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La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen.

Con sentenza n. 94, decisa il 18 aprile 2023, depositata il 12 maggio 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3, comma primo, 25, secondo comma, e 27, comma terzo, Cost., dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., come modif. dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo (nella specie, la “strage politica” ex art. 285 cod. pen.), prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti (nella specie, quella di cui all’art. 311 cod. pen.) sulla recidiva reiterata ex art. 99, comma quarto, cod. pen.

Per effetto di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale il giudice, nel determinare il trattamento sanzionatorio in caso di condanna di persona recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen., imputata di uno dei delitti suddetti, può operare l’ordinario bilanciamento previsto dall’art. 69 cod. pen. nel caso di concorso di circostanze e, quindi, può ritenere le attenuanti prevalenti sulla recidiva reiterata (comma secondo), oppure equivalenti a quest’ultima (comma terzo), o finanche subvalenti rispetto ad essa (comma primo).

La sentenza si innesta in quel solco già tracciato dalle plurime pronunce relative all’illegittimità parziale del divieto di cui all’art. 69, comma quarto, cod. pen., anche rispetto a reati meno gravi. Per il loro impatto applicativo appare utile richiamarle: da ultimo Corte cost., sent. n. 143 del 2021 riguardante proprio la medesima diminuente di cui all’art. 311 cod. pen. in rapporto al sequestro di persona a scopo di estorsione; Corte cost., sent. n. 73 del 2020 sul divieto di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata; Corte cost., sent. n. 205 del 2017 in tema di bancarotta fraudolenta; Corte cost., n. 74 del 2016 in riferimento all’attenuante dell’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990; Corte cost., sent. n. 105 del 2014 in riferimento alla ricettazione di particolare tenuità; Corte cost., sent. n. 106 del 2014 in riferimento ai casi di violenza sessuale di minore gravità; Corte cost., n. 251 del 2012 in riferimento all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

          Seguendo il ragionamento di censura offerto nei precedenti appena citati, il Giudice delle leggi con sentenza n. 94/2023, anche con riferimento ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ribadisce che, nell’ipotesi in cui la differenza tra la pena-base e quella risultante dall’applicazione di un’attenuante è molto elevata, l’effetto della recidiva reiterata non può essere tale da comportare il divieto per il giudice di fare ciò che il codice penale prevede in generale quando c’è il concorso di circostanze attenuanti e aggravanti: ossia, valutarle e compararle per stabilire se le prime possano essere, eventualmente, ritenute prevalenti.

Sottolinea la Consulta che la necessaria funzione di riequilibrio della pena, svolta dall’attenuante, è compromessa dal divieto di prevalenza, il quale determina un’“alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale” (Corte cost., sent. n. 251 del 2012) perché finisce per comportare l’applicazione di pene identiche per violazioni di rilievo penale marcatamente diverso, con conseguente violazione dei principi di cui agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, 27, terzo comma, Cost.

La Corte costituzionale, infatti, nel ritenere fondate le sollevate q.l.c. con riferimento a tutti i parametri evocati, ricostruisce anzitutto le soluzioni giuridiche che la propria consolidata giurisprudenza, in uno con quella di legittimità, ha adottato per risolvere alcuni dubbi interpretativi posti dalla legge n. 251 del 2005 in tema di recidiva reiterata e divieto di bilanciamento ex art. 69, comma quarto, cod. pen.; dubbi successivamente fugati nel senso della non obbligatorietà della recidiva reiterata, mentre per quanto riguarda la recidiva obbligatoria è intervenuta Corte cost. n. 185 del 2015 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma quinto, cod. pen. laddove prevedeva l’aumento obbligatorio.

In particolare in motivazione viene evidenziato che è rimasto operante nel sistema penale un particolare meccanismo previsto per le circostanze aggravanti cd. “privilegiate” – come la recidiva reiterata (ma v. altresì gli artt. 270-bis.1, 416-bis.1, 590-quater cod. pen.) – rispetto alle quali il divieto di prevalenza delle attenuanti con riguardo alla recidiva reiterata “si presenta come particolare, perché l’automatismo di tale esclusione si innesta sulla mancanza di automatismo dell’applicazione dell’aumento della pena”.

Il giudice dovrà allora innanzi tutto accertare, con discrezionalità valutativa, se sussistono i presupposti per applicare l’aumento di pena per la recidiva reiterata, verificando in concreto, se le precedenti condanne abbiano reso la persona maggiormente incline a commettere un ulteriore reato. Successivamente, solo se il giudice ritiene che debba in concreto applicare l’aumento di pena per tale circostanza aggravante, scatta l’automatismo dell’esclusione della prevalenza di qualsivoglia (eventualmente) concorrente circostanza attenuante. In altri termini sottolinea la Consulta, trattasi di valutazione discrezionale diversa da quella che il giudice è chiamato a fare per stabilire la pena proporzionata al reato accertato.

Ne discende che la tenuta costituzionale di questo automatismo, rispetto agli evocati principio di uguaglianza, offensività e necessaria proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato, pur nel contesto della generale non obbligatorietà della recidiva, “lo fa apparire, già per ciò solo, eccedente se non proprio contraddittorio”.

In conclusione, la “fissità” della pena – per ciò solo “indiziata” di illegittimità costituzionale   ma anche l’“unicità” e l’“indefettibilità” della pena perpetua ex art. 285 cod. pen., proprio a causa del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, impedisce di tener conto della diversa gravità concreta dei singoli illeciti e comporta un effetto di “sterilizzazione” di qualsiasi diminuente dal bilanciamento delle circostanze, assumendo le sembianze di una pena “senza speranza” mentre scarso rilievo assume il fatto che l’ordinamento prevede, durante l’esecuzione della pena, il beneficio della liberazione condizionale, considerato lo squilibrio esistente tra la pena perpetua e qualsiasi altra pena temporanea conseguente ad un giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato.

In altri termini, la fissità della pena edittale dell’ergastolo, aggravata dal suo rigore per essere la sanzione più elevata in assoluto, in quanto perpetua al momento della sua irrogazione, e marcatamente più afflittiva rispetto a quella irrogabile per lo stesso reato circostanziato da una diminuente, richiede – per la tenuta costituzionale della pena stessa, in riferimento agli evocati parametri degli artt. 3, comma primo, 25, comma secondo, e 27, comma terzo, Cost. – che non sia precluso, in caso di recidiva reiterata, l’ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti del reato, le quali, se esclusive o ritenute dal giudice prevalenti sulle aggravanti, comportano che alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 cod. pen.).

 

  1. Cost. Sent. n. 94, decisa il 18 aprile 2023, depositata il 12 maggio 2023

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