Processi somari
Il commento di Michele Bontempi
(penalista del foro di Brescia)
L’8 gennaio la Camera inizierà a discutere la Legge Nordio-Gelli per separare le carriere di giudici e pm e i rispettivi Csm. Noi non vediamo l’ora che entri in vigore, malgrado siamo contrari, anzi proprio per questo. Solo la prova su strada farà capire ai somari del garantismo…(leggi tutto)
Marco Travaglio con l’articolo dal titolo “processi somari” ha iniziato con la largo anticipo la campagna di stampa contro la separazione delle carriere fra Pm e giudici in vista del referendum. Da che mondo è mondo quando l’essere umano è a corto di argomenti alza i toni (ci chiama “somari”) e usa la furbizia (il cervello produce le idee più subdole).
Per la separazione delle carriere è talmente evidente e dí immediata percezione il buon senso per cui l’arbitro di una partita non può far parte di una delle due squadre che sembrerebbe difficile opporre a ciò un argomento convincente. E invece non è così.
Ed è ormai chiaro che la stampa giustizialista ha scelto lo spot del pericolo di sottomissione al potere esecutivo di un Pubblico ministero separato dal giudice.
Chiarito il contorno, sempre certa stampa ha capito che per convincere le persone un metodo funziona più di tutti: agire sulla paura e sull’ansia collettiva prefigurando scenari apocalittici, da regime iraniano, tanto per intenderci.
Così i Travaglio di turno spaventano le persone immaginando la situazione di un Pubblico ministero poliziotto o meglio avvocato dell’accusa, che userebbe ogni mezzo pur di ottenere la condanna del cittadino imputato e ciò pur sapendolo innocente.
Questo ragionamento presupporrebbe invece che oggi, un Pubblico ministero, solo per il fatto di essere collega del giudice, di far parte di un unico ordine, non agisca per ottenere più condanne possibili, ma si comporti da mezzo giudice, chiedendo egli stesso le assoluzioni quando le prove sono insufficienti.
Ma quando mai? E se così fosse come si spiegherebbe quel dato – che pure gli avversari della separazione utilizzano per tirare l’acqua al proprio mulino – del 50% dei processi in cui i giudici respingono le tesi dei Pubblici ministeri?
Sembra il gioco delle tre carte, in cui chi subisce l’imbroglio è sempre chi sceglie la carta. Perché appunto è un imbroglio.
In questa propaganda avviene lo stesso: oggi senza separazione e domani con la separazione il Pubblico ministero agirà sempre per veder accogliere le proprie tesi e quindi chiederà sempre la condanna, salvi i casi in cui egli stesso – per tutelare la sua credibilità agli occhi del giudice (o dello specchio in cui si guarda ogni sera)- riterrà opportuno evitare una brutta figura.
Con la riforma il Pubblico ministero non sarà nè più buono né più cattivo di oggi, dove esiste apposta la figura del giudice che dice l’ultima parola.
Se il Pubblico ministero, sia oggi che domani, agisse per la verità al pari del giudice, che bisogno avremmo del giudice, basterebbe il Pubblico ministero.
Invece, quest’ultimo è per sua natura di parte perché tutela l’interesse collettivo alla punizione del colpevole, salvo il fatto che quest’ultimo viene identificato nell’imputato, cioè in un presunto innocente. Mentre il giudice non tutela alcun interesse ma dirime la singola controversia in maniera del tutto asettica.
Il difensore, a sua volta, salvaguardia l’interesse del singolo cittadino alla propria libertà (bene supremo di ciascun essere umano) e la grande portata della riforma è che, con la separazione delle carriere, lo Stato accetta finalmente di mettere l’interesse della collettività sullo stesso piano paritario di quello del privato cittadino, perché nella scala dei valori costituzionali quest’ultimo ha un valore primario come quello collettivo. La libertà infatti è un bene supremo.
La sfida della separazione delle carriere è qui: mettere finalmente le due parti (Pubblico ministero e difensore) alla stessa distanza dal giudice che ha il compito più delicato: applicare la legge secondo giustizia.
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