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La speranza è che questa sia davvero la volta buona per la separazione delle carriere. Speriamo che la politica, consapevole del proprio ruolo, abbandonando qualsiasi timidezza o addirittura timore nei confronti del potere più forte che c’è, non si lasci prendere dalla tentazione di un quieto vivere, abdicando alla Riforma delle Riforme, quella indispensabile a rendere il nostro un paese conforme ai canoni di una democrazia avanzata.

A cura di Nicola Madìa Abilitato Prof. Associato diritto penale Università Roma 2

art. pubblicato su “IL RIFORMISTA  (del 1 novembre 2024)

È infatti persino scontato che il Giudice non possa essere collega della parte che accusa, così come, d’altronde, l’arbitro non può essere un tesserato di una delle squadre che si affrontano sul rettangolo di gioco.

Perché è difficile restare imparziali quando si è vicini ad una delle parti in contesa, o, comunque, è difficile che all’esterno si appaia imparziali, non generando un sentimento di diffusa sfiducia verso l’equità di chi giudica.

Ove la riforma in gestazione fosse approvata: i) Giudice e PM seguirebbero due percorsi formativi separati, uno abbeverandosi alla cultura della giurisdizione, l’altro a quella dell’investigazione; ii) Giudice e PM sarebbero sottoposti a due sistemi di reclutamento diversi, corrispondenti alle differenti attitudini che devono dimostrare dopo il periodo formativo; iii) l’indipendenza e terzietà, soprattutto intellettuale, del Giudice, diventerebbe la migliore garanzia per evitare gli abusi connaturati a impostazioni inquisitorie e per creare negli inquirenti una vera cultura del risultato; iv) il PM continuerebbe a rivolgere istanze, ma il giudice, anziché limitarsi a ratificare, assumerebbe una postura davvero autonoma, scevra da pregiudizi dettati da un percorso formativo e professionale comune; v) terminerebbe infatti quella contaminazione della cultura della terzietà provocata dalla carriera unica che, lungi dall’avere introdotto una mentalità terza nelle procure, ha impregnato di venature inquisitorie la funzione giudicante; vi) due CSM distinti eviterebbero che le carriere dei giudici siano condizionate dai PM più potenti nella corporazione, con tutte le conseguenze sulla loro indipendenza di giudizio nei processi che contano; vii) la creazione di un Alta Corte per vagliare gli addebiti disciplinari, estranea al CSM, composta secondo logiche di reale imparzialità e autorevolezza, comincerebbe a garantire una qualche forma di responsabilizzazione per una categoria professionale investita del potere più immenso di cui può giovarsi un essere umano (quello di accusare e giudicare il prossimo), che può esercitare senza dovere rispondere a nessuno delle sue azioni; viii) solo con la separazione delle carriere il modello accusatorio troverebbe il terreno di coltura ideale in cui germogliare, senza continuare a camminare su piedi di argilla che si sciolgono facilmente al sole di un Giudice intimamente e istituzionalmente non indipendente, che spesso, quindi, reputa il confronto ad armi pari tra accusa e difesa, con tutte le sue regole, un mero ostacolo processuale, anziché un fondamentale presidio garantistico.

Hanno ragione quanti rammentano l’elevata percentuale di sentenze di assoluzione, ma non si deve dimenticare l’altissimo numero di imputazioni totalmente infondate che giungono a giudizio e che, ovviamente, qualsiasi giudice non può che rilevare, arrendendosi all’evidenza.

La sostanziale assenza di controlli effettivi sulla fondatezza della maggiore parte delle notizie di reato che, seguendo canali puramente burocratici, pervengono a dibattimento senza che un PM o un GIP abbiano compiuto un vaglio, preferendo apporre delle firme in calce a moduli, determina scontate assoluzioni.

Il problema della carriera unica si tocca con mano nel corso delle indagini preliminari relative a ipotesi investigative che fanno rumore sui media, in cui il GIP tende ad appiattirsi sul PM (concedendo in modo quasi automatico intercettazioni e misure cautelari), in fase di udienza preliminare, dove il GUP continua a rinviare immancabilmente a giudizio l’imputato, quando si tratta di decidere questioni incerte e controverse, che sfuggono a un’applicazione meccanica della legge, coinvolgendo la sensibilità del giudicante (come quando si valutano indizi e prove), allorché, soprattutto in primo grado, il giudice fatica a dare torto a un PM il quale abbia investito in un processo moltissimo in termini di impegno, visibilità e di reputazione, non potendo permettersi di perderlo.

Tutti noi avvocati penalisti conosciamo figure di magistrati talmente elevate da essere indipendenti per natura, da generare un sentimento di intima fiducia, al di là se ci danno ragione o torto, ma i cittadini devono potersi affidare alle regole e non alla buona volontà dei migliori.

 

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