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La bufala dei giudici “appiattiti” sui pm: assoluzioni al 54,8% – rif. Il Fatto Quotidiano del  22/12/2024

In Italia è possibile dire tutto e il contrario di tutto, perfino che l’assoluzione di Salvini e di Renzi dimostrerebbero che non è necessaria la separazione delle carriere fra Pm e giudici perché questi ultimi, assolvendo imputati anche eccellenti, dimostrerebbero di essere indipendenti e non condizionati dai “colleghi” Pm.

A cura di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia

A chi ribatte che generalizzare un concetto partendo da 2 singoli casi è un fuor d’opera, sempre gli stessi avversari della separazione rilanciano con i numeri e le statistiche che dicono che in Italia mediamente il 50% dei giudizi di merito si conclude con l’assoluzione.
Questa sarebbe – ribadiscono – la dimostrazione che i giudici non si appiattiscono sulle tesi dei Pubblici ministeri.
Il sillogismo tuttavia è solo apparentemente logico ed è facile smontarlo.
Il procedimento è scandito da tanti passaggi delicati che incidono sui diritti e sulle libertà del cittadino prima indagato e poi imputato.
A cominciare dal momento più traumatico, quello che spesso determina effetti devastanti irrimediabili: le misure cautelari personali (comunemente detto arresto).
In questa fase il giudice sa di prendere una decisione “allo stato degli atti”, che potrà anche essere sconfessata al processo, ma che inevitabilmente (è il suo ruolo) deve prendere.
Proprio nel momento più delicato della vita di una persona, lo sbilanciamento fra accusa e difesa è massimo e ad esso contribuisce la colleganza fra Pm e giudice. Ci sono indagini lunghe e costose alle quali i Pubblici ministeri tengono moltissimo e smontarle subito da parte del collega giudice per le indagini preliminari è un accadimento che si verifica molto di rado. Lo stesso giudice, poi, si sente investito di una funzione di tutela dell’interesse collettivo, che è propria del Pubblico ministero. Lo stesso dicasi per i sequestri, le intercettazioni telefoniche e tutta una serie di interventi del giudice nella fase delle indagini preliminari nei quali chiunque svolge la professione di avvocato percepisce di essere collocato su un piano distante e non comunicante con quello comune di giudice e Pm.

Poi si arriva al processo e anche qui prima della sentenza c’è la fase fondamentale dell’istruzione dibattimentale, che è delicatissima perché è il momento in cui si formano le prove che dovranno costituire la base (l’unica base) della sentenza.
Anche qui, senza voler generalizzare, mediamente assistiamo, nella soluzione delle eccezioni processuali, nell’ammissione di quanti e quali testimoni, nell’ammissione o non delle domande suggestive o valutative, ad un atteggiamento del giudice più incline ad accogliere le istanze della pubblica accusa. Qual’è la vera ragione di questo atteggiamento?
Come disse in una intervista rilasciata in occasione della campagna del referendum del 2000 sulla separazione delle carriere Giuseppe Frigo, “in Italia abbiamo abbiamo dei Pubblici ministeri che si sentono mezzi giudici e dei giudici che si sentono mezzi pubblici ministeri”. Questa è una grande verità che chiunque di noi sperimenta proprio nella fase del dibattimento, dove si forma la prova e dove, invece, come dice l’art.111 Cost., dovrebbe essere garantita al massimo l’imparzialità del giudice.
Veniamo infine alla fatidica domanda: perché se il giudice è condizionato dal Pm (rectius dalla funzione dell’accusa) assolve – quindi gli dà torto – nel 50% dei casi?
La risposta non c’entra nulla con la separazione delle carriere e – a parte il fatto che in quel 50% rientrano tutte le cause di proscioglimento, anche la prescrizione, le remissioni di querela, etc. – bisogna dire che l’esito del dibattimento spesso è il risultato di bassa qualità dell’indagine che aveva raccolto elementi di prova che ad un più attento controllo avrebbe dovuto portare fin dall’inizio ad una archiviazione.
Il che ci porta – come un cane che si morde la coda – a riavvolgere il nastro, tornando a parlare del controllo giurisdizionale durante la fase delle indagini preliminari, dove l’appartenenza di Pm e giudice allo stesso ordine rappresenta un vulnus per l’indipendenza e l’imparzialità del secondo.

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