L’art. 120 c.p.m.p. sancisce che: “Fuori dei casi enunciati nei due articoli precedenti, il militare che abbandona il posto ove si trova di guardia o di servizio, ovvero viola la consegna avuta, è punito con la reclusione militare fino ad un anno”.

Al secondo comma è previsto un aumento di pena nel caso in cui si tratti del comandante di un reparto o di militare preposto ad un servizio o il capo di un posto, oppure si tratti di servizio armato.

Ricordiamo subito che per la sua configurabilità non è necessario il verificarsi di un determinato evento che sia conseguenza dell’inosservanza della disposizione, come più volte ribadito dalla Giurisprudenza.

Per la configurabilità del reato di violata consegna previsto dall’art. 120 cod. pen. mil. pace è sufficiente la violazione delle prescrizioni della consegna, la cui tassatività ne esige l’osservanza incondizionata, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza di tale violazione, trattandosi di reato di pericolo presunto volto a tutelare la funzionalità e l’efficienza di determinati servizi militari”. (Cass. pen. Sez. I Sent., 02/12/2020, n. 458).

Quanto all’elemento soggettivo del reato è richiesto il dolo generico, quindi la coscienza e volontà di tenere un comportamento difforme dalle prescrizioni imposte con la consegna ricevuta, mentre l’errore sull’ignoranza del contenuto della consegna escludono la sussistenza del dolo in quanto errore sul fatto, non potendosi ravvisare una inescusabile ignoranza dei doveri militari di cui all’art. 39 c.p.m.p. o una più generica inescusabile ignoranza della legge penale.

Per tali motivi, come vedremo, è presupposto del reato il c.d. indottrinamento, cioè la precisa trasmissione del contenuto della consegna al militare.

Per costante indirizzo giurisprudenziale, per configurarsi il reato di violata consegna è necessaria l’esistenza di una “consegna precisa, che determini tassativamente e senza spazi di discrezionalità quale debba essere il comportamento del militare in servizio”[1].

La consegna si differenzia dall’ordine perché il soggetto ricevente ha l’obbligo di farla osservare anche dai terzi verso i quali deve essere eseguito il servizio.

Attenzione che il militare che “di fatto” espleta un determinato servizio, sia esso di sentinella, guardia ecc., è equiparato al militare che svolge il servizio stesso per esser stato comandato dall’autorità militare.

In altri termini, la mancanza della investitura non lo rende esonerato dall’obbligo di osservare tutte le norme che regolano il servizio medesimo.

Ma cosa succede nel caso di investitura illegittima? Ebbene, secondo la Giurisprudenza di merito:

“l’ordine di assumerne un determinato servizio è entità logicamente e giuridicamente ben distinta dalla consegna, che vincola per il fatto dell’assunzione del servizio stesso. Quando l’ordine di assumere servizio sia illegittimo, il militare può trasgredirlo senza incorrere in alcun reato. Ma una volta assunto il servizio

è comunque tenuto ad adempiere tutti i doveri che la relativa consegna comporta. Un eventuale posizione di diritto soggettivo viene infatti meno, per implicita rinuncia, se il militare abbia preferito assumerne il servizio”[2].

È essenziale, ai fini della configurabilità di tale figura di reato che le disposizioni violate siano riferibili all’essenza del servizio in quanto tale, non potendosi configurare, altrimenti, il reato de quo.

Si pensi a quelle circolari (riferite ai CC, Esercito ecc.) che prevedono regole ben precise in materia, ad es., di caricamento e scaricamento delle armi.

O ancora quelle pubblicazioni inerenti al posizionamento dell’arma in dotazione una volta ultimato il servizio.

Ebbene, la Giurisprudenza militare, da tempo, ha sancito che : “L’operazione di scaricamento delle armi in luogo diverso da quello appositamente precostituito non configura né il reato di violata consegna, né il reato di disobbedienza; infatti sono escluse dalla nozione di violazione della consegna le trasgressioni attinenti a regole non riferibili immediatamente alla essenza del servizio, ma a generali regole prudenziali di prevenzione degli infortuni; non rientra, poi, nella nozione di ordine il comportamento riferito a regole di prudenza, le quali assorbono l’eventuale ordine confermativo delle medesime regole” (Trib. Militare Padova, 31.05.1984).

Quindi, posto che la “consegna” è una prescrizione doverosa in ordine alle attività demandate al militare, il fatto che essa sia relativa al servizio è essenziale per poter configurare il presupposto applicativo della fattispecie.

D’altronde, qualora difetti l’esistenza della “consegna” in senso giuridicamente rilevante, nonché la precisazione del contenuto, va da sé che non può aversi “consegna” nemmeno dal punto di vista fattuale.

Inoltre, come ormai costantemente ribadito da dottrina e giurisprudenza, “per aversi “consegna” idonea a configurare il reato di violazione ex art.120 c.p.m.p. non è sufficiente la “vigenza di disposizioni generali ed astratte che disciplinino un determinato tipo di servizio, ma occorre invece un intervento dell’autorità responsabile del servizio che, per un concreto servizio da svolgere, trasmetta la normativa al militare tenuto ad osservarla.”(Brunelli-Mazzi, Diritto Militare, IV Ed.pg.263 e ss., Corte d’App. Mil. sez. Dist. Verona in Rass. Giust.mil. 1984,729).

Per la configurazione del reato di violata consegna, pertanto, è necessaria l’esistenza di una consegna precisa, che determini tassativamente e senza spazi di discrezionalità quale debba essere il comportamento del militare in servizio (per tutte Cass. Pen. sez.I, 15 luglio 1993), ciò perché la norma tende a tutelare le modalità di svolgimento del servizio, dalle quali non è dato discostarsi neppure al fine di conseguire meglio lo scopo del servizio stesso (Cass. Pen. sez. I, 15 luglio1993).

Ora, posto questo, la richiamata sentenza della Corte d’Appello, Sezione distaccata di Verona, afferma che “Non si ha “consegna” quando una disposizione generale ed astratta concernente il caricamento e lo scaricamento delle armi, comunque vigente e perciò vincolante nello svolgimento del servizio, e pur ribadita dal Comandante della compagnia durante il rapporto ufficiali, non sia stata poi  specificatamente impartita, in relazione ad un concreto servizio, all’ufficiale cui il medesimo veniva affidato e che a esso si sarebbe perciò dovuto attenere”.

Quindi, in riferimento alle disposizioni di caricamento e scaricamento delle armi, seppur durante il servizio, la Giurisprudenza ha ritenuto anche che senza il cd. indottrinamento, non si può ritenere sussistente una consegna in quanto tale e che, in ogni caso, si tratta di regole di natura prudenziale non qualificabili come consegna militare.

In conclusione, occorre verificare in primo luogo se trattasi di violazione di una regola attinente al servizio ed, in secondo luogo, verificare se al militare accusato sia stata specificamente impartita la consegna medesima. (si pensi alle regole di servizio del carabiniere addetto ad una stazione urbana che per come previsto dal regolamento devono essere affisse nella apposita camera di riunione).

Occorre, di conseguenza valutare attentamente caso per caso se sussistono tutti gli elementi costitutivi della consegna in quanto tale perché in caso contrario non potrà configurarsi il reato di cui all’art. 120 c.p.mp. con conseguente assoluzione di un eventuale imputato.

 

  • Pen., sez. I, 15 luglio 1993.
  • Corte App., 24 febbraio 1983, Olivè, in Rassegna. Giust. Militare 1983, 507.

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Avv. Christian Petrina – penalista – Foro di Catania

 

[1] Perché sussista pertanto il reato occorre un accordo tra il militare appartenente alla Guardia di finanza e l’estraneo, accordo il cui oggetto sia costituito dalla “frode alla finanza”, la quale, secondo accreditata lezione ermeneutica della Corte, può consistere “nell’indicazione o apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell’interesse alla percezione dell’entrata tributaria” (Cass., Sez. 1, 06/06/2007, n. 25819; Cass., 15/12/2005, n. 1303).

[2] Le situazioni di litispendenza, non riconducibili nell’ambito dei conflitti di competenza di cui all’articolo 28 del Codice di Procedura Penale, devono essere risolte dichiarando nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’impromovibilità dell’azione penale in applicazione della preclusione fondata sul principio generale del ne bis in idem, sempreché i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero e siano devoluti, anche se in fasi o gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria.

[3] Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.

[4] Sentenza n. 2207/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli: “…..La Commissione osserva che, dai riscontri documentali forniti dalla parte ricorrente, emerge che la Dichiarazione IVA/2012, relativa al periodo di imposta 2011, era stata presentata, per la “CYCLIX S.R.L.”, dalla signora DI STASIO Daniela. La qual cosa prova che è infondato il presupposto dell’esistenza di una società di fatto…..”.

[5] SANTORO Vincenzo, commento alla sentenza della Cassazione n. 49975/2009.

 

 

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