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Il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, commesso attraverso la costituzione di un credito fiscale fittizio a seguito della falsa asseverazione in ordine al completamento di opere per le quali è previsto il riconoscimento del “superbonus 110%” e la successiva cessione a terzi di tale credito, si perfeziona con la riscossione o con la compensazione del credito, in quanto solo in quel momento è conseguito l’ingiusto profitto, con conseguente danno per l’amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza cautelare con cui, sull’erroneo presupposto dell’avvenuto perfezionamento del delitto di cui all’art. 640-bis, cod. pen., era stato ritenuto legittimo il sequestro preventivo, a fini di confisca per equivalente, dei proventi derivanti dalle cessioni a terzi dei crediti d’imposta generati mediante false attestazioni)”.

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

La Terza Sezione, con la sentenza allegata, si è occupata della questione afferente la c.d. “truffa dei bonus edilizi” (o comunemente conosciuta come “truffa del superbonus 110%”) specificando quale sia – in questi casi – il momento consumativo del reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 640 bis c.p..

Nello specifico, il Tribunale di Udine – sezione ex art. 324 c.p.p. – respingeva la richiesta di riesame presentata da un soggetto destinatario di un’ordinanza (emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale) a mezzo della quale era stato disposto nei confronti del ricorrente il sequestro preventivo a fini di confisca diretta della somma pari a euro 29.000,00 euro.

Inoltre, il G.I.P., con analogo provvedimento, disponeva il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente della somma di euro 546.822,00 a carico della società appaltatrice in caso di impossibilità del sequestro preventivo a fini di confisca diretta della predetta somma.

Pertanto, il sequestro preventivo ai fini di confisca diretta della somma di 29.000,00 euro veniva disposto nei confronti del ricorrente stante la asserita commissione dei reati previsti dalle norme contenute negli artt. 483 c.p., 13 bis d.l. n. 34 del 2000 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000. La ridetta somma (euro 29.000) sarebbe stato il prezzo pagato in favore del ricorrente – nella qualità di tecnico che aveva asseverato il regolare compimento delle opere appaltate e fatturate – al fine di rilasciare le false attestazioni utili alla “generazione del credito di imposta da c.d. “superbonus”” nei confronti della società appaltatrice. Invece, il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente della somma di euro 546.822,00 veniva disposto nei confronti della ditta appaltatrice per il reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 640 bis c.p. “avendo riguardo al profitto di tale reato, quantificato nei proventi conseguiti dalla società “[…] srl” mediante le cessioni a terzi di crediti di imposta generati mediante le false attestazioni sopra indicate, per un valore nominale di 685.827,04”.

La Terza sezione, investita del ricorso, lo accoglieva sulla base delle seguenti argomentazioni giuridiche, di seguito, illustrate disponendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

Ciò posto, il ricorrente ha lamentato:

  1. la illegittimità del sequestro per equivalente non essendo configurabile, nel caso di specie, il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato o il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Difatti, tali fattispecie criminose sarebbero le uniche a rendere possibile l’applicazione della misura cautelare reale disposta dal G.I.P. così come previsto dalla norma contenuta nell’art. 640-quater p.;
  2. la errata qualificazione giuridica del fatto dal momento che le fattispecie di reato contestate potrebbero tuttalpiù essere configurabili nella loro forma tentata e non consumata poiché, nel caso di specie, il modus operandi del ricorrente e della società appaltatrice “hanno determinato la nascita di un credito nei confronti dello Stato, ma non (ancora) un’effettiva perdita economica per lo stesso, verificandosi questa solo a seguito della riscossione del credito o del suo utilizzo mediante compensazione”.

In tal senso, devesi rilevare che la norma contenuta nell’art. 640 quater c.p. (alla luce del rinvio alla norma contenuta nell’art. 322 ter c.p.) prevede che la confisca per equivalente sia possibile solo in relazione ai reati di cui agli articoli 640, secondo comma, numero 1, 640 bis e 640 ter c.p. nella sola forma consumata.

Ecco che, nel caso di specie, la corretta qualificazione giuridica del fatto diviene dirimente per la risoluzione della presente quaestio iuris (illegittimità del provvedimento di sequestro stante l’impossibilità di applicazione del medesimo per un divieto previsto dalla legge penale).

Ciò posto, la Terza sezione, avvallando la tesi del ricorrente, ha ribadito come “ai fini della consumazione del reato di truffa, non è sufficiente l’assunzione di un debito da parte del raggirato, ma è necessaria l’effettiva perdita del bene oggetto dell’obbligazione da parte del medesimo soggetto, attesa la previsione del requisito del “danno” ”.

E’ utile, pertanto, ribadire il principio di diritto enucleato dalle Sezioni Unite secondo cui “poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa” (cfr. Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo).

Ciò posto, la Suprema Corte, annullando l’impugnata ordinanza, ha stigmatizzato il ragionamento del Tribunale del riesame che ha reputato configurato il reato previsto dall’art. 640 bis c.p. stante l’avvenuta costituzione di un credito fittizio – frutto dell’attività di falsa asseverazione per il riconoscimento fiscale del c.d. “superbonus” – e della successiva cessione di tale credito a terzi.

La Terza Sezione non ha condiviso tale interpretazione poiché “solo quando i crediti ceduti sono stati materialmente riscossi o compensati può dirsi realizzato il danno per lo Stato, per essersi verificata la concreta perdita del denaro, siccome erogato a rimborso di un credito fittizio ovvero non incassato per effetto di compensazione con un credito fittizio. E solo quando si è realizzato il danno per lo Stato è configurabile il reato di truffa ex art. 640-bis cod. pen.; prima del verificarsi del danno per lo Stato, può sussistere solo il tentativo del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., o, eventualmente, la truffa in danno dei cessionari”.

Ciò vuol dire che il reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 640 bis c.p. sarà configurabile solo con specifico riferimento alle operazioni fraudolente ove il credito è stato oggetto di riscossione o di compensazione. Difatti, “il relativo profitto corrisponde esclusivamente ai proventi conseguiti attraverso le cessioni dei crediti d’imposta fittizi alle quali siano seguiti la riscossione o l’utilizzo mediante compensazione di tali crediti”.

Conclusivamente argomentando, l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza è stato necessario al fine di verificare l’entità e la natura dei proventi illegittimamente conseguiti grazie alle cessioni di crediti fittizi rispetto ai quali “siano seguiti la riscossione o l’utilizzo mediante compensazione di tali crediti”. Difatti, solo tali proventi possono essere classificati come profitto del reato ex art. 640 bis c.p. e solo rispetto a quest’ultimi potrà essere consentita la confisca per equivalente come “premessa necessaria per l’applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo ex art. 321, commi 2 e 2 – bis, cod. proc. pen.”.

 

Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 23402 del 07/03/2024 Cc. (dep. 11/06/2024)

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