In caso di concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 629 cod.pen. deve essere individuato in un ingiusto profitto con danno altrui senza che rilievo assuma il movente dell’azione criminosa.
Ai sensi della disciplina dettata dagli artt. 47 e 48 cod.pen. ove il terzo esecutore materiale abbia posto in essere l’azione incriminata sulla base della falsa rappresentazione della realtà determinata dall’inganno perpetrato dal creditore o dal titolare del diritto, del reato più grave, l’estorsione, risponde l’istigatore autore dell’inganno (ex art. 48 cod.pen.) e del fatto meno grave, l’esercizio arbitrario, risponde l’esecutore materiale ai sensi del secondo comma dell‘art. 47 cod.pen..
La sentenza in questione affronta il tema del concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o nel più grave delitto di estorsione nel caso in cui egli abbia posto in essere la condotta penalmente rilevante sulla base di una falsa rappresentazione della realtà palesatagli dal creditore o titolare del diritto, qualificabile, quest’ultimo, come “l’istigatore autore dell’inganno”.
La Suprema Corte, accogliendo i motivi di ricorso degli imputati, annullava con rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo che, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P., riduceva la pena, per entrambi, ad anni 4, mesi 8 di reclusione ed € 3334,00 di multa per il reato di estorsione aggravata in concorso. Nel caso di specie, gli imputati erano stati incaricati dalla proprietaria di un appartamento di procedere allo sfratto dei conduttori dell’appartamento medesimo. Tale attività avveniva, però, in modo violento e minaccioso e determinava l’allontanamento, per un solo giorno, dei conduttori i quali facevano subito rientro presso la casa ove insisteva regolare contratto di locazione.
Ciò posto, il Supremo Collegio, dopo un excursus sul rapporto tra il reato di estorsione e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, richiamando pedissequamente il contenuto della pronuncia delle Sezioni Unite n. 29541 del 16/07/2020, si sofferma su un passaggio fondamentale della sentenza da ultimo citata secondo la quale: “Tanto premesso in ordine al contenuto della pretesa va poi aggiunto che, quanto al concorso dei terzi nei fatti, la stessa pronuncia precisa che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità”.
Il dato superiormente esposto assume decisivo rilievo al fine di circoscrivere la condotta del terzo.
In tal senso, devesi evidenziare che è “l’’interesse proprio del terzo” ad assurgere ad “elemento (idoneo) a modificare la qualificazione giuridica da esercizio arbitrario ad estorsione”.
Difatti, secondo il Supremo Collegio, “detto elemento diviene essenziale per il mutamento in un titolo
più grave di reato” e “consiste sempre in un ingiusto profitto con altrui danno con la precisazione
che tale danno deve essere procurato mediante l’azione alla persona offesa o ad altri soggetti
alla stessa legati”.
Pertanto, se la richiesta del terzo alla persona offesa – avente a oggetto la pretesa del creditore – non è accompagnata dalla richiesta della ridetta persona offesa in ordine al motivo di tale modus operandi è possibile procedere alla applicazione della norma prevista dall’art. 393 c.p. e non a quella prevista dalla norma contenuta nell’art. 629 c.p..
E ancora, nel caso in cui il creditore abbia promesso una ricompensa al terzo, in caso di esecuzione della condotta minatoria e/o violenta, ciò “non vale a determinare la più grave qualificazione” poiché “il dolo del terzo rimane sempre quello di agire esattamente e precisamente per la realizzazione del solo diritto sotteso all’azione e non anche per arrecare danni altrui, con corrispondente ingiusto profitto”.
In una situazione siffatta, il guadagno del terzo potrà essere costituito dal prezzo del reato – previsto dalla norma contenuta nell’art. 393 c.p. – ma non può, di per sé, costituire “un interesse proprio diretto” idoneo a “determinare la più grave qualificazione giuridica non arrecando alcun danno altrui”.
Pertanto, il motivo, posto a base della condotta realizzata dal terzo, mai espressamente indicato (il motivo) alla persona offesa e totalmente indipendente dall’azione criminosa determina la sola violazione della norma contenuta nell’art. 393 c.p..
Ciò posto, la Corte di Cassazione, ribadendo l’esclusione del movente ai fini della sussistenza del reato, sottolinea che “deve certamente essere escluso che l’interesse proprio del terzo concorrente nel fatto di cui all’art. 393 cod.pen.” possa “trasformare l’azione nella più grave condotta di estorsione” individuandolo, unicamente, “nel solo movente della condotta”.
Pertanto, ai fini dell’integrazione del delitto previsto dalla norma contenuta nell’art. 629 c.p., è necessario che l’interesse del terzo deve essere univocamente diretto all’accaparramento di un ingiusto profitto con altrui danno.
In caso contrario, in carenza degli elementi costitutivi del delitto estorsivo, il terzo avrà violato la norma contenuta nell’art. 393 c.p..
Il ragionamento del Supremo Collegio vira, a questo punto, sul caso “in cui in cui il creditore abbia raffigurato al terzo la tutelabilità di un proprio diritto ed il terzo abbia agito nella esatta convinzione di tutelare detta posizione giuridica in realtà non esistente”.
In tal caso, il creditore raggira il terzo per raggiungere il proprio obiettivo criminoso.
Tale situazione non esclude la punibilità del terzo essendo ravvisabile, in capo a quest’ultimo, “la possibile qualificazione giuridica dei fatti … quale esercizio arbitrario proprio perché lo stesso ha agito nella convinzione dell’esercizio di un diritto in capo al titolare-mandante e cioè con il dolo tipico dell’art. 393 cod.pen.”.
Tale passaggio argomentativo assume decisivo rilievo ai fini della applicazione rispettivamente delle norme contenute negli artt. 47 e 48 c.p..
Difatti, devesi rilevare che l’errore sul fatto costituisce causa di esclusione della punibilità ma non la esclude per un fatto diverso.
Pertanto, se l’errore sul fatto è il frutto della condotta ingannevole altrui, è il solo soggetto istigatore a rispondere del reato più grave (estorsione), mentre l’esecutore materiale risponde, unicamente, del fatto meno grave (esercizio arbitrario delle proprie ragioni) così come previsto dalla norma contenuta nell’art. 47 comma 2 c.p..
Di tal che, “l’errore determinato dall’altrui inganno è tale da escludere in concreto la sussistenza di un rapporto di causalità psichica nel senso che il reato diverso e più grave commesso dal compartecipe possa rappresentarsi alla psiche dell’agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto”.
La Corte conclude con un excursus dottrinale avente a oggetto la violazione del principio costituzionale della responsabilità personale in caso di massiva omogeneizzazione delle condotte poste in essere dai singoli soggetti concorrenti nello stesso reato essendo stato “fortemente criticato … l’assioma dell’equivalenza causale del contributo di tutti i concorrenti ritenuta espressione “letteralmente antitetica ai principi di tipicità e di responsabilità personale, atteso che essa, anziché attribuire rilievo alle loro peculiarità tipiche, tende appunto a livellare i contributi di tutti i correi, senza darsi pena di ritagliare in capo a ciascuno un rimprovero autenticamente appropriato e personale” ”.
Il Supremo Collegio ha, pertanto annullato con rinvio la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte di Appello di Palermo, enucleando i principi di diritto, di seguito, indicati:
“– in caso di concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 629 cod.pen. deve essere individuato in un ingiusto profitto con danno altrui senza che rilievo assuma il movente dell’azione criminosa;
– ai sensi della disciplina dettata dagli artt. 47 e 48 cod.pen. ove il terzo esecutore materiale abbia posto in essere l’azione incriminata sulla base della falsa rappresentazione della realtà determinata dall’inganno perpetrato dal creditore o dal titolare del diritto, del reato più grave, l’estorsione, risponde l’istigatore autore dell’inganno (ex art. 48 cod.pen.) e del fatto meno grave, l’esercizio arbitrario, risponde l’esecutore materiale ai sensi del secondo comma dell‘art. 47 cod.pen..”.
Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 46097/2023, ud. 25.10.2023
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