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In tema di mandato d’arresto europeo, il provvedimento di rigetto dell’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, reso nell’ambito del procedimento di consegna allo Stato di emissione di persona alloglotta, deve essere tradotto, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in lingua nota alla predetta, in quanto incidente sulla sua libertà personale.

Il giudice di legittimità, con tale pronuncia, affronta la delicata quanto rilevante questione afferente la traduzione degli atti riguardanti il procedimento penale nonché la piena e consapevole comprensione da parte dell’indagato/imputato del contenuto dei medesimi.

Nel caso di specie, la Corte di appello di Palermo, con apposita ordinanza, respingeva l’istanza – presentata nell’interesse di un cittadino svizzero – di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere.

Il soggetto in questione si era consegnato alla Repubblica federale di Germania, in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale di Essen, essendo indagato per reati ambientali in relazione ai quali era stato emesso il relativo ordine di cattura (l’ipotesi accusatoria si fondava sul fatto che il ricorrente avrebbe, in concorso con altre persone, riciclato tonnellate di mercurio, fungendo da intermediario con diversi Stati stranieri così garantendo all’organizzazione di appartenenza e a se stesso ricavi economici illeciti molto elevati).

Ciò posto, il ricorrente impugnava la suindicata ordinanza lamentando, tra i vari motivi, la violazione delle norme contenute negli artt. 143, 178 e 299 c.p.p. e dell‘art. 111, secondo comma, Cost., in relazione all’art. 6, comma 3, CEDU attesa la mancata notifica dell’ordinanza in una lingua nota al destinatario, la contemporanea consapevolezza da parte dell’autorità giudiziaria procedente di tale fatto (mancata conoscenza da parte dell’indagato della “lingua oggetto di scritturazione dell’ordinanza”) e la conseguente violazione del diritto di difesa.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso rappresentando la avvenuta violazione “dell’art. 143, cod. proc. pen., e la conseguente nullità del provvedimento impugnato, a norma del successivo art. 178, lett. c), con riferimento all’omessa traduzione dell’ordinanza impugnata”.

Il punto di partenza, secondo il Supremo Collegio, sono la norma contenuta nell’art. 1, comma 1, della direttiva 2010/64/UE, la quale espressamente prevede che “La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti di esecuzione di un mandato di arresto europeo” e la norma contenuta nell’art. 143, comma 2, c.p.p. secondo la quale “ Negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna”.

Orbene, nel caso di specie vi sarebbe stata, contemporaneamente, una concreta violazione delle suindicate norme e di quella contenuta nell’art. 178 lett. c) c.p.p..

Difatti, devesi rilevare che la Suprema Corte sottolinea che la traduzione degli atti richiede una applicazione del principio di analogia in bonam partem e, pertanto, anche i provvedimenti aventi a oggetto il respingimento totale o parziale di una istanza ex art. 299 c.p.p. (oltre che l’informazione di garanzia, l’informazione sul diritto di difesa, i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, le sentenze e dei decreti penali di condanna) devono essere necessariamente tradotti nella lingua conosciuta all’indagato/imputato destinatario dell’atto.

Tale operazione diviene ancor più rilevante nel caso in cui i ridetti atti determinino la conferma della “sottoposizione dell’interessato a limitazioni della propria libertà personale”.

In tal senso, l’omessa traduzione dell’atto e la contestuale conoscenza di tale circostanza da parte dell’autorità procedente hanno determinato la violazione della norma contenuta nell’art. 178 lett. c) c.p.p. atteso che l’impossibilità di comprensione dell’atto da parte dell’indagato/imputato non permette un concreto intervento del medesimo nel procedimento penale a proprio carico e, soprattutto,  non consente a quest’ultimo di analizzare e capire il contenuto di un provvedimento limitativo della libertà personale.

 

Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 45293 dell’8 novembre 2023 dep. il 9 novembre 2023

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