La Quarta Sezione penale, in tema di patrocinio dei non abbienti, ha affermato che il giudizio di cui all’art. 99 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, avverso il provvedimento con cui il giudice competente rigetta l’istanza di ammissione non è a critica vincolata, in quanto consente la piena devoluzione al giudice dell’opposizione delle questioni relative all’accertamento dei presupposti del beneficio, sicché quest’ultimo, a seguito del rigetto dell’istanza, quali che siano le ragioni indicate nel provvedimento reiettivo, è tenuto ad applicare la regola di giudizio corrispondente a quella di cui all’art. 96 d.P.R. citato, con obbligo di procedere alla valutazione composita degli indici in esso indicati, ivi compresi quelli indiziari, secondo le acquisizioni processuali e senza possibilità di dare ingresso a presunzioni assolute o a criteri di gerarchia tra le medesime fonti di prova.

Il Presidente presso il Tribunale di Sciacca rigettava l’opposizione proposta dall’istante, ex art. 99 d.P.R.  115/2002, per il tramite del proprio difensore, avverso il decreto emesso dal G.I.P. presso il ridetto tribunale a mezzo del quale era stata respinta la domanda di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il ridetto istante, con domanda corredata da autocertificazione attestante il numero dei soggetti componenti il nucleo familiare, dichiarava un reddito (per l’anno di riferimento) pari a euro 6.573,80 e, pertanto, inferiore al limite normativamente ammesso per la concessione del suddetto beneficio.

Il G.I.P. presso il Tribunale di Sciacca rigettava la superiore domanda rilevando come il dichiarante non avesse indicato, nel corpo dell’istanza, il reddito derivante da attività illecita atteso che, in quel momento, pendevano a carico dell’istante almeno quattro procedimenti penali per reati contro il patrimonio.

Secondo il decidente, il dato da ultimo indicato faceva presumere che l’imputato non solo ricavasse fonti di sostentamento da attività illecite, ma, anche, che il proprio reddito dovesse essere necessariamente al di sopra del limite normativamente previsto per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il Presidente del Tribunale, in sede di opposizione, motivava il proprio provvedimento di rigetto condividendo le argomentazioni del G.I.P. e sottolineando come l’istante si fosse, unicamente, limitato a specificare come i precedenti penali afferissero la commissione di reati contro il patrimonio di modesto valore senza fornire la prova in merito all’assenza di altri precedenti e senza produrre il relativo certificato del casellario giudiziale.

Ciò posto, l’istante, per il tramite del proprio difensore, impugnava il provvedimento presidenziale deducendo la nullità dell’ordinanza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale (d.P.R. n. 115/2002) per mancanza di motivazione atteso che il Presidente del Tribunale di Sciacca, con il ragionamento posto a base del provvedimento di rigetto, avrebbe fatto uso di uno schema logico-presuntivo addivenendo a una motivazione congetturale in palese contrasto con l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari.

La quarta sezione dichiarava il motivo di doglianza fondato.

La Suprema Corte ha rilevato come “a fronte della laconicità della previsione normativa”, si renda necessario circoscrivere la natura del giudizio di opposizione, l’ampiezza della cognizione, gli oneri imposti al richiedente e “la regola di giudizio della quale il giudice deve fare applicazione per formare il proprio convincimento”.

Il problema fondamentale, nel caso di specie, è stato quello di comprendere se il Tribunale di Sciacca avesse compiutamente effettuato una completa indagine stante l’ampia cognizione che connota il procedimento scaturente dalla presentazione del ricorso ex art. 99 d.P.R. 115/2002.

Di tal che, il procedimento di opposizione si era basato sulla presuntiva sussistenza di redditi derivanti da attività illecita non dichiarati e sull’automatica impossibilità che l’istante avesse un reddito (globalmente considerato) inferiore rispetto al limite normativamente previsto.

Ciò posto, la Corte ha rilevato che “il giudizio di cui all’art. 99 d.P.R. n. 115/2002 (…) non è a critica vincolata e consente una piena devoluzione delle questioni al giudice competente”.

Pertanto, a seguito del rigetto dell’istanza, il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione il quale, applicando la regola di giudizio prevista dalla norma contenuta nell’art. 96 d.P.R. n. 115/2002, dovrà valutare se la medesima (ossia l’istanza) vada respinta o meno.

In tale situazione, incombe sul giudice l’obbligo di motivare “in relazione ai contenuti probatori, anche indiziari, acquisiti al processo” trattandosi di “un di un giudizio composito che non detta alcuna presunzione assoluta o gerarchia tra le fonti di prova”.

Di conseguenza, l’ampio giudizio di cognizione può condurre il decidente a respingere l’istanza secondo quanto previsto dall’art. 96 d.P.R. 115/2002 e a valutare la fondatezza della ridetta istanza “con ricorso alla prova indiziaria, qualora si riscontrino i requisiti di gravita, precisione e concordanza (indicati dall’art. 192 cod.proc.pen ed analogamente dall’art. 2729 cod. civ.)” (cfr. Sez. 4, n. 44900 del 18/09/2018, Rv. 274271 – 01).

Però, gli indizi non assurgono automaticamente al rango di prova presuntiva.

Difatti, i medesimi devono essere rigorosamente valutati e rapportati ai fatti noti in modo “risalire con deduzioni logiche ai fatti ignorati, il cui significato deve essere apprezzato senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative: ad esempio, possono assumere rilievo a tal fine il tenore di vita dell’interessato e dei familiari conviventi, come pure qualunque altro fatto che riveli la percezione, lecita o illecita, di reddito” (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 25044 del 11/04/2007, Salvemini e altri, Rv. 237008).

Pertanto, secondo la quarta sezione, l’impugnata ordinanza presenta evidenti carenze argomentative tanto da assumere il carattere della motivazione apparente stante l’apoditticità delle argomentazioni addotte.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte, disponendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza, ha enucleato il principio, di seguito, indicato << Il giudizio di cui all’art. 99 d.P.R. n. 115/2002 avverso il provvedimento con cui il magistrato competente rigetta l’istanza di ammissione non è a critica vincolata e consente una piena devoluzione delle questioni relative all’accertamento dei presupposti del beneficio al giudice competente. A seguito del rigetto dell’istanza, a prescindere dalle ragioni indicate nel provvedimento, posto che il ricorrente può devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione, lo stesso giudice dovrà applicare la regola di giudizio corrispondente a quella prevista dall’art. 96 d.P.R. n. 115/2002, con l’obbligo di procedere alla valutazione composita degli indici ivi indicati, compresi quelli indiziari (nel rispetto delle previsioni dell’art. 192 cod.proc.pen.), secondo le acquisizioni del processo e senza dare ingresso a presunzioni assolute o a criteri di gerarchia tra le medesime fonti di prova>>.

 

Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 22854, dep. 06 giugno 2024 (ud. 28 marzo 2024)

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