali previsti con priorità assoluta.

 

  1. Le disposizioni in materia di attribuzioni del procuratore della Repubblica.

La rimodulazione della tipologia di reati per la costruzione di un binario differenziato in ordine alle misure cautelari, ed alla trattazione prioritaria dei procedimenti, determina anche un riassetto nell’abito delle attribuzioni investigative della Procura della Repubblica.

Si introduce la novella relativa all’articolo 1 del Decreto legislativo n. 106/2006 prevedendo la specializzazione degli uffici requirenti in materia di violenza di genere e domestica.

Come si menzionava in premessa, la Convenzione di Istanbul individuava tra i vari obiettivi anche quello della specializzazione di tutti gli operatori, tra questi anche le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri e le autorità incaricate dell’applicazione della legge.

In caso di delega, quindi, uno o più procuratori aggiunti, o uno o più magistrati, sono sempre specificatamente individuati per la cura degli affari in materia di violenza contro le donne e domestica (art. 1 comma 4 Decreto legislativo n. 106/2006).

La riforma consente di strutturare presso gli uffici della Procura della Repubblica un vero e proprio settore di esperti nella materia, in grado di poter meglio gestire ogni attività a partire dalla fase delle indagini, proseguendo per l’adozione di misure cautelari o proposte per le misure di prevenzione, e finire con la trattazione dello specifico procedimento penale.

 

  1. I termini per la valutazione delle esigenze cautelari.

            La diversificazione dei reati di violenza domestica e di genere provoca anche delle modifiche sul procedimento di applicazione delle misure cautelari.

Viene introdotto un inedito articolo 362 bis del codice di procedura penale che accelera sensibilmente la richiesta del pubblico ministero in ordine alla misura cautelare.

Entro trenta giorni dall’iscrizione della persona nel registro delle notizie di reato il rappresentante dell’ufficio di Procura deve richiedere la misura, ed il Giudice si deve pronunciare entro venti giorni dal deposito della mozione presso la cancelleria.

L’inciso “effettuate le indagini ritenute necessarie” pone non pochi problemi sia di interpretazione, sia di natura pratica.

Quali sono le indagini ritenute necessarie, nei casi dei reati di violenza domestica e di genere, non può ovviamente essere un’indicazione astratta.

E poiché il legislatore della riforma pone tale requisito come pre-condizione al fine di poter successivamente attivare la procedura rapida per la richiesta cautelare, si tratta di comprendere quale tipologia di attività possa essere ritenuta necessaria (in un termine ristretto di trenta giorni).

La risposta non può che rimettersi alla valutazione sul caso concreto, e cioè alla discrezionale capacità dell’inquirente di percepire ciò che è immediatamente necessario dopo l’iscrizione nel registro delle notizie di reato della persona verso cui si svolgono le indagini.

Tuttavia, proprio per la particolare modalità della richiesta urgente della misura, sarà auspicabile, in forza della formazione settoriale dell’ufficio, codificare le attività in modo da uniformare il contenuto di ogni eventuale richiesta da avanzare al Giudice.

La nuova norma non stabilisce cosa accade in caso in cui il pubblico ministero non rispetti il termine indicato (se non nella previsione di cui al nuovo articolo 127 bis comma 1 bis delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), e così anche nell’eventualità che lo stesso Giudice non effettui alcuna valutazione entro venti giorni dal deposito della richiesta.

 

  1. Le disposizioni in materia di rilevazione dei termini.

L’inosservanza del termine previsto dall’art. 362 bis del codice di procedura penale viene monitorato dal Procuratore generale presso la Corte di Appello che acquisisce i relativi dati statistici.

Tale previsione è contenuta nel comma 1 bis dell’art. 127 delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, che stabilisce una rilevazione trimestrale da inoltrare al Procuratore generale presso la Corte di Appello, il quale provvederà entro sei mesi ad inoltrare la sua relazione al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione.

Si tratta, al netto delle consuete considerazioni che vengono svolte quando si verte sulla redazione di relazioni, comunque di dati che controllano il regolare svolgimento dell’azione penale, nell’eventuale segmento cautelare.

Seppur lasciata all’attenzione dei vari uffici e, come spesso accade, alla minuziosa ricerca del personale della segreteria della Procura, la previsione della novella svolge comunque una funzione di pseudo-deterrenza in caso di superficiale gestione delle attività di indagini con conseguente imprudente omissione di richiesta di misura cautelare.

 

  1. Le modifiche degli effetti della violazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

L’articolo 387 bis del codice penale, precedentemente introdotto con la Legge 69/2019 (codice rosso), riguardante la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa viene ritoccato in ordine al trattamento sanzionatorio.

La forbice edittale della pena non è più da sei mesi a tre anni ma da sei mesi a tre anni e sei mesi.

L’aumento di sei mesi si giustifica unicamente con la matrice repressiva di tali condotte ed ha un valore simbolico poiché tende alla mera deterrenza circa l’eventuale reiterazione.

Inoltre, il legislatore della riforma introduce un ulteriore comma all’articolo 387 bis c.p. al fine di rendere sanzionabile anche la condotta di chi elude l’ordine di protezione contro gli abusi familiari di cui all’art. 342 ter primo comma del codice civile emesso dal giudice civile oppure un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale del coniuge o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Per effetto di tale modifica viene conseguentemente espunta dalla previsione dell’articolo 588 secondo comma del codice penale (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) l’indicazione relativo all’”ordine di protezione” ricadendo tale oggetto nella novella nel nuovo comma dell’articolo 387 bis c.p.

La ratio di tale intervento trova ampia spiegazione nell’ambito della politica criminale espressa dal legislatore in forza della quale l’ordine di protezione contro gli abusi familiari previsto dall’articolo 342 ter primo comma del codice civile sarebbe lesivo del bene giuridico dell’integrità fisica o morale del coniuge sicché sorgerebbe la necessità di pe-nalizzare tali condotte equiparandole a quelle stabilite per la violazione delle misure cautelari del divieto di avvicinamento o dell’obbligo di allontanamento.

 

  1. L’arresto in flagranza differita.

Il legislatore della riforma introduce nel codice di procedura penale l’art. 382 bis al fine di consentire l’arresto in flagranza differita nei casi di violazione del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari nonché di atti persecutori.

L’istituto della cd. flagranza differita era stato precedentemente inserito nel sistema penale dal D.L. 28/2003 per contrastare il fenomeno della violenza in occasione delle manifestazioni sportive e calcistiche e prevedeva che nei casi di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa delle manifestazioni sportive per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, quando non è possibile procedere immediatamente per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza colui il quale sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e comunque entro le quarantotto ore dal fatto.

Il decreto legge n. 53 del 2019 ha reso definitivo tale strumento anche per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose compiuti in presenza di più persone anche in occasioni pubbliche per i quali è obbligatorio l’arresto.

Il nuovo articolo 382 bis c.p.p. ricalca l’arresto in flagranza differita esattamente sulla base degli elementi sopra richiamati applicando alle fattispecie di cui agli artt. 387 bis c.p., 572 c.p., e 612 bis c.p..

La misura precautelare deve essere compiuta non oltre il tempo necessario all’identificazione dell’autore e sempre comunque entro le quarantotto ore dal fatto.

La ratio della modifica risiede sempre nell’ottica della prevenzione ed immediata repressione dei fenomeni violenti nell’ambito domestico.

 

  1. Le disposizioni in materia di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.

L’autonoma misura precautelare di cui all’articolo 384 bis c.p.p., prevista per i reati commessi in ambito familiare, viene ulteriormente potenziata.

La facoltà da parte degli agenti, e degli ufficiali di polizia giudiziaria, di disporre l’allontanamento urgente dalla casa familiare della persona colta in flagranza di reato per uno dei delitti indicati dall’articolo 282 bis comma 6 con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, viene allargato anche alle ipotesi al di fuori deli casi di flagranza.

Il nuovo comma 2 bis dell’articolo 384 bis c.p.p., presuppone che il pubblico ministero possa disporre con decreto motivato, dunque al di fuori della flagranza, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nei confronti della persona gravemente indiziata dei delitti di cui agli articoli 387 bis, 572, 582 , limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma numeri 2,5, e 5.1, e 577, primo comma, numero 1 e secondo comma, e 612 bis del codice penale o di altro delitto consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità della persona offesa e non sia possibile per la situazione di urgenza attendere il provvedimento del giudice.

Si tratta di una facoltà, immediatamente operativa, offerta al pubblico ministero che lo sgancia dalle ipotesi di flagranza del reato.

La misura dell’allontanamento dalla casa familiare viene applicata con urgenza non solo per i delitti tipici della violenza in ambito domestico ma anche in maniera indeterminata per ogni altra fattispecie di reato che determini una condotta grave ai danni della persona.

Le esigenze cautelari attengono ovviamente alla possibile reiterazione del reato che possa mettere in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità della persona offesa.

Come ogni provvedimento di urgenza, si prevede la regolare richiesta di convalida ed il successivo intervento del Giudice sulla correttezza dei presupposti applicativi.

Entro quarantotto ore dall’esecuzione del decreto, il pubblico ministero richiede la convalida al Giudice competente in relazione al luogo nel quale il provvedimento di allontanamento è stato eseguito.

La competenza per territorio si radica, pertanto, proprio nel luogo dove il provvedimento di urgenza produce i suoi effetti e dove, tendenzialmente, si forma il fascicolo dell’indagine.

In caso di inosservanza dei termini e delle formalità anzidette, il provvedimento di allontanamento di urgenza diviene inefficace, mentre in costanza di regolarità di procedura il giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive al pervenimento della richiesta del pubblico ministero fornendo avviso allo stesso ed al difensore del sottoposto alla misura.

 

  1. Il rafforzamento delle misure cautelari e dell’uso del braccialetto elettronico.

L’articolo 275 bis c.p.p. dedicato alle particolari modalità di controllo per le misure cautelari viene modificato in relazione ai mezzi elettronici utilizzati.

Se il Giudice ha prescritto l’applicazione del cd. braccialetto elettronico congiuntamente alla misura degli arresti domiciliari, la polizia giudiziaria deve accertare la fattibilità tecnica del dispositivo elettronico.

Inoltre, si stabilisce la revoca della misura non solo nel caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanamento dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, ma anche in caso di manomissione dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo di cui all’articolo 275 bis anche quando applicati ai sensi degli articoli 282 bis e 282 ter c.p.p.

La ratio si spiega nella prospettiva di dare concreta efficacia al mezzo elettronico, e di fornirne significato proprio nei confronti del soggetto a cui è applicato.

La misura dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis c.p.p. viene ulteriormente potenziata al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 anche con le modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.p., quando si procede per il delitto di tentato omicidio, e di deformazione mediante lesioni permanenti al viso, ed in aggiunta con la prescrizione di mantenere una distanza comunque non inferiore a cinquecento metri dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro, in tale caso il Giudice prescrive la relative modalità e può imporre limitazioni.

Se l’interessato nega il consenso all’adozione della modalità di controllo, il Giudice può disporre una misura più grave con lo stesso provvedimento che dispone l’allontanamento.

Il potere del Giudice si dirige anche verso misure più gravi quando l’organo delegato per l’esecuzione dovesse accertare la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo.

Le integrazioni alla norma esistente rappresentano l’ulteriore sforzo da parte del legislatore di voler impedire qualsiasi contatto tra la persona offesa ed il sottoposto alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare al fine di prevenire episodi recidivanti.

Infine, anche il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.) viene correlativamente modificato sulla stessa falsariga della novella precedente.

 

  1. Le ulteriori disposizioni in materia di misure cautelari coercitive.

Il legislatore della riforma apporta alcune modifiche all’articolo 275 del codice di procedura penale in ordine ai criteri di scelta delle misure cautelari.

In particolare, si dispone che nei procedimenti per i delitti di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis c.p.) nonché quelli di lesioni personali aggravate (art. 582 c.p.) ai sensi degli articoli 576 primo comma numeri 2,5 e 5.1 e 577 primo comma, numero 1 e secondo comma del codice penale, non si applichi la disposizione del secondo periodo del comma 2 bis dello stesso art.275 c.p.p. relativamente all’inapplicabilità della custodia cautelare o quella degli arresti domiciliari.

Inoltre all’articolo 280 del codice di procedura penale è inserito un nuovo comma 3 bis che rende inapplicabili le disposizioni relative ai limiti edittali di pena per l’adozione delle misure cautelari (commi 1,2,3 dell’articolo 280 c.p.p.) sempre nei procedimenti per i delitti di cui sopra.

La ratio legislativa è evidente: rendere sempre, e comunque, operativa la misura coercitiva custodiale nei confronti di tale tipologia di delitti indipendentemente dai vincoli dei criteri di scelta e dalle condizioni di applicabilità.

Infine, si prevede la possibilità dell’applicazione della misura cautelare anche quando vi si trovi in presenza di misura precautelare, come l’arresto, per uno dei delitti indicati dall’articolo 387 bis del codice penale, ampliandone l’applicazione delle ipotesi già previste dall’articolo 391 comma 5 c.p.p.

 

  1. Le disposizioni in materia di informazioni alla persona offesa dal reato e di obblighi di comunicazione.

La necessità di soddisfare l’obbligo di informazione nei confronti della persona offesa (sempre che ne faccia richiesta) della scarcerazione o della cessazione della misura di sicurezza, per i reati commessi con violenza alle persone, viene estesa a tutte le fasi del procedimento e gradi del processo.

L’articolo 90 ter c.p.p. viene modificato disponendo che tale comunicazione avvenga nei confronti sia dell’imputato in stato di custodia cautelare sia nei riguardi del condannato o dell’internato.

Si tratta di un’aggiunta assolutamente necessaria, che determina la concentrazione in un’unica norma delle disposizioni presenti in altri articoli del codice di procedura penale (es. art. 659 comma 1 bis c.p.p.- che viene abrogato), e mira a scongiurare la verificazione di episodi violenti, e soprattutto ritorsioni, nei confronti della persona offesa, prima completamente ignara della ritrovata libertà del suo carnefice.

Nella stessa direzione si pone l’intervento integrativo realizzato sull’articolo 299 del codice di procedura penale in ordine alle vicende di revoca e sostituzione delle misure.

Il legislatore della riforma inserisce due commi (2 ter e 2 quater) che prevedono: a) la comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione ai fini dell’eventuale adozione dei relativi provvedimenti dell’estinzione, revoca o sostituzione delle principali misure coercitive (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, custodia cautelare in luogo di cura, divieto ed obbligo di dimora, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, allontanamento dalla casa familiare) nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 4 comma 1 lett. i ter) del codice antimafia; b) la comunicazione al prefetto ai fini dell’eventuale adozione delle misure di vigilanza dinamica e tutela della persona offesa soggette a revisione trimestrale, dell’estinzione, revoca o sostituzione delle misure coercitive ed interdittive.

 

  1. Le disposizioni in materia di sospensione condizionale della pena.

La concessione della sospensione condizionale della pena per i delitti consumati o tentati di violenza di domestica o di genere, norma prevista nell’articolo 165 del codice penale comma 5 (come introdotta e modificata dalla legge n. 69/2019 -cd. codice rosso- e dalla legge n. 134/2021), subordinata sempre alla partecipazione a specifici corsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, viene ulteriormente specificata.

Infatti, nella prassi applicativa, il beneficio condizionato incontrava delle oggettive difficoltà in assenza di una completa articolazione delle procedure per mezzo delle quali si concretizzava il percorso rieducativo.

Il legislatore della riforma precisa che non è sufficiente la mera partecipazione con cadenza bisettimanale ai percorsi di recupero ma occorre che gli stessi siano superati con esito favorevole, e conseguente accertamento-valutazione da parte del giudice.

Gli enti accreditati, pertanto, dovranno sottoporre il condannato ad esami (o test) progressivi e finali, attestanti la buona riuscita del percorso rieducativo.

I risultati saranno, poi, messi a disposizione del giudice ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Nel caso in cui si verta in costanza di misura cautelare, e la stessa venga dichiarata inefficace ai sensi dell’articolo 300 comma 3 del codice di procedura penale, deve essere data immediata comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza competente per la misura di prevenzione, ai fini delle tempestive valutazioni concernenti l’eventuale applicazione delle stesse.

Il Tribunale competente deve decidere entro dieci giorni ed in ogni caso la durata della misura di prevenzione non può essere inferiore a quella del percorso di recupero, e qualsiasi violazione deve essere comunicata al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena.

Infine, la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza definitiva la trasmette all’ufficio di esecuzione penale esterna, che accerta l’effettiva partecipazione del condannato ai percorsi di recupero, e ne comunica l’esito al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza.

Gli enti accreditati ove il condannato svolge il percorso di recupero forniscono comunicazione di qualsiasi eventuale violazione ingiustificata degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero proprio all’ufficio di esecuzione penale esterna al fine di dare immediata comunicazione al pubblico ministero per la revoca della sospensione della pena.

Viene previsto che il Ministro della Giustizia e l’Autorità politica delegata per le pari opportunità, ai fini ed agli effetti del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata ai percorsi di recupero (art. 165 comma 5 c.p., e dell’articolo 282 quater comma 1 terzo periodo c.p.p. -in ordine alla comunicazione al pubblico ministero ed al giudice della positiva partecipazione ai programmi di recupero per la sostituzione della misura-, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, adottino un decreto interministeriale che disciplini le modalità per il riconoscimento e l’accreditamento degli enti e delle associazioni abilitati ad effettuare corsi di recupero degli autori di reati di violenza sulle donne e di violenza domestica (cfr. art. 18 L. 168/2023).

Si chiude, in tal senso, il vuoto normativo circa la reale titolarità dei vari enti ed associazioni per svolgere i percorsi ed i programmi di recupero previsti dalla legge.

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(Avv. Prof. Paolo Carnuccio) – Penalista Foro di Catanzaro

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