3314738874 ---/--- camerapenalelocri@pec.it direttivo@camerapenaledilocri.it

La legge n. 114 del 9 agosto 2024, meglio conosciuta come “Riforma Nordio”, è la vivida esemplificazione della distanza siderale intercorrente tra le richieste di aiuto di un sistema giustizia che da anni raschia il fondo del barile e i flebili, se non addirittura inefficaci, rimedi adottati per arginare un fiume che esonda da decenni.

In tal senso, l’intervento modificatorio dell’art. 291 c.p.p. è, forse, uno degli esempi più concreti di quanto detto sopra.

Partiamo da un presupposto. La “Riforma Nordio” avrebbe ragion d’essere in un sistema perfetto. Il grande problema (lontano dagli occhi di chi è alla “cabina di regia”) è che il sistema giustizia italiano è l’esatta antitesi della perfezione

Il commento di Marco Latella – penalista del Foro di Locri

Ritornando alle modifiche alla norma contenuta nell’art. 291 c.p.p., i temi “più caldi” sono, indubbiamente, l’introduzione del giudice collegiale per l’adozione della primigenia misura cautelare e “l’entrata in scena” dell’interrogatorio preventivo all’applicazione della misura da disporre nei confronti del soggetto che sarà potenzialmente destinatario della misura cautelare medesima.

Ciò posto, la norma prevede delle deroghe espresse ai casi di applicazione della misura da parte del giudice collegiale. Tali deroghe sono, senza ombra di dubbio, imponenti e riguardano una percentuale consistente di procedimenti in relazione ai quali non è possibile l’intervento del giudice collegiale (per l’adozione della misura cautelare) e l’utilizzo dell’interrogatorio preventivo.

Al di là di ogni considerazione sulla percentuale di procedimenti che potrebbe, in linea teorica, riguardare il neo art. 291 c.p.p., l’attenzione si sposta su alcune questioni fondamentali (ma i dilemmi potrebbero essere, in realtà, molti di più).

La prima è legata al numero di magistrati che un Tribunale dovrebbe avere in pianta stabile per garantire una effettiva e concreta applicazione della norma suindicata. Il problema non è di poco conto ove solo si pensi che, nella maggior parte dei Palazzi di Giustizia in Italia, il numero di magistrati in organico non è sicuramente paragonabile a quello previsto, per esempio, per il Tribunale di Milano. Il Legislatore non ha, forse, per disattenzione tenuto conto del fatto che il procedimento cautelare – pur essendo un procedimento delicatissimo e, in alcuni casi, decisivo ai fini del futuro giudizio sulla penale responsabilità dell’imputato – è solo la fase embrionale del procedimento.

Questa piccola digressione è motivata dal fatto che un Tribunale di provincia (e, in Italia, i processi non vengono ovviamente celebrati solo nelle grandi città) paga inesorabilmente la scelta del Legislatore.

Pertanto, solo un sistema perfetto garantirebbe la presenza di un numero talmente elevato di magistrati in organico da evitare il problema della futura incompatibilità a decidere.

Questo perché il procedimento non si conclude, ovviamente, con l’applicazione della misura posto che l’indagato, una volta esercitata l’azione penale, diventerà imputato e avrà il diritto al suo equo processo. Di conseguenza, sarà necessario un GUP, sarà necessario un Giudice monocratico e nella peggiore delle ipotesi (ovvero nella stragrande maggioranza dei casi) un Giudice collegiale.

Se così è, il nuovo dettato normativo richiede, nella migliore delle ipotesi, la presenza di almeno cinque magistrati (tra fase procedimentale e processuale) e di sette nella peggiore. Il numero non è di poco conto ove solo si consideri che un magistrato non potrebbe partecipare alla fase del giudizio (come giusto che sia!) nel caso in cui, durante la fase delle indagini preliminari, abbia firmato un solo decreto autorizzativo alle operazioni intercettive.

Nessun problema, ovviamente, si porrebbe con una presenza in organico, di tutto rispetto, di magistrati in ogni Tribunale del territorio italiano.

Ma, come detto all’inizio, il nostro non è un sistema perfetto e i vuoti di organico sono la normalità.

Il fatto che le modifiche al nuovo art. 291 c.p.p. entreranno in vigore solo tra due anni non è confortante atteso che gli interventi volti ad aumentare il ruolo organico della magistratura ordinaria per tutto il 2025 sembrano essere una mera “vittoria di Pirro”.

Ciò che è stato finora esposto è supportato dagli stessi dati che annualmente vengono resi noti dal CSM.

Pertanto, dalla semplice disamina delle percentuali relative al tasso di scopertura degli organici – le quali sono state oggetto di pubblicazione da parte dell’Ufficio statistico del Consiglio Superiore della Magistratura – si evince la assoluta gravità della situazione.

Ecco che il problema da potenziale diventa concreto e tangibile.

A titolo esemplificativo si riportano alcune scoperture effettive di organico (aggiornate al 31.12.2023) superiori al 18 % presso alcuni Tribunali dislocati in tutta Italia (ovvero nel “luogo naturale” ove, secondo quanto prospettato dalla “Riforma Nordio”, dovrebbe esservi, nei prossimi due anni, un numero adeguato (?) di magistrati per far fronte, tra le tante questioni, anche al nuovo procedimento cautelare).

Ecco che il Tribunale di Vibo Valentia presenta una scopertura di organico pari al 18,2 % . La scopertura a Venezia è pari al 24,2 %, a Trani è del 25 %, a Torino è del 20,4 %, a Lamezia Terme è del 58,8 %, a La Spezia è pari al 33,3 %, a Crotone è del 21,7 %, a Caltanissetta è del 20,6 %, a Brindisi è pari al 21,1 % e a Bologna è del 20,5 % .

Ciò posto, su 139 sedi dislocate in tutta Italia, secondo l’Ufficio statistico del CSM, ben 50 sedi presentano gravi deficit di organico.

I numeri sono ancor più preoccupanti ove solo si pensi che le singole Corti di appello – le quali, in numerose occasioni, devono necessariamente attingere alle risorse umane dei Tribunali per far fronte alla propria emergenza di organico – sono in evidente difficoltà.

A titolo esemplificativo si riportano alcuni dati.

La Corte di appello di Cagliari presenta una scopertura di organico pari al 36,4% .

La Corte di appello di Catanzaro una scopertura pari al 22,2 % .

La Corte di appello di Genova ha una scopertura del 23,9 % .

La scopertura presso la Corte di appello di Milano è del 20,3 % .

Il primato è quello della Corte di appello di Reggio Calabria che presenta una scopertura di organico pari al 43,6 %

Su 26 Corti di appello dislocate su tutto il territorio nazionale, secondo l’Ufficio statistico del CSM, ben 21 sedi presentano un deficit d’organico superiore alla soglia d’allarme pari al 15% .

Ciò posto, il Consiglio Superiore della Magistratura, con delibera datata 17.04.2024, ha sottoposto al Ministro della giustizia alcune misure al fine di colmare le “gravi scoperture di organico della magistratura ordinaria”. Il CSM, pur consapevole della presenza di tre concorsi in atto, è conscio del fatto che i futuri magistrati prenderanno servizio non prima dell’autunno del 2025 e, nel frattempo, cesserà l’attività lavorativa di altri.

Uno degli interventi richiesti è stato quello di snellire non solo le prove concorsuali ma, anche, di ridurre (per i soli vincitori dei concorsi pendenti) il periodo di tirocinio formativo previsto per il magistrato di nuova nomina.

Tale soluzione non convince per una serie di ragioni.

Il magistrato non è un burocrate. La formazione iniziale del medesimo è fondamentale al fine di garantire al cittadino una adeguata capacità di giudizio e di discernimento sia durante la fase procedimentale sia durante quella processuale.

Il momento cruciale per ogni nuovo magistrato è il proprio ingresso in Tribunale e, soprattutto, in aula.

Il giudicante non ha di fronte a sé un fascicolo, ma un essere umano.

Il magistrato ha il compito di valutare adeguatamente ogni elemento a sua disposizione ai fini della decisione.

Il sacrificio afferente il periodo “di formazione” riverbera i propri effetti sull’imputato (e nella maggior parte dei casi non stiamo ovviamente parlando di effetti positivi).

Il neo giudicante, durante il proprio tirocinio, ha la grande opportunità di arricchire il bagaglio giuridico ma, soprattutto, quello umano penetrando nel fatto e nelle sue sfaccettature.

La proposta del CSM, in tal senso, rischia di produrre conseguenze deleterie e di propinare una soluzione che non risolve il problema (anzi lo aggrava).

Come si suol dire, se Atene piange, Sparta non ride.

Se il primo “dilemma” ha una natura eminentemente numerica e organizzativa, il secondo è un problema giuridico.

In realtà, il secondo problema si snoda in una serie di altri quesiti.

Difatti, pur dovendo scindere la fase cautelare da quella del giudizio, quanto può incidere la decisione di ben due giudici collegiali (giudici che applicano la misura e Tribunale del riesame) sul futuro giudizio?

Non sono rari i casi in cui – quando l’imputato opta per il c.d. giudizio abbreviato – la sentenza di primo grado emula in gran parte il contenuto dell’ordinanza applicativa della misura cautelare (o, addirittura, dell’informativa di reato).

Pur dovendo rimanere assolutamente verginea la imparzialità decisoria del giudice di primo grado, quanto può incidere la decisione di due precedenti giudici collegiali su quello che dovrà essere il giudizio di penale responsabilità?

Il rischio è quello di aprire le porte a una giustizia quantitativa e non qualitativa. Se così dovesse essere, il sistema giustizia rischierebbe di “accettare” decisioni giudiziali fondate su una sorta di giudizio dei più.

Di conseguenza, la formazione di un negativo giudicato cautelare costituirebbe l’anticamera del futuro giudizio di penale responsabilità nei confronti dell’imputato.

Ciò potrebbe determinare una preoccupante commistione tra le due fasi ossia quella cautelare e quella del giudizio.

Tale rischiosa possibilità determinerebbe la formazione di un progressivo meccanismo di “copia-incolla” del giudicato cautelare formatosi a seguito della decisione di ben due organi collegiali (se non, addirittura, tre volendo includere anche il giudizio di legittimità innanzi alla Suprema Corte di Cassazione).

Eppure le regole di giudizio che governano i due procedimenti sono assolutamente differenti.

Questo, però, ben poco importa in un sistema perfetto come quello italiano.

Altro problema attiene alle effettive garanzie per l’indagato in un contraddittorio “anticipato”.

Come può l’indagato esercitare correttamente il proprio diritto di difesa nel caso in cui decidesse di rispondere all’interrogatorio preventivo? E se optasse di avvalersi della facoltà di non rispondere? Quali sono le conseguenze sulla scelta del diritto al silenzio?

L’ultimo quesito (l’esercizio del c.d. right to silence) è, forse, quello ad avere una risposta evidentemente scontata. Nella maggior parte dei casi (se non sempre) il diritto al silenzio determinerà il pagamento di un pesante dazio.

Una situazione consimile apre le porte a scenari inquietanti.

L’indagato, consapevole dei rischi derivanti dall’esercizio di un suo diritto, si ritroverà davanti a una “collaborazione” forzata. Il rischio (altamente concreto) di incentivare una sorta di spinta collaborativa o confessoria della persona sottoposta alle indagini potrebbe essere determinato dalla paura della misura che di lì a poco potrebbe essere applicata (custodia in carcere fra tutte).

È importante che l’indagato collabori, ma, al contempo, egli deve potersi difendere anche non rispondendo.

La collaborazione “per paura” non è una risposta giuridicamente condivisibile.

Ciò posto, l’analisi si sposta sul caso opposto: l’indagato si determina a rispondere all’interrogatorio preventivo.

La riforma non ha lasciato “nulla al caso” e l’introduzione del nuovo comma 1 octies alla norma contenuta nell’art. 291 c.p.p. garantisce e tutela il contraddittorio anticipato in tutte le sue sfumature.

L’indagato, destinatario di una futura misura cautelare, avrà la possibilità di accedere al contenuto “della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti presentati ai sensi del comma 1”.

Il carattere evidentemente ironico di quanto superiormente esposto si scontra con la dura realtà del codice di rito.

Difatti, le indagini non si concludono con l’applicazione della misura cautelare o con la richiesta di applicazione della medesima.

La prosecuzione delle stesse incide in modo decisivo sul “contraddittorio anticipato” posto che l’impossibilità di accedere a una serie di atti (frutto di una legittima attività investigativa), i quali saranno oggetto di discovery solo dopo la notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., conduce l’indagato a dover necessariamente scegliere se giocare a carte solo semi-scoperte o a rischiare di non rispondere con tutto ciò che ne consegue (rischi annessi e connessi). 

Ecco che il sistema frana e il “contraddittorio anticipato” si sgretola inesorabilmente.

Un’ultima questione potrebbe sembrare paradossale, ma il rischio che si verifichi una situazione – che di qui a poco verrà illustrata – è concreto.

Le deroghe introdotte al comma 1 quater dell’art. 291 c.p.p. circoscrivono l’ambito di applicabilità di questo innovativo procedimento cautelare.

Ma se le deroghe divenissero esse stesse la regola?

La disamina della norma suindicata inducono a ritenere possibile la paralisi del nuovo procedimento.

La poca chiarezza della norma conduce a un nodo gordiano. Difatti, l’analisi letterale del comma 1 quater sembra non lasciare spazio a interpretazioni di sorta. L’applicazione dell’interrogatorio anticipato all’applicazione della misura sarà possibile solo se l’organo inquirente non dovesse ritenere sussistente una delle esigenze cautelari previste dal suindicato comma 1 quater.

Ecco che la deroga diventa regola comune. L’inquirente, nella sua legittima valutazione delle esigenze, potrebbe ritenere sussistente una delle medesime ossia una di quelle esigenze cautelari che non permettono non l’applicazione del nuovo istituto.

La norma sul punto non sembra lasciare al giudice della cautela margini di intervento preventivo sulle esigenze cautelari che siano state reputate sussistenti dall’organo inquirente.

Se così è, il rischio potrebbe concretizzarsi in una invocazione continua da parte dell’inquirente di una semplice esigenza cautelare che non permette l’ “attivazione” del nuovo procedimento cautelare.

La deroga diventa regola e – in assenza di un vaglio preventivo del giudice della cautela (stante il silenzio normativo sul punto) – il neo procedimento diventa inattuabile.

Questa serie di dubbi e di dilemmi non si pongono, ovviamente, nel sistema “perfetto” italiano.

L’unico problema è che, nel nostro sistema, di perfezione non vi è nemmeno la parvenza.

potrebbero interessarti…

il blog della camera penale di locri

Gli approfondimenti…

Misure di prevenzione

separazione delle carriere

Indagini e Investigazioni scientifiche

separazione delle carriere

Diritto penale militare

separazione delle carriere

E-learning

separazione delle carriere

Comunicati

separazione delle carriere

Eventi

eventi della camera penale di locri

Iniziative

separazione delle carriere

Moduli

separazione delle carriere

La nostra Storia

separazione delle carriere

News dalle Sezioni Unite

…entra

news dalle sezioni unite

Iscriviti alla Newsletter della Camera Penale di Locri. Per rimanere sempre aggiornato.

La nostra Newsletter invierà solo articoli inerenti il Diritto e tutte le novità del settore. Non invieremo pubblicità. Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Iscrivendoti alla nostra Newsletter  acconsenti al trattamento dei dati personali ai sensi della legge n. 196/2003 e successive modifiche Regolamento UE 2016/679. Concessione del consenso per ricevere esclusivamente approfondimenti di interesse giuridico. Per ulteriori informazioni, clicca qui