LA NOTIZIA: L’esclusione dell’appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento nei procedimenti per reati a citazione diretta è solo un esempio delle finte e deboli garanzie della legge “Nordio” approvata in via definitiva alla Camera nella giornata di ieri; un passo indietro e non in avanti verso una società liberale.
Il commento di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia
Se il principio del ragionevole dubbio e della certezza della colpevolezza (che deve imporre ad ogni giudice di lasciare libero un cittadino quando mancano le prove anche se è convinto che sia colpevole) si riflette nel fatto che una sentenza di assoluzione è essa stessa la dimostrazione che quelle prove sono insufficienti, limitare l’inappellabilità alle sole sentenze di proscioglimento per i reati meno gravi non solo tradisce la logica di partenza del ragionamento ma costituisce una accettazione consapevole da parte del legislatore che possano esserci condanne definitive sulla base di prove deboli e contrastate.
Senza che ce ne accorgiamo, con questa riforma viene creato un doppio binario nello standard probatorio: per i reati bagatellari deve prevalere il ragionevole dubbio, ma per tutti gli altri viene legalizzato un abbassamento del grado della prova al di sotto della certezza, invertendo, di fatto, la regola del ragionevole dubbio; anche un bambino, infatti, capirebbe che, se le stesse prove portano alcuni giudici ad una pronuncia di innocenza ed altri ad una decisione di colpevolezza, è razionalmente impossibile che queste prove siano certe, anche se la nuova sentenza di condanna le spaccerà come tali.
Così come chiunque è in grado di percepire l’ingiustizia di una condanna definitiva proveniente da una sentenza di appello che ha ribaltato una decisione di primo grado di assoluzione, rispetto alla quale il nostro sistema non ammette un riesame di merito ma solo di legittimità.
Quindi, paradossalmente, chi commenta favorevolmente questa finta riforma sappia che, d’ora in poi, per un furtarello al supermercato basterà l’assoluzione in primo grado per chiudere definitivamente il processo, ma si potrà continuare a finire all’ergastolo anche dopo che una corte di assise ha assolto con formula piena. Sulla base di prove deboli che lasciano aperto un ragionevole dubbio.
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