Brevi considerazioni rispetto alle prime applicazioni della sentenza n. 170-2023 della Corte Costituzionale e i primi tentativi di limitarne gli effetti.
Abbiamo avuto modo di confrontarci recentemente con la sentenza n. 170/2023 della Corte Costituzionale, dando atto di come la decisione rappresenti una novità molto interessante rispetto al tema, sempre attuale, della riservatezza delle comunicazioni.
La svolta impressa dalla decisione in commento, risiede principalmente nell’avere il giudice delle leggi invertito il percorso tortuoso, e pericoloso, imposto dalla giurisprudenza troppo creativa della Corte di Cassazione, spintasi fino a teorizzare la trasformazione della comunicazione in documento, in ragione della metodologia non tradizionale di veicolazione del messaggio comunicativo, e-mail o sms invece che della tradizionale lettera cartacea.
Che quella giurisprudenza creativa rappresentasse un vulnus al diritto costituzionale ed europeo alla riservatezza delle comunicazioni, fino a neutralizzarlo, era circostanza nota ai più, in un’epoca nella quale la comunicazione cartacea rappresenta l’eccezione.
L’importanza della decisione n. 170/2023 risiede non solo nella necessità che in presenza di sms, e-mail e messaggi di testo, seppure già spediti e recapitati, si proceda con le forme più garantiste del provvedimento motivato di acquisizione, ma nell’avere la Corte Costituzionale limitato le procedure di ablazione c.d. a strascico, riferite ad una moltitudine incontrollata di messaggi e comunicazioni che spesso nulla apportano al tema delle indagini.
Sotto questo specifico profilo, rileva come la Corte Costituzionale ha, per un verso, rivitalizzato l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 254 cpp, nella parte in cui prescrive la necessaria correlazione tra contenuto comunicativo da sequestrare e reato oggetto di indagine; per altro verso, ha allargato i confini operativi del principio di derivazione europea della necessaria proporzione tra privacy e sequestro ai fini di indagine, di cui alla Direttiva sulla Privacy 2002/58.
In un contesto di siffatti principi, tesi a bilanciare adeguatamente il diritto costituzionale alla riservatezza delle comunicazioni con il dovere di indagare per la ricerca della verità processuale, si pone trasversalmente la decisione del Tribunale di Catanzaro.
Con una recente ordinanza in tema di ammissibilità e utilizzabilità di chat acquisite in un server costaricano, che non interessavano alcun parlamentare italiano o di altra nazione, il collegio giudicante del capoluogo di provincia, ha ritenuto che la sentenza costituzionale n. 170-2023 riguardi solo le comunicazioni di parlamentari acquisiti senza preventiva autorizzazione della camera di appartenenza, ex art. 68 della Costituzione.
La decisione del Tribunale di Catanzaro, tesa evidentemente a salvare l’esito delle indagini rispetto ad un processo in corso, si colloca ancora una volta sulla scia di quella giurisprudenza di legittimità ormai superata, secondo cui le comunicazioni recapitate per via telematica diventano meri documenti, dando atto in siffatto modo, di non avere colto la portata innovativa della decisione costituzionale.
Al di la della insistenza con la quale la giurisprudenza di merito manifesta di non voler affatto abbandonare la derivazione giurisprudenziale che vuole le comunicazioni trasformarsi in documenti a seconda delle modalità di trasmissione dei messaggi, la decisione del Tribunale di Catanzaro si pone fuori dal perimetro della legittimità costituzionale, nel tentativo, appunto, di mantenere lo status quo di matrice giurisprudenziale.
Tanto lascia presagire che quella del Tribunale di Catanzaro potrebbe non essere una decisione isolata e, dunque, alcune considerazioni appaiono opportune in attesa di un doveroso e atteso cambio di rotta della Corte di Cassazione.
Nello specifico, non appare chiaro in forza di quale norma la tutela della riservatezza di una comunicazione di un parlamentare dovrebbe differire da quella di un comune cittadino, al di la della necessaria autorizzazione della camera di appartenenza per poter intercettare o acquisire comunicazioni di un membro del parlamento, ai sensi dell’art. 68 cost.
Il nucleo centrale della decisione della Corte Costituzionale anticipa, in verità, l’applicazione dell’art. 68 cost., la cui operatività, rispetto alla messaggistica dei parlamentari, è consentita proprio dalla diversa qualificazione giuridica operata dalla Corte delle leggi.
È noto che nel caso del senatore Renzi, la Procura di Firenze aveva acquisito, senza autorizzazione del Senato, una serie di email e messaggi trasmessi con sistema di messaggistica istantanea, sull’erroneo presupposto che trattasi non di comunicazioni ex art. 15, bensì di documenti, in quanto tali non soggetti alle restrizioni di cui all’art. 68 cost.
La Corte Costituzionale compie un doppio intervento nomofilattico: il primo affronta il tema della corretta classificazione giuridica dei messaggi e delle email spedite e/o recapitate, che si trovano conservate nella memoria del telefono o del computer, classificandoli, diversamente dalla Corte di Cassazione, quale “corrispondenza” ai sensi dell’art. 15 della Costituzione; poi affronta il tema del necessario rispetto dell’art. 68 cost., quale logica conseguenza della prima soluzione ermeneutica affrontata dal giudice delle leggi.
L’esegesi della decisione costituzionale rispetto alla corretta qualificazione giuridica dei messaggi e delle email, deve necessariamente prendere le mosse dalla constatazione che, sul punto, la Corte Costituzionale non ha compiuto alcun riferimento esclusivo alla messaggistica dei parlamentari.
La Corte Costituzionale ha invece valuto rimarcare come “una simile conclusione si impone a maggior ragione allorché non si tratti di stabilire cosa sia corrispondenza per la generalità dei consociati, ma delimitare specificamente l’area della corrispondenza di e con un parlamentare”, in tal modo ponendo le basi per un ragionamento generale da valere per tutti i cittadini.
Il richiamo della Corte Costituzionale alle prerogative dell’art. 15 cost. in punto di riservatezza delle comunicazioni, passa attraverso la presa d’atto che le nuove tecnologie di comunicazione a distanza, hanno certamente ampliato e modificato le modalità e le forme di trasmissione del contenuto comunicativo, senza però modificarne la sostanza.
In altre parole, la messaggistica istantanea e le email assolvono alla medesima funzione della missiva tradizionale, quella di consentire la comunicazione riservata a distanza, la cui riservatezza è garantita dalla busta chiusa per le comunicazioni tradizionali e dalla crittografia per la messaggistica elettronica.
Appare un fuor d’opera il maldestro tentativo del Tribunale di Catanzaro di circoscrivere la decisione costituzionale alle sole conversazioni elettroniche intervenute con un parlamentare, intendendo in tal modo introdurre un ingiustificato, quanto incostituzionale, doppio binario, in forza del quale le tutele di cui all’art. 15 cost. sarebbero riservate ai soli membri del parlamento.
Una siffatta operazione ermeneutica, del tutto scongiurabile, si spera rimanga isolata, affinché non si tradisca lo spirito della norma costituzionale di cui all’art. 15, voluta dai padri costituenti a garanzia della riservatezza di tutte le conversazioni, salvo le limitazioni di legge, poiché ciò che conta per l’art. 15 cost. è il contenuto della comunicazione, non il veicolo di trasmissione.
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Avv. Giuseppe Gervasi (penalista) Foro di Locri
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