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In tema di estradizione per l’estero, non è legittimo l’arresto eseguito a fini estradizionali per un reato punito nell’ordinamento dello Stato richiedente con la pena di morte né può essere applicata una misura cautelare coercitiva funzionale alla consegna. (In motivazione, si è precisato che la Corte di appello, investita della richiesta di convalida e della applicazione di misura provvisoria, non può limitarsi alla verifica formale dei presupposti dell’arresto a fini estradizionali, ma deve operare una valutazione prognostica, allo stato degli atti, sulla sussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione ai sensi degli artt. 698 e 705, comma 2, cod. proc. pen.).

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

 

La Suprema Corte, con la pronuncia n. 22945/2024, si è occupata di un caso molto delicato riguardante la avvenuta emissione di una ordinanza di convalida dell’arresto da parte della Corte di appello di Bologna – nella persona del Consigliere delegato – nei confronti di un soggetto di nazionalità pakistana accusato del reato di «tentato omicidio/rissa» disponendo la misura cautelare della custodia in carcere “come da mandato di arresto n. NIL emesso il 6 luglio 2012 dalla Corte distrettuale di Gujrat (Pakistan)”.

Preliminarmente, devesi rilevare che il ricorrente veniva tratto in arresto dalla p.g. poiché destinatario di un mandato di arresto emesso in data 6 luglio 2012 dalla Corte distrettuale di Gurjat “in relazione al reato di omicidio commesso nel villaggio di Chak Hussain, nel distretto di Gujrat, il 5/02/2012”.

Ciò posto, devesi evidenziare che, per tale reato, la legge pakistana (come espressamente previsto dagli artt. 302/109/148/149 del codice penale pakistano) prevede quale pena massima l’ergastolo o la pena di morte.

Secondo l’impugnata ordinanza la pena prevista in Pakistan per il predetto reato è conforme a quanto previsto in Italia dagli artt. 575 e 576 c.p.. Di tal che, ad avviso della Corte bolognese, ricorrevano i presupposti per la convalida dell’arresto anche alla luce della manifestata intenzione dello stato pakistano di formulare richiesta di estradizione.

Ciò posto, il ricorrente, per il tramite del difensore, articolava una serie di motivi di doglianza lamentandosi della correttezza dell’impianto motivazionale dell’impugnata ordinanza.

La Sesta sezione, investita del ricorso, reputava meritevole di accoglimento il primo e il terzo motivo dello stesso.

Orbene, con il primo motivo si deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza di convalida essendo stata disposta una misura cautelare nonostante il nostro ordinamento ne precluda l’emissione dal momento che il reato – cui si riferiva il mandato di arresto pakistano – è astrattamente punito, in Pakistan, con la pena capitale o, in subordine, con la reclusione a vita.

Di tal che, secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe dovuto convalidare il ridetto arresto alla luce del divieto assoluto di estradizione nei casi in cui vi sia il fondato motivo di ritenere che la persona sarà sottoposta, dallo stato richiedente l’estradizione, ad atti in contrasto con i diritti fondamentali della medesima (applicazione della pena di morte).

Il ragionamento dell’organo giudicante sarebbe, pertanto, palesemente viziato avendo la Corte di appello omesso di considerare che in Pakistan è prevista per il predetto reato la pena dell’ergastolo o, in alternativa, quella di morte.

Con altro motivo (il terzo) il ricorrente ha lamentato l’omessa motivazione dell’impugnata ordinanza in relazione:

  • alla descrizione dei fatti”;
  • alla corrispondenza tra il reato di omicidio di cui al mandato di arresto emesso dal Pakistan, l’arresto eseguito da parte della polizia giudiziaria ex art. 716 cod. proc. pen. per il reato di tentato omicidio e la richiesta di applicazione della misura coercitiva formulata dal Procuratore generale per “i reati” di tentato omicidio”.

Ciò posto, come detto precedentemente, la Suprema Corte ha reputato il ricorso fondato rilevando come il ricorrente sia stato tratto in arresto in Italia per il reato di omicidio volontario, il quale viene punito dalla Repubblica islamica del Pakistan con la pena di morte o, alternativamente, con quella dell’ergastolo.

Orbene, secondo la Sesta sezione, l’arresto convalidato dalla Corte italiana sarebbe avvenuto senza considerare il fatto che il Pakistan preveda, all’interno del proprio codice penale, anche la pena di morte in relazione al predetto reato.

Di tal che, non è condivisibile – ad avviso del Supremo Collegio – il ragionamento seguito dalla Corte di appello di Bologna e le conseguenti statuizioni cui essa è pervenuta.

In tal senso, degno di rilievo è il passaggio argomentativo a mezzo del quale la Corte di Cassazione esprime il proprio dissenso rispetto al contenuto di altra pronuncia della medesima sezione (cfr. Sez. 6, n. 4344 del 16/01/2004, Rafik, Rv. 228377) secondo cui “in tema di estradizione per l’estero, il provvedimento di convalida emesso dal Presidente della Corte d’Appello a norma dell’articolo 716, terzo comma, cod. proc. pen. si esaurisce in una verifica cartolare sull’esistenza delle condizioni legittimanti l’arresto relativamente al fatto-reato contestato, al fondamento probatorio della richiesta ed all’esistenza del titolo custodiale emesso dallo Stato richiedente, non investendo invece le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione, e segnatamente quelle di cui agli artt. 698 e 705, comma secondo cod. proc. pen., che competono alla Corte di Appello nella fase successiva del procedimento” e di una serie di datati pronunciamenti (Cass. Sez. 6 n. 2035 del 23/7/99 rv. 214933; n. 2416 del 12/1/00 rv. 215311) secondo i quali “il controllo che deve essere effettuato ai fini della convalida è un controllo di tipo diverso da quello compiuto a norma dell’art. 391 c.p.p., sia con riferimento ai termini per la convalida, sia con riguardo alle garanzie giurisdizionali, sia infine in ordine all’adozione di una misura coercitiva, e si esaurisce in una verifica cartolare, che non influisce minimamente sull’esito del procedimento di estradizione. Esso rappresenta in definitiva una mera delibazione sull’esistenza delle condizioni legittimanti l’arresto, relativamente al fatto reato contestato, al fondamento probatorio della richiesta e all’esistenza del titolo custodiale, emesso dallo stato richiedente”.

Ciò detto, la Suprema Corte ha espresso le proprie perplessità in ordine a una possibile condivisione di tali orientamenti.

Pertanto, la soluzione adottata è stata diametralmente opposta dal momento che la Sesta sezione ha optato per un diverso percorso argomentativo, sugellato dal contenuto di altra sentenza emessa dai Giudici di legittimità, secondo il quale “se il reato per il quale lo Stato richiedente intende presentare domanda di estradizione è punito, secondo quell’ordinamento, con la pena di morte, la circostanza è ostativa all’estradizione e, quindi, all’adozione di misure coercitive funzionali alla stessa” (cfr. Sez. 6, 16/4/2009 n. 25543, Akbari, in conformità a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 223/96).

Tale passaggio argomentativo è il punto cardine della sentenza allegata la quale considera indissolubilmente collegate tra di loro la misura precautelare e quella cautelare con la finalità estradizionale.

In tal senso devesi evidenziare che se da una parte il nostro ordinamento considera l’applicazione della misura coercitiva quale forma di garanzia per la futura consegna estradizionale, dall’altro tutela il destinatario della misura dal rischio concreto di sottoposizione a trattamenti (da parte del Paese richiedente) in contrasto con i diritti umani.

Difatti, la norma contenuta nell’art. 716 c.p.p. sancisce che, ai fini dell’arresto eseguito dalla p.g., devono ricorrere non solo l’urgenza, ma, anche le condizioni di cui all’art. 715, comma 2, c.p.p. (tra tali condizioni vi è, tra l’altro, la specificazione della pena prevista per il reato per il quale si procede).

Una situazione siffatta determina la necessità di verificare attentamente le condizioni che legittimano l’arresto a fini estradizionali e i presupposti per l’applicazione di una misura coercitiva da parte dell’Autorità giudiziaria procedente.

Seguendo tale ragionamento, il Supremo Collegio ha ribadito l’importanza di quanto stabilito dalla norma contenuta nell’art. 698 c.p.p. secondo cui l’estradizione può essere concessa solo nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia adeguatamente valutato la circostanza secondo la quale sia stata adottata una decisione irrevocabile avente a oggetto la comminazione di una pena diversa da quella di morte (o in caso di irrogazione della pena capitale è necessario che l’autorità giudiziaria abbia la sicurezza che si sia proceduto alla commutazione della stessa in pena diversa).

Pertanto, le garanzie poste a base della norma contenuta nell’art. 698 c.p.p. involgono, secondo la Corte, anche la fase antecedente “alla decisione sulla consegna, ovvero in quella precautelare e cautelare tra loro strettamente correlate e funzionalmente prodromiche ad essa, altrimenti non trovando giustificazione giuridica la compressione, anche solo temporanea e provvisoria, della libertà personale del soggetto attinto dalla attività di collaborazione internazionale”.

Da ultimo, risulta essenziale – secondo la Sesta sezione – ribadire il dictum più recente della medesima sezione che, in materia estradizionale con specifico riferimento (anche in tale occasione) al reato di omicidio su richiesta dello stato pakistano, ha stabilito perentoriamente che “in assenza di trattato con lo Stato richiedente, la regola prevista dall’art. 698, comma 2, cod. proc. pen. non consente l’estradizione processuale in favore dello Stato estero quando il fatto per il quale è domandata l’estradizione è punito con la pena di morte”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza e l’immediata liberazione del ricorrente enucleando il principio di diritto secondo cui “non è legittimamente eseguito l’arresto da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 716, comma 1, cod. proc. pen., ai fini estradizionali per un reato per il quale l’ordinamento dello Stato estero prevede la pena di morte, né può essere applicata, ai sensi dell’art. 716, comma 3, cod. proc. pen., una misura cautelare coercitiva provvisoria per lo stesso reato”.

 

Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza n. 22945 del 15/05/2024 Cc. (dep. 06/06/2024)

 

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