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In tema di furto, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, ha natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della “res”, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto fondata su considerazioni in diritto non rese palesi dal mero riferimento all’oggetto sottratto. (Nella fattispecie, relativa al furto di energia elettrica, la Corte ha precisato che la citata circostanza aggravante è da ritenersi adeguatamente contestata ove venga riferita alla condotta di furto posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, la quale garantisce l’erogazione di un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica”).

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

La Suprema Corte, con la pronuncia in allegato, è tornata nuovamente sulla quaestio iuris afferente la rilevanza della c.d. “contestazione non formale” della circostanza aggravante e sulle conseguenze derivanti dall’erronea valutazione giudiziale a seguito del mancato riconoscimento della medesima.

Ciò posto, nel caso di specie, il Tribunale di Siracusa emetteva sentenza di non doversi procedere – stante l’assenza di una condizione di procedibilità (assenza della querela in atti) – nei confronti di un soggetto accusato del reato di furto aggravato, il quale «al fine di trarne profitto, si impossessava di Kwh 13.570 di energia elettrica, sottraendola all’Enel, mediante allaccio abusivo diretto alla rete Enel, effettuato con la manomissione della calotta del contatore e dei tenoni di fissaggio posteriori, in modo tale da alterare la registrazione dei consumi di energia elettrica …».

Nel caso in esame, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, la fattispecie criminosa originariamente contestata all’imputato era divenuta perseguibile a querela di parte. Di tal che, in assenza di una specifica presentazione di istanza di punizione durante il c.d. “regime transitorio” da parte della persona offesa, il giudicante aveva optato per la emissione della decisione superiormente esposta. Inoltre, secondo il giudice di primo grado, la contestazione suppletiva – effettuata all’udienza del 13 giugno 2023 – dal pubblico ministero avente specificamente ad oggetto la contestazione della circostanza aggravante prevista dalla norma contenuta nell’art. 625, n.7, c.p. non avrebbe potuto sortire gli effetti voluti dall’organo inquirente ossia la “trasformazione” della procedibilità del reato.  Difatti, il Tribunale ha rilevato come il decorso del termine afferente la proposizione della querela aveva necessariamente indotto il medesimo a emettere sentenza di non doversi procedere.

Ciò posto, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catania ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza superiormente indicata lamentando la inosservanza di norme processuali poiché il p.m. – alla prima udienza utile successiva alla entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 – aveva proceduto alla contestazione di una circostanza aggravante che rendeva il reato procedibile d’ufficio. Di conseguenza, il Tribunale, reputando priva di pregio la predetta contestazione supplettiva, sarebbe incorso nella violazione delle norme contenute negli artt. 516 e ss. c.p.p. ledendo il potere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale e di modificare l’imputazione.

La Quinta sezione, investita del ricorso, lo accoglieva e disponeva l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza.

La quaestio iuris ruota attorno alla necessità di comprendere se il reato in questione debba essere considerato procedibile d’ufficio o meno alla luce della contestazione suppletiva della circostanza aggravante prevista dalla norma contenuta nell’art. 625 n. 7 c.p..

Di tal che, il problema si incentra sulla analitica disamina contenutistica del capo di imputazione. Difatti, in assenza di una specifica ed espressa contestazione della circostanza aggravante ex art. 625 n. 7 c.p., il capo di imputazione precisava come il fatto fosse stato asseritamente commesso “su bene destinato a pubblico servizio” e “mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore”.

Pertanto, la Suprema Corte, nel dirimere quanto sottoposto al proprio vaglio, ha preliminarmente rilevato come la circostanza aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio è sicuramente connotata da componenti di natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico (sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di “pubblico servizio”), che riposa su considerazioni in diritto che non sono rese palesi dal mero riferimento all’oggetto sottratto.

Il Supremo Collegio ha, però, sottolineato come sia possibile nel nostro ordinamento (accanto alla contestazione formale della circostanza aggravante) la c.d. contestazione “non formale” di una o più aggravanti (o anche qualificata come contestazione “in fatto” delle ridette circostanze).

In tal senso, le Sezioni Unite “Sorge” hanno specificato:

  • che per «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge, ma che riporti, in maniera sufficientemente chiara e precisa, gli elementi di fatto integranti la circostanza, così da permettere all’imputato di averne piena consapevolezza e di espletare adeguatamente la propria difesa;
  • che, conseguentemente, l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse poichè la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive.

Pertanto, solo una specifica indicazione dei fatti materiali all’interno del capo di imputazione garantirà la corretta esposizione della fattispecie aggravata in tutti i suoi elementi costitutivi e, soprattutto, il corretto esercizio del diritto di difesa. Di conseguenza, è ammissibile la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti nel rispetto, però, del diritto di difesa ossia attraverso una chiara e precisa esplicitazione degli elementi di fatto integranti la fattispecie criminosa aggravata.

Ciò posto, nel caso di specie, la Quinta sezione ha aderito all’orientamento secondo cui “ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destinato a pubblico servizio; con la precisazione, però, che, in coerenza a Sezioni Unite Sorge, essa possa ritenersi contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (cfr. Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, n.m.)”.

Di tal che, l’aggravante prevista dalla norma contenuta nell’art. 625 n. 7 c.p. potrà essere contestata anche attraverso il meccanismo della contestazione “non formale” a patto che l’imputato sia posto nelle condizioni di difendere consapevolmente “dall’accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa”.

La completezza della contestazione “non formale” è da rinvenirsi in tutti quei casi in cui “nel capo di imputazione si faccia riferimento a una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; rete, per l’appunto, capace di dare luogo a un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, n.m.)”.

Nel caso di specie, il capo di imputazione indicava specificatamente le modalità di esecuzione della condotta furtiva ossia l’allaccio diretto alla rete di distruzione dell’ente. Una situazione siffatta, secondo la Quinta sezione, è indicativa dell’errore cui è incorso il Tribunale il quale non ha adeguatamente applicato la regola di giudizio prevista dalla norma contenuta nell’art. 129 c.p.p. “poiché, pur in presenza della contestazione “non formale” di un’aggravante idonea a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto decisivo il dato della mancanza di querela della persona offesa”.

 

Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 35873 del 23/05/2024 Ud. (dep. 25/09/2024)

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