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Si preannuncia la necessità di scendere in campo per spiegare ai cittadini che la separazione delle carriere non indebolisce i Pubblici ministeri e soprattutto non li sottopone all’Esecutivo.

A cura di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia

Attenzione a dare per scontata la vittoria del referendum sulla separazione delle carriere. La frase – quando gli italiani sono stati chiamati a pronunciarsi sul tema hanno sempre dimostrato di capire che l’arbitro non può far parte di una delle squadre – oggi come oggi non è più sufficientemente tranquillizzante.
È vero che nel 2000 il referendum dei radicali, che non raggiunse il quorum per pochi voti, diede come risultato una nettissima maggioranza a favore della separazione delle carriere, ma erano altri tempi.
Erano i tempi dell’introduzione dell’art.111 in Costituzione, delle condanne per omicidio non necessariamente all’ergastolo, i giudici che assolvevano o che condannavano non al massimo della pena non venivano insultati e minacciati in aula dai parenti delle vittime, non era ancora scoppiato il caso Palamara, che ha notevolmente danneggiato la credibilità della magistratura agli occhi dei cittadini, non c’era ancora stato il Covid, che ha aumentato le ansie e l’egoismo delle persone, c’era meno povertà diffusa di quanta ce ne sia oggi che il potere di acquisto delle famiglie è dimezzato, … ma soprattutto non c’era – o meglio non nelle forme attuali generate dai nuovi strumenti di comunicazione (canali social e immediatezza e potenza di diffusione dei loro effetti) – quel “processo mediatico” che – su ogni singola drammatica vicenda – crea un’aspettativa di vendetta di popolo che è in grado di influenzare la giustizia del processo. Nella futura campagna di per il Sì alla separazione delle carriere, non dobbiamo dare per scontato che i cittadini siano gli stessi di 25 anni fa, perché rischieremmo di andare incontro a brutte sorprese. Chi è contro la separazione (Anm) questa volta è pronto a scendere in campo e a trasformarsi in un organo politico che entrerà nella bagarre della campagna elettorale e farà di tutto per convincere i cittadini che con la separazione delle carriere il Pubblico ministero ne uscirà indebolito e sottomesso all’Esecutivo.

Non dimentichiamo che agli occhi dei cittadini il Pubblico ministero, per quanto circondato da quell’alone di sfiducia e diffidenza con cui viene visto il corpo della magistratura dopo lo scandalo Palamara, rimane pur sempre il giustiziere delle ingiustizie, quello che ha il compito di lottare contro la mafia, i femminicidi, le corruzioni etc… è lui quello che si salva sempre nel suo ruolo salvifico, sia quando ottiene “giustizia” (cioè una condanna esemplare) sia quando il giudice gli dà torto, perché solo quest’ultimo finisce sul patibolo per avere negato giustizia.
Dobbiamo essere pronti ad affrontare una campagna referendaria in cui il Pubblico ministero – come il lupo nella favola di Cappuccetto rosso – avrà le parvenze della vittima indifesa di un sistema in cui il potere lo vuole tenere sotto controllo.
Un argomento infondato in diritto, ma estremamente suggestivo in fatto, che richiederà notevoli sforzi e abilità per smascherare questo messaggio, ma soprattutto la capacità di raggiungere le persone e liberarle dalle paure che le condizionano.

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