Il contenuto “sessualmente esplicito”, al quale fa riferimento l’art. 612-ter c.p., non può identificarsi nella riproduzione di rapporti sessuali (o di autoerotismo), o ancora di organi propri dell’apparato sessuale-riproduttivo in senso scientifico. Ciò significa che la sessualità di una persona, vittima del reato, può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo “erogene” diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l’istinto sessuale (confermata la condanna per revenge porn per il l’uomo che aveva diffuso online video e foto che ritraevano una persona semplicemente in biancheria intima e non impegnata in espliciti atti sessuali).
I motivi di gravame, nel caso di specie, lamentavano principalmente la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di cui all’art. 612-ter cod pen., attesa la mancanza di contenuti sessualmente espliciti dei video diffusi sul web, rilevando anche che i video in questione erano stati rimossi, a seguito della richiesta della persona offesa soltanto dopo svariati mesi dalla relativa pubblicazione in rete, ciò che comproverebbe il minimo disvalore degli stessi.
Nell’occuparsi dei motivi di gravame la Corte, ancora una volta, ha chiarito il significato del primo comma dell’articolo 612 ter, inerente al “contenuto sessualmente esplicito”, ribadendo che “non può identificarsi nella riproduzione di rapporti sessuali (o di atti di autoerotismo), o ancora di organi propri dell’apparato sessuale-riproduttivo in senso scientifico”.
Ciò significa, secondo la Corte, “che la sessualità di una persona, vittima del reato di revenge porn, «può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti erogene del suo corpo diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete in cui vengono ritratte, l’istinto sessuale”.
Nel caso in oggetto, proprio i commenti cui si accompagnava la diffusione dei video rendevano palese “la piena consapevolezza dell’agente che la diffusione delle immagini della persona offesa, ritratta con la sola biancheria intima, avveniva proprio per sottolineare l’ambito di svolgimento della vita sessuale in cui erano state riprese”.
Cassazione penale sez. V – 29/03/2023, n. 32602