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La prima sezione, con la pronuncia in esame afferente il caso della tragica morte del giovane Willy Monteiro Duarte, è ritornata sul tema della concedibilità del beneficio delle circostanze attenuanti generiche in caso di condotta omicidiaria rilevando l’importanza della scrupolosa attenzione che il giudice del merito deve apprestare in ordine alla “complessiva intensità del dolo (la quale) dipende anche da altri fattori, fra i quali non secondario si profila quello — riguardante l’aspetto della consapevolezza — inerente al grado di coscienza avuto dall’agente del disvalore della condotta serbata, tanto più accentuata essendo, su tale versante di natura qualitativa, l’intensità del dolo quanto più immediata ed evidente risulti per l’agente l’antigiuridicità e l’antisocialità dell’azione delittuosa”.

La Corte di assise di Frosinone condannava gli imputati G.B., M.B., M.P. e F.B. poiché ritenuti responsabili della commissione in concorso del delitto di omicidio aggravato nei confronti di W.M.D. avendo gli stessi “cagionato la morte del ragazzo colpendolo reiteratamente con pugni e calci al capo, al collo, al torace e all’addome, anche quando questi si trovava oramai a terra, privo di sensi e non in grado di opporre alcuna difesa, provocando in persona della vittima un grave politraumatismo a livello cranio-toracico e addominale, con conseguente insufficienza cardiorespiratoria e arresto cardiocircolatorio; con l’aggravante di aver commesso il fatto per motivi futili, connessi a una lite all’interno di un locale, e abietti, connessi alla volontà di affermare, attraverso l’uso brutale della violenza fisica, il loro predominio e la loro supremazia nell’ambito territoriale di riferimento; in Colleferro, il 6 settembre 2020 (artt. 110, 575, 577, primo comma, n.4,cod. pen.)”.

Pertanto, il giudice di primo grado, esclusa la circostanza aggravante dei motivi abietti – e riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con la residua aggravante nei confronti dei soli M.P. e F.B. – aveva condannato G.B. e M.B. alla pena dell’ergastolo, M.P. alla pena di anni ventuno di reclusione e F.B. alla pena di anni ventitré di reclusione (con l’applicazione a tutti gli imputati dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e delle pene accessorie ex art. 32 c.p.) e disposto il risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite A. D. N. M., L. M.D., M.M., Comuni di Colleferro, Paliano e  Artena, da liquidarsi in separata sede, nonché il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 200.000,00 in favore di A.D.N.M., di L.M.D. e di euro 150.000,00 in favore M.M., oltre spese processuali.

La Corte di assise di appello di Roma, in parziale riforma della decisione emessa dalla Corte di assise di Frosinone, riconosciute agli imputati G.B. e M.B. le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con l’aggravante dei futili motivi, ha condannato i medesimi per il reato di omicidio aggravato e rideterminato la pena in anni ventiquattro di reclusione confermando la sentenza di primo grado nei confronti degli imputati P. e B. con il favore delle ulteriori spese per le parti civili.

I difensori di G.B., M.B., M.P. E F.B. interponevano ricorso avverso la sentenza emessa dal giudice di secondo grado.

I ridetti ricorsi venivano tutti rigettati.

Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, invece, proponeva ricorso per Cassazione invocando l’annullamento dell’impugnata sentenza nella parte in cui erano state riconosciute, dalla Corte territoriale, le circostante attenuanti generiche nei confronti degli imputati G.B. e M.B..

Secondo il P.G., la Corte di appello sarebbe incorsa in errore avendo applicato, attraverso un meccanismo meramente automatico e illogico, le circostanze attenuanti generiche a G.B. e M.B. per il solo fatto di aver reputato sussistente il dolo eventuale nella condotta omicidiaria posta in essere dai ridetti imputati.

Difatti, la Corte territoriale avrebbe motivato il riconoscimento del suindicato beneficio valorizzando il fatto che l’elemento soggettivo dell’azione omicidiaria era da individuarsi nel dolo eventuale, il quale è meno “intenso” del dolo intenzionale e del dolo diretto.

Di tal che, la “minore volontà omicidiaria” ha determinato la concessione delle attenuanti ex art. 62-bis c.p..

Ciò posto, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado:

  • non avrebbe considerato adeguatamente la gravità del fatto (trattasi di omicidio aggravato dai futili motivi e, pertanto, punito con la pena dell’ergastolo) e avrebbe applicato un illogico automatismo (non previsto dall’ordinamento) riconoscendo le predette attenuanti;
  • avrebbe “operato un’erronea commistione fra la forma e l’intensità del dolo” atteso che anche il dolo eventuale può essere connotato da una elevata intensità.

Nel caso di specie, la Corte di assise di appello di Roma, non avrebbe – secondo il P.G. – adeguatamente approfondito il tema afferente la progressiva ingravescenza della condotta lesiva realizzata ai danni della vittima da parte di tutti gli imputati che, nonostante lo stato remissivo del giovane ragazzo, avevano dato seguito alla iniziale azione violenta posta in essere dall’imputato G.B.. Infine, con un secondo motivo di censura, il P.G. ha lamentato la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha reputato l’estraneità dei due imputati (tra loro fratelli) alla fase iniziale del litigio e nel segmento argomentativo nel quale ha qualificato l’esaurimento della loro condotta omicidiaria in un breve lasso di tempo senza, però, considerare che erano stati i fratelli B. “ad aver avuto un ruolo preponderante nella dinamica lesiva, sia sotto il profilo del determinismo dell’azione, sia sotto il profilo del determinismo dell’evento”.

La prima sezione della Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dal P.G., ha evidenziato gli errori in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado attraverso la mitigazione del trattamento sanzionatorio avvenuto grazie al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Difatti, da una parte la Corte di assise di Frosinone aveva considerato non concedibili le attenuanti ex art. 62 bis c.p. in favore degli imputati G.B. e M.B. stante “l’incontestabile gravità del fatto, concretatosi nella brutale uccisione di un giovane inerme” e la “negativa (…) valutazione della loro pronunciata capacità a delinquere (…)” essendo i medesimi “dotati di personalità allarmante, privi di attività lavorativa eppure connotati da tenore di vita elevato, nonché protagonisti di un comportamento post factum dimostrativo dell’assenza di qualsiasi revisione critica del loro gravissimo operato deviante”.

Invece, la Corte di assise di appello di Roma ha considerato anche gli imputati G.B. e M.B. meritevoli delle circostanze attenuanti generiche sottolineando, non solo, il grado del dolo (dolo intenzionale), ma evidenziando come i fratelli fossero stati “estranei del tutto al contrasto iniziale, da cui era scaturita l’aggressione”. In tal senso, secondo i giudici di secondo grado, la condotta posta in essere dai medesimi si sarebbe concretizzata “in un breve lasso di tempo e il pestaggio era ascrivibile anche agli altri imputati”. Ancora, secondo la Corte territoriale “la negativa personalità dei Bianchi non era così soverchiante da prevalere sull’elemento soggettivo del reato, dovendo svalutarsi alcune delle circostanze citate dai giudici di primo grado” e dovendosi, pertanto, reputare fondata “la censura (mossa in appello dagli imputati) dell’eccessivo clamore mediatico riversatosi sul processo” la quale non avrebbe permesso alla Corte di assise di Frosinone di procedere a una obiettiva valutazione del fatto nella sua interezza.

Ciò posto, la prima sezione ha fermamente censurato il passaggio argomentativo afferente l’avvenuto riconoscimento del beneficio in favore dei fratelli G.B. e M.B. sottolineando l’importanza del consolidato principio di diritto secondo il quale “nel motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo necessario e sufficiente che egli — con motivazione insindacabile in sede di legittimità, ove però essa sia non contraddittoria — dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione” (cfr. Sez. 2, n. 23903 del15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3896 del20/01/2016, D e Cotiis, Rv. 265826 – 01).

Di tal che, secondo la Suprema Corte, il giudice di secondo grado avrebbe potuto riconoscere il ridetto beneficio in favore dei due fratelli solo dopo aver precisamente individuato gli “elementi ritenuti adeguati a fondare tale approdo e, allo stesso tempo, spiegando le ragioni per le quali i fattori esposti dai giudici di primo grado non fossero ostativi all’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.”.

Invece, nel caso di specie, seguendo il dictum della prima sezione, devesi evidenziare:

  • che la Corte di assise di appello non ha fornito un’adeguata motivazione con specifico riferimento alla particolare gravità del fatto ossia “del delitto nel suo insieme di elementi, sia quello strutturale che quello psicologico, per gli effetti di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., complessivamente considerato, in relazione al disposto di cui all’art. 62-bis cod. pen.”;
  • che la Corte territoriale “si è limitata a far leva sulla natura eventuale del dolo che ha sorretto l’azione omicidiaria per superare le considerazioni ostative spese dai giudici di primo grado”;
  • che i giudici di secondo grado hanno “concentrato la loro valutazione sul criterio del dolo posto a base dell’azione, omettendo di inserirlo — sia pure, ove del caso, per annettere allo stesso rilevanza determinante — nel complesso di elementi a cui la prima decisione aveva operato un compiuto riferimento. In secondo e coordinato luogo, con specifico riferimento all’intensità dell’elemento soggettivo, appare necessaria una precisazione”.

Pertanto, se è vero che il livello di intensità del dolo costituisce un parametro fondamentale ai fini della valutazione dell’intensità dell’elemento psicologico, è vero anche che l’analisi della “complessiva intensità del dolo dipende anche da altri fattori, fra i quali non secondario si profila quello — riguardante l’aspetto della consapevolezza — inerente al grado di coscienza avuto dall’agente del disvalore della condotta serbata, tanto più accentuata essendo, su tale versante di natura qualitativa, l’intensità del dolo quanto più immediata ed evidente risulti per l’agente l’antigiuridicità e l’antisocialità dell’azione delittuosa”.

Nel caso di specie, tale complessiva valutazione è carente, atteso che la Corte di appello è incorsa in un vizio logico nella parte in cui non ha illustrato adeguatamente per quale motivo l’inziale assenza dei fratelli nel momento in cui è scoppiato il litigio, “il tempo di dispiegamento della condotta e il mero carattere concorsuale dell’azione costituita dal pestaggio di gruppo” abbiano potuto assumere “valenza attenuativa”.

E, ancora, i Giudici di legittimità hanno condiviso la doglianza del Procuratore generale nella parte in cui ha censurato la motivazione di secondo grado con specifico riferimento al fatto che, secondo la Corte di appello, il clamore mediatico abbia potuto inquinare la valutazione in ordine alla corretta disamina della personalità degli imputati.

Secondo la prima sezione, “i giudici di appello hanno contrapposto l’addebito alla sentenza di primo grado di cedimento all’eccesso di clamore mediatico, addebito che si è, tuttavia, arrestato allo stadio dell’epidermica enunciazione, senza peraltro nulla osservare in tema di persistente e totale mancanza di revisione critica nel comportamento degli imputati, in tal senso contribuendo” tanto da “rendere contraddittoria la motivazione resa sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche” a G. e M.B..

Sulla scorta di tali considerazioni, la prima sezione ha disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza ad altra sezione della Corte di appello di Roma in ordine alla concedibilità o meno delle circostanze attenuanti generiche in favore degli imputati G.B. e M.B.

Ciò posto, la Suprema Corte ha escluso dal provvedimento di rigetto il motivo di doglianza proposto dall’imputato G.B. trattandosi di questione assorbita “in dipendenza dell’accoglimento dell’impugnazione del Procuratore generale territoriale”.

Nello specifico, trattavasi della critica mossa dal ricorrente G.B. in ordine al trattamento sanzionatorio irrogato nei propri confronti dalla Corte di assise di appello di Roma e alla omessa valutazione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta circostanza aggravante.

Di tal che, “ogni determinazione sul contenuto di questa doglianza esige la previa definizione del tema afferente al riconoscimento o meno all’imputato delle suddette attenuanti, punto che rimane sub iudice”.

 

Cass. Pen., Sez. I, sent. 34791/2024, Ud. 09/04/2024

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