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Niente revoca dei domiciliari. Questo è quanto stabilisce la III sez. penale della Corte di cassazione, quando afferma che la situazione processuale del singolo individuo dev’essere distinta dagli altri coimputati. Quindi la scarcerazione di questi ultimi non costituisce un fatto nuovo idoneo alla concessione della revoca degli arresti domiciliari.

Il principio formulato dalla Cassazione è il seguente: “sono manifestamente infondate le motivazioni che fanno leva sull’ingiustizia di un trattamento cautelare parificato o rapportato a quello del coimputato o di altri imputati”. Per cui, non sussiste il vizio della motivazione per l’omessa valutazione delle sentenze o di ordinanze relative alla posizione dei coimputati nell’accertamento della sussistenza o persistenza delle esigenze cautelari o della idoneità della misura cautelare in atto

Tutto ha origine dal ricorso in appello presentato da un detenuto avverso il provvedimento del Tribunale della libertà, che negava la revoca e/o sostituzione della misura restrittiva degli arresti domiciliari.

Il ricorrente era stato giudicato responsabile di associazione a delinquere e plurimi reati tributari, oltre a riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.

La questione arriva così in Cassazione. La difesa, basa le sue motivazioni, tra l’altro, sull’avvenuta scarcerazione degli altri coimputati. Tale circostanza, per il ricorrente, sarebbe un fatto nuovo e idoneo ad offrire una diversa valutazione delle esigenze cautelari.

Per la Cassazione però il ricorso è infondato. I giudici esprimono con certezza e senza dubbio alcuno che: “tra i parametri previsti dagli artt. 273, 274, 275, 292 del c.p.p. per la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari e della scelta delle misure non rientra quello della valutazione comparativa tra concorrenti o autori di fatti analoghi”. Aggiungendo poi, “la valutazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari frutto di giudizio prognostico, e sulla scelta della misura si deve operare esclusivamente sulla posizione del singolo imputato, così come previsto dalla giurisprudenza in tema di determinazione della pena” (Cass. pen., sez. II, n. 1886/2016).

Viene rigettato pertanto il ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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