La terza sezione – ritornando sul tema afferente la possibilità di concessione della circostanza prevista dalla norma contenuta nell’art. 609 bis, comma 3, c.p. – ha ribadito  che “in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto”.

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Monza, riduceva sia la pena inizialmente comminata all’imputato in 3 anni e 2 mesi di reclusione sia l’importo delle provvisionali dovute nei confronti delle costituite parti civile.

L’imputato è stato ritenuto colpevole del reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 609 bis c.p. per aver indotto la persona offesa (classe 1997 e, all’epoca dei fatti, minorenne) a compiere e a subire atti sessuali sfruttando le condizioni di inferiorità fisica e psichica della p.o., la quale considerava l’imputato non solo un insegnante di musica, ma anche il padre che non aveva mai avuto.

Ciò posto, la Suprema Corte, investita del ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte milanese, dichiarava il medesimo infondato.

L’imputato, per il tramite del difensore, con i primi due motivi di doglianza censurava:

  • l’erronea valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sia da parte del giudice di primo che di secondo grado, attesa la sussistenza – nel corpo del narrato – di elementi altamente contraddittori;
  • l’erronea applicazione dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1 c.p. non avendo, la Corte milanese, specificato in cosa sarebbe consistita la condotta di persuasione sottile e subdola che avrebbe perpetrato l’imputato nei confronti della persona offesa per carpirne la fiducia. Ancora, secondo il ricorrente, la Corte avrebbe considerato le azioni (alcune delle quali avvenute asseritamente quando la p.o. versava in uno stato di dormiveglia e altre quando la stessa era sveglia) commesse in assenza di consenso considerata l’operazione, posta in essere dall’imputato, volta ad aggirare la fiducia instillata nei confronti della persona offesa. Di tal che, la Corte avrebbe erroneamente sovrapposto l’attività induttiva e quella costrittiva non procedendo alla redazione di una motivazione adeguata sul punto.

Infine, con il terzo motivo, il ricorrente censurava la mancata applicazione della circostanza attenuante della minore gravità, rilevando l’assoluta episodicità degli eventi (trattasi unicamente di due fatti avvenuti a distanza di tre anni l’uno dall’altro) alla luce di una persistente frequentazione intercorsa, nel corso del tempo, tra l’insegnante e l’allievo.

Ciò premesso, la terza sezione non ha condiviso le argomentazioni difensive rilevando, preliminarmente, come l’apparato motivazione della sentenza di primo e di secondo grado sia immune da illogicità con specifico riferimento alla valutazione operata dai giudici di merito rispetto al contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alla attendibilità delle medesime.

Difatti, la narrazione del minore è sempre stata caratterizzata da precisione, costanza, spontaneità nonché confermata dalle dichiarazioni degli altri soggetti escussi e, soprattutto, dal contenuto del propalato della psicoterapeuta che aveva riscontrato “un quadro ansioso con tratti depressivi e aspetti ossessivi, ma in un contesto soggettivo connotato da un ottimo livello cognitivo, che ha consentito al giovane di elaborare la realtà in modo adeguato, pur con la difficoltà di dover gestire una delicata fase emotiva”.

Tale ultimo segmento argomentativo assume fondamentale rilievo atteso il diniego opposto dalla Corte di appello di Milano (e condiviso dai Giudici di legittimità) alla richiesta, formulata dalla difesa, di disporre un accertamento peritale volto a verificare la capacità di testimoniare del denunciante.

Difatti, secondo la Suprema Corte, considerato il dictum delle Sezioni Unite, “la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti” (cfr. sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016).

Nel caso di specie, non è stata rinvenuta la suddetta impossibilità di decisione “allo stato degli atti”.

Ciò posto, la terza sezione ha reputato l’impugnata sentenza immune da qualsivoglia criticità rispetto alla operata qualificazione giuridica dei fatti.

L’avvenuta contestazione del reato sia nella forma costrittiva che in quella induttiva è stata determinata dal ruolo assunto dall’imputato che, nella qualità di insegnante, ha sfruttato la condizione di inferiorità del suo allievo.

Pertanto, la ricostruzione operata dalla Corte territoriale è immune da illogiche sovrapposizioni.

Difatti, alcune condotte sono state commesse dall’imputato quando l’allievo trovavasi in uno stato di dormiveglia ed era impossibilitato a prestare un valido consenso (forma costrittiva).

Altre, invece, sarebbero avvenute con la “scusa” di dover sciogliere i muscoli del ragazzo (in zone erogene) al fine di migliorare le prestazioni musicali del minore.Tali operazioni sarebbero state commesse dal ricorrente sfruttando il proprio ruolo di insegnante e la fiducia che l’allievo provava nei suoi confronti (forma induttiva).

Tale ricostruzione, operata dai giudici del merito, risulta, pertanto, immune da errori e da incogruità logiche, ponendosi – secondo la Suprema Corte – in linea con il predominante orientamento di legittimità nella subiecta materia secondo cui “in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione a compiere o a subire atti sessuali, rilevante a norma dell’art. 609 bis, comma secondo, n. 1, cod. pen. si realizza quando l’agente, con un’opera di persuasione spesso, ma non necessariamente, sottile o subdola, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente quest’ultima non avrebbe compiuto, avvalendosi consapevolmente delle condizioni in cui essa si trova al momento del fatto”.

Infine, con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 609 bis comma 3 c.p., la terza sezione ha rimarcato la gravità del grado di compromissione, operata dall’imputato, sulla  libertà sessuale della persona offesa, la quale ha “ereditato” non solo difficoltà ad avere una sana relazione intima con la propria fidanzata, ma anche un turbamento interiore tale da dover interrompere il rapporto affettivo con la stessa stante l’emersione del trauma per le molestie cagionategli dall’insegnante.

Una situazione siffatta, secondo il Supremo Collegio, si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto” (cfr. Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, Rv. 277615 e Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196).

 

Cass. pen., sez. III, ud. 12 aprile 2024 (dep. 2 settembre 2024), n. 33334

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