Brevi note a margine della sentenza 170-2023 della Corte Costituzionale, che proroga la scadenza giurisprudenziale del diritto alla riservatezza delle comunicazioni.
Una decisione attesa e sperata quella della Corte Costituzionale, certamente rivoluzionaria nella parte in cui ribalta la finzione giuridica, per nulla condivisibile, tesa a trasformare le conversazioni in documenti.
Come noto, la sentenza interpretativa n. 170-2023 della Corte Costituzionale (depositata in data 27/07/2023) ha risolto un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del sequestro ed acquisizione da parte della Procura della Repubblica di Firenze, di plurime comunicazioni (messaggi whatsapp e mail) di un Senatore della Repubblica italiana, in assenza di preventiva autorizzazione da parte del Senato; il conflitto è stato risolto favorevolmente al Senato ricorrente e per l’effetto il sequestro delle comunicazioni in parola, disposto sulla base di decreti di perquisizione e sequestro emessi dalla Procura, è stato annullato.
La decisione si segnala nell’avere la Corte delle leggi ribaltato un consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, di stretta derivazione giurisprudenziale, secondo cui i messaggi di posta elettronica, gli SMS ed i messaggi whatsapp, già ricevuti dal destinatario, avrebbero natura di “documenti” ex art. 234 c.p.p., e non di “corrispondenza”, e come tali non sottoposti al dettato ed alle garanzie di cui all’art.15 della Costituzione.
È facilmente intuibile il notevole cambio di rotta imposto dalla Corte Costituzionale, in primo luogo sotto il profilo delle modalità di acquisizione, non più con le forme agili e poco stringenti di cui agli artt. 234 e 234bis cpp, bensì con le garanzie e le forme tassative di cui agli artt. 253, 254 e 254bis cpp, del sequestro e della conservazione con modalità tali da garantirne la genuinità e conformità agli originali, oltre che la assoluta riservatezza.
Sotto altro profilo, è percepibile come il diritto costituzionale alla inviolabilità delle conversazioni, impone ora un decreto di sequestro motivato e limitato alle sole conversazioni pertinenti al reato. In altre parole, non più acquisizioni a strascico dentro cui andare successivamente a selezionare le conversazioni eventualmente utili per le indagini, in sfregio alle più elementari norme nazionali e sovranazionali in tema di riservatezza delle conversazioni, ma solo acquisizioni mirate.
Notevole il coraggio della Corte Costituzionale di ristabilire la legalità rispetto ad un tema, la giusta qualificazione giuridica delle conversazioni già recapitate al destinatario e conservate presso esso stesso, il mittente o il fornitore del servizio di comunicazione, che la Corte di Cassazione aveva sottovalutato con l’evidente unico obiettivo di non pregiudicare le indagini, trascurando gli effetti devastanti di questa poco oculata scelta di non ponderare il diritto alla verità processuale con il diritto costituzionale alla riservatezza.
É noto come le maglie aperte della Corte di Cassazione hanno finito per alimentare quella pericolosa inclinazione all’acquisizione indiscriminata, e per certi versi scellerata, di grandi quantitativi di dati personali, anche sensibilissimi, che le moderne comunicazioni informatiche portano con se. Basti pensare a importanti operazioni antimafia come “Molo 13”, con oltre 980.000 messaggi in svariate lingue, oppure “Eureka” con altrettante migliaia e migliaia di messaggi comunicativi in diverse forme e lingue, recuperati in svariati server sparsi nel mondo in assenza di qualsivoglia garanzia, siccome qualificati “documenti”.
Dalle motivazioni convincenti fornite dalla Corte Costituzionale, pare cogliersi il convincimento che i tempi erano ormai maturi per un siffatto intervento nomofilattico, considerato che la poco convincente qualificazione giuridica di “comodo” fornita dalla Corte di Cassazione, ha consentito perfino l’aggiramento dei confini imposti dall’immunità parlamentare di cui godono le conversazioni dei membri del parlamento.
Il passaggio si coglie nella parte in cui la Corte Costituzionale, diversamente dalla Corte di Cassazione, sfodera conoscenze tecniche pregevoli e di patrimonio ormai comune: “lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68 comma 3 della Costituzione…posto che quello di «corrispondenza» è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza”.
Pregevole il passaggio motivazionale nel quale la Corte Costituzionale pone fine all’irragionevole metamorfosi della “comunicazione” in “documento”, visto che “la tutela accordata dall’art.15 Cost…prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale…posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art.15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi…degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione”…
Passaggi motivazionali mirabili, tesi a rimettere sullo stesso piano, contemperandoli, il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, con il diritto alla giustizia sociale e sostanziale che governa il processo penale.
Si attendono adesso le prime applicazioni pratiche di una decisione che, probabilmente, darà adito a contrasti interpretativi significativi rispetto ai numerosi ambiti di applicazione, legati alle nuove tecnologie, capaci di generare variegate forme di comunicazioni non propriamente tradizionali.
Avv. Giuseppe Gervasi – SLGDS – ottobre 2023
Iscrivendoti alla nostra Newsletter acconsenti al trattamento dei dati personali ai sensi della legge n. 196/2003 e successive modifiche Regolamento UE 2016/679. Concessione del consenso per ricevere esclusivamente approfondimenti di interesse giuridico. Per ulteriori informazioni, clicca qui