Integra il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi la condotta di chi impedisce alla persona offesa di essere economicamente indipendente, nel caso in cui i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocare in quest’ultima un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche ed organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise, ma unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza o di prevaricazione psicologica.
A cura di Giuseppe Calderazzo (Avvocato del foro di Locri e vice-presidente della Camera Penale di Locri)
Con i motivi di ricorso la difesa aveva censurato la sentenza nella parte in cui considerava maltrattante la condotta tenuta dall’imputato, in quanto volta ad ostacolare l’autonomia e l’indipendenza economica della moglie, muovendo dall’assunto che la scelta della persona offesa di non svolgere alcuna attività lavorativa fosse libera perché frutto del desiderio di “accudire i figli” e di essere “mantenuta” dal marito.
La Corte ha respinto il ricorso ritenendo che la lettura della difesa fosse parcellizzata e riduttiva non solo rispetto alle emergenze probatorie, ma anche del percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, anche in un’ottica convenzionalmente orientata, ai fini della configurabilità del delitto in esame è necessaria la valorizzazione di tutte le componenti in cui può tendenzialmente esprimersi la violenza, incluse quella psicologica ed economica. Rileva la Corte, infatti, che la sentenza impugnata ha puntualmente riportato e condiviso i contenuti e gli esiti dell’istruttoria dibattimentale, dando conto, sulla base delle deposizioni rese dai figli della coppia, nonché dalla madre e dalle sorelle della persona offesa, del fatto che l’imputato aveva imposto un regime discriminatorio nei confronti della moglie, per il desiderio di costei di iniziare a svolgere attività lavorative di vario genere ed acquisire di conseguenza una propria indipendenza economica.
Sotto tale profilo, invero, deve rilevarsi come la giurisprudenza della Suprema Corte abbia affermato che l’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente costituisce una circostanza tale da integrare una forma di “valenza economica” riconducibile alla fattispecie incriminatrice in esame, quando i correlati comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche ed organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, ma unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza o di prevaricazione psicologica (arg. ex Sez. 6, n. 43960 del 29/09/2015).
Nella medesima prospettiva, inoltre, va richiamata, sotto altro ma connesso profilo, la decisione di questa Corte in ordine alla rilevanza di condotte impositive di forme di “risparmio domestico” quale modalità pervasiva di coartazione e controllo dell’imputato nei confronti della moglie, pur economicamente autonoma, idonea a determinare un sistema di relazioni familiari basato su un regime di controlli inutilmente vessatori e mortificanti (Sez. 6, n. 6937 del 20/10/2022 dep. 2023). Gli atti di violenza suscettibili di creare un pregiudizio di tipo economico all’interno delle relazioni familiari sono contemplati, a livello convenzionale e nel sistema normativo euro-unitario, in un quadro di definizioni che, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 10959 del 29/01/2016, “…non compaiono nei tradizionali testi normativi di produzione interna, ma che tuttavia, per il tramite del diritto internazionale, sono entrate a far parte dell’ordinamento e influiscono sulla applicazione del diritto” anche attraverso l’obbligo di interpretazione conforme, “…che impone, ove la norma interna si presti a diverse interpretazioni o abbia margini di incertezza, di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali” (in motivazione, Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv. 265893). Sotto tale profilo assumono particolare rilievo, al fine di individuare le condotte che, in un contesto discriminatorio, mirano a provocare “una perdita economica” della vittima a causa del suo genere, determinando oggettivamente una condizione di soggezione tale da integrare il delitto di cui all‘art. 572 cod. pen., la disposizione prevista dall’art. 3, lett. a), della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), ratificata senza riserve dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, e i considerando 17 e 18 della Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.
L’art. 3, lett. a), della Convenzione di Istanbul stabilisce che «con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano e sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”. I Considerando 17 e 18 della Direttiva 2012/29/UE definiscono rispettivamente i concetti di “violenza di genere” e di violenza nelle “relazioni strette”, ciascuna delle quali possono provocare danni di natura economica alla vittima.
Considerando 17: “Per violenza di genere s’intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle liberta fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, ‘aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti “reati d’onore”. Le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di un’assistenza e protezione speciali a motivo dell’elevato rischio di vittimizzazione, di intimidazione e di ritorsioni connesso a tale violenza.”.
Considerando 18: “La violenza nelle relazioni strette è quella commessa da una persona che è l’attuale o l’ex coniuge o partner della vittima ovvero un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche. La violenza nelle relazioni strette è un problema sociale serio e spesso nascosto, in grado di causale un trauma fisico e psicologico sistematico dalle gravi conseguenze in quanto l’autore del reato è una persona di cui la vittima dovrebbe potersi fidare. Le vittime di violenza nell’ambito di relazioni strette possono pertanto aver bisogno di speciali misure di protezione. Le donne sono colpite in modo sproporzionato da questo tipo di violenza e la loro situazione può essere peggiore in caso di dipendenza dall’autore del reato sotto il profilo economico, sociale o del diritto di soggiorno.”. Deve altresi rilevarsi che, con la adozione della recente direttiva UE 2024/1385 del 14 maggio 2024, “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”, che dovrà essere attuata entro il 14 giugno 2027, il legislatore europeo ha fatto espressamente riferimento alla possibile rilevanza di forme di controllo economico, nel più ampio quadro delle condotte di violenza domestica.
Nel considerando 32, infatti, si valorizza, ai fini delle valutazioni sulla concessione del patrocinio a spese dello Stato in favore delle vittime che denunciano reati, la circostanza che “la violenza domestica può tradursi in un controllo economico da parte dell’autore del reato, e le vittime potrebbero non avere un accesso effettivo alle proprie risorse finanziarie”.
Nel considerando 39, inoltre, si afferma che, nel valutare le situazioni che richiedono una particolare attenzione alle esigenze di protezione e assistenza in favore della vittima, dovrebbe essere preso in considerazione, fra l’altro, “il grado di controllo esercitato dall’autore del reato o dell’indagato sulla vittima, sia dal punto di vista psicologico che economico”.
Ne consegue, secondo la Corte di Cassazione, che le condotte dell’imputato volte ad osteggiare la coniuge nella ricerca di una attività lavorativa – sottoponendola peraltro ad un controllo degli spostamenti attraverso l’installazione di una telecamera sul perimetro esterno dell’abitazione – e a non consentirle di coltivare e sviluppare un quadro di relazioni con persone esterne alla famiglia; ad imporle un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripartizione di ruoli; a sottrarsi alla gestione domestica e familiare delegandone interamente le incombenze alla coniuge, cosi da non consentirle altra soluzione che quella di abbandonare le proprie ambizioni professionali ed essere da lui “mantenuta”; a non remunerare le attività svolte nell’interesse dell’azienda familiare, con il proprio arricchimento, costituiscono tutti comportamenti che, per quanto analiticamente e globalmente apprezzati dai Giudici di merito nel caso in esame, sono obiettivamente finalizzati alla limitazione dell’autonomia economica della persona offesa. Da un quadro fattuale cosi delineato emerge l’imposizione di un sistema di potere asimmetrico all’interno del nucleo familiare, di cui la componente economico-patrimoniale rappresenta un profilo di particolare rilievo, perché costituisce oggetto di una decisione unilateralmente assunta dall’imputato, anche attraverso il ricorso a forme manipolatorie e pressioni psicologiche sulla persona offesa, tali da incidere sulla sua autonomia, sulla sua dignità umana e sulle sua integrità fisica e morale, quali beni giuridici tutelati dall’art. 572 cod. pen. (tra le tante Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, Rv. 285273; Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.; Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, S. non mass.; Sez. 6, n. 29542 del 18/09/2020, G., Rv. 279688; Sez. 6, n. 262 del 12/01/2016, G., Rv. 266243).
Cass. Pen. sez. VI sent. n.1268, deposito del 13 gennaio 2025 (ud. 14 novembre 2024)
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