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È giusto che ognuno, non addetto ai lavori, sappia cosa prevede la legge e come funziona invece la prassi nel mondo della giustizia. Attraverso per esempio questo articolo di Repubblica dal titolo “Chiara non è pentita e mente ancora”, pubblicato domenica 29 settembre e nel quale si riportano ampi stralci dell’ordinanza cautelare con cui il GIP di Parma ha messo agli arresti domiciliari la ragazza accusata di aver ucciso 2 suoi bambini dopo il parto a distanza di un anno uno dall’altro, si comprende perfettamente l’assoluta anomalia del funzionamento delle misure cautelari nel nostro paese.

Il commento di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia

La legge prevede che per mettere in carcere o agli arresti domiciliari una persona prima della condanna definitiva è necessaria la dimostrazione di una esigenza cautelare, nella maggior parte dei casi il “pericolo di reiterazione dello stesso reato”, cioè il fatto che, se quella persona viene lasciata libera, c’è il pericolo concreto che ricommetta nuovamente lo stesso tipo di reato.
Per i reati particolarmente gravi come l’omicidio, si presume la sussistenza dell’esigenza cautelare, salvo che, nel caso concreto, in base agli elementi di prova a disposizione, la stessa sia esclusa.
Ebbene, nel caso della ragazza accusata degli orrendi fatti, sarebbe evidente anche ad un bambino di 5 anni che il pericolo di reiterazione di questo o altri reati contro la persona non può sussistere, perché il delitto si è occasionato esclusivamente nella condizione di termine gravidanza della ragazza, situazione che, oggi come oggi, almeno per ancora 9 mesi, non può verificarsi. Ed ecco che scatta la finzione argomentariva del giudice che deve a tutti i costi dare un messaggio forte e tranquillizzante per la società: una persona che fa una cosa così orrenda non può rimanere in libertà, non si possono attendere gli anni del processo.
Senza bisogno di particolari commenti, riportiamo qui di seguito alcuni passaggi dell’ordinanza cautelare che, attraverso la sua pubblicazione su tutti i giornali e siti web, ha contribuito a creare un mostro.
Un mostro che nella realtà non esiste così come descritta, perché è chiaro che non ci troviamo in presenza di un killer, come invece nell’ordinanza viene dipinta questa giovane donna.
Una persona che certamente ha bisogno di un aiuto di tipo psicologico, ma non del carcere, visto che non può di certo uccidere andando a comprare il pane.
Sono frasi che si commentano da sole, tanto sono inverosimili e artificiose.
Leggiamole: “Chiara, se lasciata libera, può commettere altri reati della medesima specie, tenuto conto della sua personalità dalla quale si desume la pervicacia dimostrata nel cercare l’occasione per concretizzare il suo proposito, studiando per mesi il modo di non sperimentare l’esperienza della maternità, con una costanza degna di miglior causa; … ciò rende verosimile che Chiara non abbia remore ad affrontare in modo analogo nuovi ostacoli al suo vivere serenamente che trovi insopportabili, al punto di farle vincere le remore a usare violenza a chi vi si frapponga, considerato il disprezzo per la vita umana che ha dimostrato”.
Se il reato che può nuovamente commettete Chiara e che giustificherebbe la sua privazione di libertà prima del processo è l’uccisione di un suo ipotetico terzo figlio appena dopo il parto, che senso logico hanno queste parole – piene di finzione e di artificio – usate dal giudice? Cosa si vuole sostenere: che Chiara di fronte a qualsiasi problema, a qualsiasi diverbio, ucciderebbe a sangue freddo il suo interlocutore, che se un giorno – andasse a prendere il pane e litigasse con il panettiere lo ucciderebbe ? … Non scherziamo.
La verità – se vogliamo raccontarla ai cittadini come dicono di voler fare i giornalisti per giustificare la gogna mediatica di ogni malcapitato – è che questo artificio retorico, presente praticamente in ogni ordinanza cautelare, serve a supplire alla mancanza di un’effettiva pericolosità sociale del soggetto che viene messo anticipatamente in carcere o agli arresti domiciliari, non perché è un pericolo per gli altri, ma solo ed esclusivamente per la gravità dell’uccusa che gli viene rivolta. Peccato che la nostra Costituzione preveda che, per perdere il bene supremo della libertà prima di una condanna definitiva, non abbia alcun rilievo la gravità del reato, ma sia necessario un pericolo concreto e attuale che il soggetto commetta nuovamente lo stesso tipo di delitto.
Quando questo pericolo non c’è, viene creato nell’ordinanza con le parole ed è questo uno dei fondamentali motivi per cui – quantomeno – il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari servirà ad evitare la presentazione all’opinione pubblica di un mostro artificiale, che serve al giudice solo per giustificare l’arresto.
Un cittadino che, per quanto “maledetto” agli occhi dell’opinione pubblica, dovrebbe – secondo la Costituzione – affrontare il processo in stato di libertà.

 

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