La Seconda Sezione penale, in tema di misure di prevenzione reale, ha affermato che il giudizio di verifica dei crediti ex art. 59 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si caratterizza per il bilanciamento della tutela dei diritti di credito dei terzi con la finalità pubblica di sottrazione dei proventi di attività illecite al destinatario della confisca e che tale bilanciamento si realizza mediante la verifica dei presupposti dimostrativi dell’estraneità dei diritti di credito all’attività illecita, ma anche attraverso l’attribuzione al giudice della prevenzione di poteri officiosi, funzionali all’accertamento dell’effettività di tali presupposti, sicché è rilevabile d’ufficio la prescrizione presuntiva del credito relativamente al quale sia stata avanzata istanza di ammissione.
La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma – sezione misure di prevenzione – a mezzo del quale venivano rigettate le opposizioni degli odierni ricorrenti al provvedimento originariamente redatto dal giudice delegato del Tribunale di Roma.
L’organo giudicante, da ultimo citato, non aveva ammesso i crediti professionali vantati dai ricorrenti precisando sussistere la prescrizione presuntiva dei crediti così come previsto dalla norma contenuta nell’art. 2956, n. 2. c.c.
Il Tribunale di Roma – sezione misure di prevenzione – rigettava le opposizioni affermando:
- la correttezza del ragionamento del giudice delegato in merito alla rilevabilità d’ufficio della prescrizione presuntiva atteso che il procedimento di accertamento dei crediti, in sede di confisca di prevenzione, è caratterizzato da carattere pubblicistico;
- l’impossibilità di procedere al deferimento del giuramento decisorio come richiesto dai creditori in assenza dei presupposti formali – atteso che né il proposto né l’amministratore giudiziario erano parti del procedimento – e in virtù dell’affidamento al giudice delle misure di prevenzione dell’accertamento dei crediti in relazione ai quali si instava per l’ammissione al passivo;
- l’assenza di prova con riguardo alla interruzione della prescrizione ordinaria dei crediti non avendo le parti ottemperato al relativo onere di allegazione.
Avverso tale provvedimento, veniva proposto ricorso per Cassazione.
Il Supremo Collegio rigettava i ricorsi sulla base delle argomentazioni, di seguito, indicate.
Primariamente, secondo la Corte, la censurata affermazione giudiziale avente a oggetto la avvenuta “rilevabilità d’ufficio della prescrizione presuntiva del credito per cui sia stata formulata richiesta di ammissione al passivo, in sede di procedimento di prevenzione, non è fondato”.
Difatti, secondo la Suprema Corte, la decisione, sia del giudice delegato sia del Tribunale, è sorretta dalla peculiare natura del “giudizio di accertamento dei crediti dei terzi, in sede di procedimento di confisca di prevenzione” posto che “il giudizio che ha ad oggetto la verifica dei crediti nell’ambito del procedimento di prevenzione si connota per l’obiettivo della realizzazione dell’ effettività della misura reale, assicurando al contempo la tutela dei terzi, a condizione che «le forme della tutela siano realizzate alla stregua del Codice antimafia entro il procedimento di prevenzione: ne consegue che il secondo periodo del primo comma dell’art. 45 d. Igs. n. 159 del 2011 pone, tecnicamente, una riserva, quanto alla tutela dei terzi, in capo al giudice della prevenzione»” (Sez. 2, n. 24311 del 01/04/2022, Coscia, Rv. 283626 – 01).
In tal senso, secondo il Supremo Collegio, devesi evidenziare:
- che “un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di un ‘piano di pagamento’, secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare …rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, l’interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell’attività illecita” (Corte cost., n. 94 del 28/5/2015);
- che, in tale ottica, assume decisivo rilievo il potere di controllo del giudice della prevenzione al fine di evitare che il proposto faccia uso di prestanomi – vantanti diritti fittizi sui beni – al fine di recuperarne il pieno godimento e disponibilità;
- che la ratio del procedimento incidentale di verifica dei crediti si fonda su basi normative ossia sulle norme contenute nel d. Igs. 159/2011, il quale procedimento necessita che la domanda giudiziale sia “sottoposta … ad un criterio di accertamento differente da quello del giudizio civile ordinario” atteso che la norma contenuta nell’art. 59, comma 1, del d.lgs. 159/2011, espressamente, prevede il riconoscimento dei poteri officiosi in capo al giudice della prevenzione stante “la natura pubblicistica dell’intero procedimento di prevenzione”;
- che, di conseguenza, assume decisiva rilevanza la “esclusione dell’efficacia della domanda cosi proposta nell’interrompere la prescrizione e nell’impedire la maturazione di termini di decadenza nei rapporti tra il creditore e l’indiziato o il terzo intestatario (art. 58, comma 4, d. Igs. 159/2011), il che rivela come la domanda non sia diretta nei confronti del soggetto proposto”.
Di tal che, come previsto dalla norma contenuta nell’art. 45, comma 1, d. Igs. 159/2011, il debitore originario non rivestirà il ruolo di parte all’interno del procedimento di verifica dei crediti in caso di confisca attesa la necessità di tutelare i creditori che vantano diritti sui dei beni che non appartengono più al ridetto debitore per effetto della confisca.
Ciò posto, dopo un breve excursus sulla natura del procedimento fallimentare, la Corte di Cassazione sottolinea che l’elemento di comunanza tra i procedimenti, ossia quello di prevenzione e quello fallimentare, è caratterizzato dalla “limitata efficacia dell’accertamento compiuto in ordine ai crediti da ammettere, rilevante ai soli fini del “concorso” (nella procedura del fallimento e della liquidazione giudiziale, come nella sede della liquidazione dei beni confiscati)”.
Invece, la disciplina dei due procedimenti è radicalmente opposta con riguardo agli “oneri probatori che gravano sulle parti del giudizio e al contenuto dell’accertamento affidato al giudice delegato”.
Difatti, solo la legge fallimentare (a differenza della legislazione di prevenzione) prevede il c.d. potere/onere del curatore di allegazione dei fatti estintivi, modificativi ed impeditivi del diritto vantato dal creditore potendo proporre le relative eccezioni.
Il discrimen tra i due procedimenti, altresì, si fonda sia sulla “assenza del debitore tra i contraddittori necessari nella fase della verifica dei crediti” sia sulla regolamentazione dei poteri del giudice della prevenzione atteso che detto giudice “assunte anche d’ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell’esclusione” (art. 59, comma 1, d. lgs. 159/2011), mentre quello fallimentare “decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati” (art. 95, comma 3, r.d. 267/1942; art. 203, comma 3, d. lgs. 14/2019).
Pertanto, nel procedimento di prevenzione, il riconoscimento di poteri d’ufficio idonei, in capo al giudice, costituisce la base normativa al fine di evitare che il prevenuto proceda con la precostituzione di creditori di comodo per ritornare nella disponibilità della res oggetto di condotte illecite.
La compressione del potere del giudice, di conseguenza, vanificherebbe gli effetti che il legislatore intende ottenere dalla confisca.
E, ancora, l’assenza, nel procedimento di prevenzione, del debitore al pari di chi “possa tener luogo della veste processuale del proposto” non rende praticabile il ricorso al giuramento decisorio del creditore “che si veda opporre la prescrizione presuntiva del credito azionato”.
Inoltre, devesi rilevare che nel giudizio di verifica dei crediti, così come previsto dalla norma contenuta nell’art. art. 59 del d. lgs. 159/2011, il debitore/proposto, l’amministratore giudiziario e l’Agenzia non assumono il ruolo di parti necessarie nel processo e non hanno il potere di eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa creditoria.
Pertanto, risulta chiara l’impossibilità di una pratica attuazione del deferimento del giuramento decisorio ad uno di essi.
Infine, il Supremo Collegio ribadisce che non è possibile ritenere sussistente in alcun modo una “presunzione di mala fede” del creditore e il rischio di un difetto di tutela del medesimo.
Difatti, “il creditore non ammesso, atteso il ristretto ambito di efficacia dell’accertamento condotto dal giudice delegato e dal Tribunale della prevenzione (arg. ex art. 58, comma 4, d. Igs. 159/2011) resta titolare del diritto di agire nei confronti del proprio debitore ed in quella sede di conseguire il riconoscimento del diritto di credito, poiché a differenza di quanto avveniva nel fallimento (e adesso avviene in sede di liquidazione giudiziale) le procedure per la soddisfazione dei creditori in caso di sequestro e confisca dei beni del debitore non hanno ad oggetto (necessariamente) l’intero patrimonio del debitore”.
La Suprema Corte reputa parimente infondato il terzo motivo di ricorso posto che “per produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che – sebbene non richieda l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti – sia idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora. Ne consegue che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell’espressa richiesta di adempimento al debitore” (Sez. 6 civ., n. 15714 del 14/06/2018, Rv. 649150 – 01; Sez. 6 civ., n. 18546 del 07/09/2020, Rv. 658999 – 02; Sez. lav., n. 17123 del 25/08/2015, Rv. 636425 – 01).
Allo stesso modo, infondata è la censura riguardante l’ipotizzato effetto sospensivo del corso della prescrizione per effetto del sequestro disposto in sede di prevenzione atteso che “solo le azioni esecutive individuali e i relativi giudizi sono sospesi per effetto dell’intervenuto sequestro (art. 55 d. Igs. 159/2011), mentre nessuna disposizione estende tale effetto alle azioni di cognizione ordinaria, rispetto alle quali peraltro l’istanza diretta all’ammissione del credito non è idonea ad interrompere il corso della prescrizione (art. 58, comma 4, d. Igs. 159/2011).”
Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 46099/2023, ud. 13.09.2023
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