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La Corte Costituzionale, con la rilevante pronuncia di seguito analizzata, ha dichiarato:

1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.;

2) in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

Il Tribunale di Siena – in composizione monocratica – con ordinanza datata 14.02.2024 ha sollevato una serie di questioni di legittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 34, comma 2, c.p.p. per contrasto con le norme contenute negli artt. 111, secondo comma, 3, 24, secondo comma, 101 e 117 della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e all’art. 14, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici) nella parte in cui non prevede che “non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio”.

Nel caso di specie, il giudice a quo – a seguito di emissione di decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero con contestuale fissazione della data di udienza di comparazione predibattimentale – stava procedendo nei confronti di un soggetto accusato del reato previsto dall’art. 341 bis c.p..

Pertanto, il giudice rimettente, in osservanza delle disposizioni previste nella tabella di organizzazione del proprio Ufficio, veniva incaricato dello svolgimento della predetta udienza di comparizione. Ciò posto, stante la mancata formulazione di richieste di definizione del procedimento con riti alternativi, il decidente disponeva la prosecuzione del giudizio davanti a un giudice diverso e procedeva alla fissazione della data di celebrazione della futura udienza dibattimentale.

Orbene, alla prima udienza dibattimentale, veniva disposto il rinvio del processo davanti al medesimo giudice stante la temporanea assenza del decidente assegnatario del dibattimento.

Orbene, il giudice rimettente ha evidenziato come – in qualità di giudice del dibattimento – sarebbe necessariamente obbligato alla adozione di una decisione di merito pur avendo già valutato il contenuto degli atti costituenti l’ipotesi dell’Ufficio di Procura e compendiati all’interno del fascicolo in suo possesso durante la celebrazione dell’udienza predibattimentale.

Secondo il rimettente – in relazione al suindicato caso – devesi rilevare:

  • che l’ordinamento giuridico non prevede un’ipotesi di incompatibilità nonostante sia stata svolta una attività idonea a “generare la cosiddetta “forza della prevenzione” perché di natura propriamente decisoria, non riguardante il semplice svolgimento del processo o un aspetto meramente formale del procedimento”;
  • che l’istituto della incompatibilità riguarda situazioni in cui possano subentrare elementi idonei a minare l’imparzialità del giudice e, di conseguenza, a ledere “valori cardine della giurisdizione, quali la terzietà e l’imparzialità, a loro volta collegati alla garanzia del giusto processo”;
  • che, una situazione siffatta, determina indubbiamente la violazione di una serie di norme costituzionali e sovranazionali con specifico riferimento all’istituto della incompatibilità e alla concreta tutela del diritto ad un equo processo (art. 6, paragrafo 1, CEDU).

Ciò posto, il giudice a quo ha evidenziato come è stata la stessa giurisprudenza convenzionale a intervenire sul delicato tema della tutela della imparzialità del giudicante.

In tal senso, la giurisprudenza europea ha ribadito, in numerose occasioni, come “l’avere già adottato decisioni prima del processo non è un fatto di per sé solo idoneo a giustificare timori quanto alla (…)

imparzialità [del giudice] e che, al fine di valutare il rispetto del principio di imparzialità giudiziaria previsto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, assumono rilievo dirimente la portata e natura dei provvedimenti adottati dal giudice prima del processo” (cfr. Corte EDU 24 agosto 1993, Nortier contro Paesi Bassi; 24 febbraio 1993, Fey contro Austria; 16 dicembre 1992, Sainte-Marie contro Francia).

Anche a livello nazionale, devesi rammentare:

  • che la Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 16 del 2022, n. 155 e n. 131 del 1996, n. 453 del 1994, n. 439 del 1993, n. 261, n. 186 e n. 124 del 1992) ha puntualizzato la rilevanza della c.d. “incompatibilità orizzontale” pervenendo alla definizione di giudizio come “ogni processo che, in base a un esame di prove, pervenga ad una decisione di merito e che la nozione di decisione di merito comprende, di tutta evidenza, il giudizio dibattimentale”;
  • che il Giudice delle Leggi (cfr. sentenza n. 16 del 2022) ha enucleato una visione costituzionalmente orientata delle condizioni che determinano il verificarsi di una situazione di incompatibilità del giudicante ossia “la preesistenza di valutazioni che cadono sulla medesima res iudicanda: l’essere stata operata, da parte del giudice, una valutazione di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione, nonché l’attenere tale decisione al merito dell’ipotesi accusatoria e non già al mero svolgimento del processo o a un aspetto formale del procedimento”.

Pertanto, le norme contenute negli artt. 553 e 554-ter c.p.p. impongono un esplicito compito decisorio in capo al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale consistente nell’esplicazione di valutazioni e nell’assunzione di decisioni “allo stato degli atti” ovvero di quegli atti che trasmessi dal

pubblico ministero vanno a costituire, in tale fase, il fascicolo predibattimentale (costituito dal fascicolo per il dibattimento e da quello del p.m.).

E’ chiaro, dunque, che il vaglio demandato al giudice dell’udienza predibattimentale è particolarmente approfondito e si incentra su “tutti i possibili aspetti e profili di una notizia di reato, nell’ottica di una completa ed esaustiva ricostruzione dei fatti e del “vero”, svolgendo «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» ”.

Una situazione siffatta determina un controllo non formale, da parte del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, dell’ipotesi accusatoria dovendo egli procedere alla attenta valutazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per la prosecuzione del processo davanti al giudice per il dibattimento.

Di tal che, l’udienza di comparazione predibattimentale diviene sede naturale per la valutazione dei dati probatori raccolti durante la fase delle indagini preliminari e per analizzare la “forza” dei quali i medesimi sono dotati al fine di confermare quanto indicato nell’editto di accusa.

Di conseguenza, il giudice opera, in tale fase processuale, esercitando evidentemente “intensi poteri di verifica” sulla tenuta dell’ipotesi accusatoria.

È evidente, secondo il giudice rimettente, che l’omessa previsione della incompatibilità del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale alla celebrazione dell’udienza dibattimentale si pone in palese contrato con le norme costituzionali dianzi evocate.

Inoltre, la predetta omessa previsione (della incompatibilità del giudicante) riverbera i propri effetti deleteri determinando una chiara “disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di incompatibilità a partecipare al giudizio per il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen.”.

Difatti, è di assoluta evidenza l’identicità dei compiti decisori del giudice dell’udienza preliminare e di quello dell’udienza di comparizione predibattimentale dovendo ambedue valutare la fondatezza dell’accusa.

Ciò posto, la natura tassativa delle ipotesi di astensione in presenza di una delle situazioni previste dalle norme contenute negli artt. artt. 34 e 36 c.p.p. e l’impossibilità di procedere a una applicazione della legge in via analogica hanno determinato il verificarsi, nel caso di specie, di una evidente fase di stallo e la necessità di richiedere un intervento additivo della Corte Costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è stato di parere opposto evidenziando come il giudice a quo non avrebbe proceduto a una corretta applicazione delle norme di cui agli artt. 34 e 36 per non aver considerato l’ipotesi di cui alla lettera h) ossia la sussistenza di “altre gravi ragioni di convenienza” che richiedono l’obbligo di astensione dal giudizio. Pertanto, solo il rigetto dell’istanza di astensione da parte del presidente del tribunale del luogo, avrebbe permesso al rimettente di sollevare le predette questioni di legittimità costituzionale.

Ancora, secondo la difesa statale, la norma contenuta nell’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen., “prevede che l’udienza dibattimentale deve svolgersi «davanti ad un giudice diverso», con locuzione sostanzialmente identica a quella utilizzata nell’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., sicché tale espressione potrebbe essere interpretata come vera e propria ipotesi di incompatibilità”.

La chiarezza della norma non determinerebbe dubbi di sorta in ordine alla lettura costituzionalmente orientata della medesima.

La Corte Costituzionale, investita delle varie questioni, ha preliminarmente definito priva di pregio l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale poiché “la questione di legittimità costituzionale è ammissibile quando l’ordinanza di rimessione è argomentata in modo da consentire il controllo “esterno” della rilevanza attraverso una motivazione non implausibile del percorso logico compiuto e delle ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare la disposizione censurata nel giudizio principale” (cfr. ex plurimis, sentenze n. 94 del 2023, n. 237 del 2022 e n. 259 del 2021).

Il Giudice delle Leggi ha, pertanto, evidenziato come l’udienza predibattimentale sia una udienza camerale a partecipazione necessaria delle parti (p.m. e difensore dell’imputato) e costituisca uno “snodo obbligato” tra la fase delle indagini preliminari e la successiva fase dibattimentale.

Di tal che, il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale non ha solo il mero potere di verifica della regolare costituzione del rapporto processuale, ma ha, anche, “il compito di accertare se, sulla base degli atti trasmessi ai sensi del sopra richiamato art. 553 cod. proc. pen., sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita, nonché se risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa. In tal caso il giudice predibattimentale adotta una sentenza di non luogo a procedere”.

Il nuovo art. 554 ter c.p.p. prevede, al comma 3, che il giudice per il dibattimento deve essere diverso da quello dell’udienza di comparizione predibattimentale.

Paradossalmente, però, tale regola non rientra tra le ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 34 c.p.p..

Il vulnus è evidente dal momento che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, “in tema di incompatibilità del giudice penale […] l’art. 34 cod. proc. pen. è disposizione di natura eccezionale e, in quanto tale, insuscettibile di interpretazione analogica o estensiva” (cfr. ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenze 18 ottobre 2022-3 febbraio 2023, n. 4813 e n. 10328 del 2021; sezione terza penale, sentenza 5 febbraio-7 giugno 2019, n. 25313).

Pertanto, sulla scorta di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate stante l’avvenuta violazione delle norme contenute negli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost..

In tal senso, il Giudice delle Leggi ha ribadito come, alla luce del proprio recente pronunciamento n.

93 del 2024, “la disciplina sull’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice, presidiati dall’art. 111, secondo comma, Cost., mirando a escludere che questi possa pronunciarsi sull’accusa quando è condizionato dalla “forza della prevenzione”, cioè «dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda» e ad assicurare «che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto “terzo”, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi»”.

La Corte Costituzionale ha, inoltre, precisato che ai fini della sussistenza di una situazione di incompatibilità endoprocessuale del giudicante è necessario che concorrano contemporaneamente più condizioni ossia che il giudicante abbia proceduto a valutare la medesima res iudicanda, che il decidente abbia operato “una valutazione di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione”, che tale valutazione non abbia avuto natura “formale” bensì “sostanziale” e che la predetta valutazione sia avvenuta in una diversa fase del procedimento.

In tale contesto assume fondamentale rilievo la sentenza n. 91 del 2023 che ha previsto “l’esistenza di un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo […] in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice”.

Difatti, il principio del giudice terzo e imparziale costituisce un punto cardine nell’esercizio effettivo della giurisdizione.

Un processo, pertanto, potrà definirsi “giusto” solo quando sia stata adeguatamente garantita l’imparzialità di chi giudica. Inoltre, l’imparzialità “non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio”.

In tal senso, devesi evidenziare che l’imparzialità del giudice trova il suo fondamento anche nel dettato normativo di cui all’art. art. 6, paragrafo 1, CEDU nonché all’interno della norma contenuta nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che “garantisce il diritto all’esame della causa da parte di un giudice «indipendente e imparziale, precostituito per legge»”.

Ciò posto, secondo il Giudice delle Leggi, la clausola delle “altre gravi ragioni di convenienza” – invocata dall’Avvocatura Generale dello Stato a sostegno della propria tesi – non può essere la chiave per la risoluzione della quaestio iuris poiché la norma contenuta nell’art. 36 c.p.p. è, secondo la giurisprudenza costituzionale, “una norma di chiusura a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle precedenti lettere e nelle quali tuttavia l’imparzialità del giudice sia da ritenere compromessa» (sentenza n. 113 del 2000), si riferisce infatti a situazioni, non tipizzate ex ante dal legislatore, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultino compromesse in concreto, mentre l’incompatibilità significa che nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 34 cod. proc. pen. l’imparzialità del giudice è compromessa ex se, in generale e in astratto.

Non è, pertanto, (in parole povere) la soluzione al problema.

Ecco che, secondo il Giudice delle Leggi, l’assenza di una specifica previsione normativa con riferimento alla incompatibilità del giudice dell’udienza predibattimentale a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento confligge con i principi evocati dalla Corte Costituzionale nel corso del tempo.

Difatti, la decisione assunta dal giudice durante l’udienza predibattimentale costituisce limite invalicabile che non permette al giudicante di svolgere la funzione di giudice del dibattimento.

Pertanto, stante la approfondita disamina contenutistica degli atti di indagine, il giudice dell’udienza predibattimentale dovrà necessariamente ampliare la propria base conoscitiva per pervenire a diverse decisioni tra le quali vi sono – tra le altre – “la verifica della corrispondenza dell’imputazione agli atti di indagine, anche in riferimento alle circostanze aggravanti, […] l’accertamento della sussistenza di cause di improcedibilità dell’azione penale, di non punibilità e di proscioglimento nel merito, e quindi anche delle condizioni per una pronuncia ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. per particolare tenuità del fatto, estendendosi fino all’adozione di una decisione, sulla base degli atti, in ordine alla sussistenza, o no, della ragionevole previsione di condanna”.

La valutazione del compendio accusatorio costituisce giudizio prognostico sul grado di sostenibilità dell’accusa nel futuro giudizio e, soprattutto, sull’utilità di celebrazione del medesimo (ossia del futuro giudizio).

La previsione normativa di un “diverso” giudice tra la fase predibattimentale e quella dibattimentale non è, pertanto, sufficiente – ad avviso della Corte – al fine di colmare ogni potenziale pregiudizio in relazione alla tutela della imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento dovendo, invece, essere “necessariamente prevista in via generale e predeterminata, anche a prescindere dalla valutazione in concreto che il giudice è chiamato a compiere e, quindi, «indipendentemente dal contenuto che tali attività possono aver assunto»”.

Di conseguenza, l’assenza di una previsione normativa in relazione alla incompatibilità del giudice dell’udienza predibattimentale alla trattazione del giudizio dibattimentale da parte del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale si pone in contrasto con le norme contenute negli art. 111, secondo comma, Cost. e 24, secondo comma, Cost.

Al pari fondata – ad avviso del Giudice delle Leggi – la questione sollevata in relazione alla violazione dell’art. 3 Cost..

Difatti, sia il giudice dell’udienza preliminare che quello dell’udienza predibattimentale sono sottoposti alle medesime regole di giudizio.

Una situazione siffatta non ha, comunque, condotto alla modifica della norma contenuta nell’art. 34, comma 2, c.p.p..

Pertanto, l’attività di valutazione demandata al giudice dell’udienza preliminare e al giudice dell’udienza predibattimentale “rende, dunque, irragionevole la mancata previsione, nei casi di incompatibilità cosiddetta “orizzontale”, di cui all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., anche della fattispecie del giudice dell’udienza predibattimentale che sia poi chiamato ad essere altresì giudice del dibattimento”.

Il riferimento al giudice “diverso” nella nuova novella normativa non può, da solo, costituire elemento idoneo a garantire una concreta tutela dei principi del giusto processo, della terzietà e della imparzialità della giurisdizione dovendosi ritenere necessario “anche per l’esigenza di certezza del diritto – che l’introduzione di una nuova situazione di incompatibilità avvenga con pronuncia di illegittimità costituzionale di tipo additivo”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte Costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 34, comma 2, c.p.p. “nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.. Dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della presente pronuncia di illegittimità costituzionale discende la necessità che il principio del giusto processo sia assicurato anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen. Tale disposizione stabilisce, infatti, che in caso di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere da parte del pubblico ministero, la corte d’appello, che non confermi la sentenza, fissa la data per l’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso da quello che ha pronunciato la sentenza. Pertanto, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa in via consequenziale all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale anche nel caso previsto dall’art. 554- quater, comma 3, cod. proc. pen.”.

 

Corte Costituzionale, sent. n. 179/2024, decisione del 15/10/2024, deposito del 14/11/2024, pubblicazione in G. U. il 20/11/2024

 

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