“La Sesta Sezione penale ha affermato che l’obbligo di applicare il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen. sussiste anche nel caso in cui il giudice di merito, in sede di giudizio di rinvio disposto in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, ritiene sussistente il fatto di reato ascritto all’imputato, diversamente qualificandolo rispetto alla contestazione per la quale era stata pronunziata condanna in primo grado e contestualmente dichiara l’intervenuta prescrizione del delitto così ritenuto, maturata dopo l’indicata condanna, non potendosi ritenere corretta la decisione di revoca delle statuizioni civili basata sul rilievo che non ne sarebbe consentita la conservazione in quanto collegate ad un accertamento della responsabilità per un delitto oggetto di riqualificazione.”
A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)
La Corte di appello di Roma – quale giudice del rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Suprema Corte con sentenza n. 42052/2022 – riformava il pronunciamento di primo grado emesso dal Tribunale capitolino e dichiarava non doversi procedere nei confronti di un imputato stante l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione (il reato inizialmente contestato era quello di associazione per delinquere e la Corte territoriale aveva successivamente riqualificato il medesimo in “concorso esterno”). La pena veniva, pertanto, rideterminata in relazione ai residui reati di corruzione e turbata libertà degli incanti (unificati dal vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche) in anni due e giorni venti di reclusione e 500 euro di multa.
Il Pubblico ministero, il Ministero dell’Interno (in qualità di parte civile costituita) e l’imputato proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado.
La Sesta sezione, investita dei ricorsi, dichiarava infondati quelli proposti dal Pubblico ministero e dall’imputato e accoglieva quello proposto dal Ministero dell’Interno.
Quest’ultimo, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al capo della sentenza che – alla luce della declaratoria di intervenuta prescrizione in relazione al reato di associazione per delinquere (riqualificato dalla Corte territoriale in “concorso esterno”) – aveva condotto la Corte alla revoca delle relative statuizioni civili.
Secondo il ricorrente, in assenza di un “giudicato implicito”, la Corte di appello avrebbe dovuto applicare la norma contenuta nell’art. 578 c.p.p. procedendo, pertanto, alla qualificazione dei danni connessi ai fatti illeciti (“concorso esterno”) che sarebbero stati commessi dall’imputato.
Il Supremo Collegio, condividendo la tesi della parte civile costituita, ha evidenziato l’errore posto in essere dalla Corte territoriale sulla scorta dei passaggi argomentativi, di seguito, indicati.
In tal senso devesi rilevare:
- che la Suprema Corte, con la prima pronuncia di annullamento aveva stabilito che, “ferma l’esclusione della responsabilità per il reato associativo di cui al capo 1 della rubrica, in difetto del ruolo tipico di associato stante l’assenza di un ruolo nell’organizzazione e della condivisione del programma dell’associazione”, doveva essere demandata al giudice del rinvio “la verifica dell’ipotesi del concorso eventuale ex art. 110 cod. pen. nel reato associativo, nei limiti già delineati dal giudice del merito”;
- che, con la seconda sentenza di annullamento (Sez. II, sentenza n. 42052/2022), i Giudici di legittimità avevano precisato che “la posizione del ricorrente è stata definita mediante il concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. nei seguenti termini: la pena base è stata stabilita “per il più grave reato ex art. 416 c.p. sub 1 del primo decreto”, apportando, poi, aumenti per la continuazione (già ritenuta dalla sentenza di annullamento) tra i reati di traffico di influenze illecite di cui al capo 11 (cosi riqualificate le originarie ipotesi di corruzione ex artt. 318 e 319 cod. pen.) e di turbativa d’asta di cui al capo 12 del primo decreto di giudizio immediato. Pertanto, la pena base, in ragione del testuale riferimento al reato associativo base e al capo 1 della rubrica (che individuava anche la specifica condotta di partecipe del ricorrente) è stata determinata dalla Corte di merito in violazione del dictum della Corte regolatrice che detta ipotesi aveva escluso con efficacia di giudicato implicito”.
Di tal che, le parti – nel corso del primo giudizio di rinvio – erano pervenute a un concordato con rinunzia ai motivi con la conseguente determinazione della pena base (condivisa dalla Corte di appello) partendo da quella ipotesi di reato (associazione per delinquere) che era stata reputata insussistente dalla Suprema Corte. Una situazione siffatta aveva indubbiamente determinato la violazione del “giudicato interno imposto dalla sentenza di annullamento che escludeva nei confronti dell’imputato la condotta di partecipazione al sodalizio”.
Pertanto, la sentenza di annullamento con rinvio disposta dalla Suprema Corte con sentenza n. 42052 del 29/09/22 aveva messo in discussione la sussistenza – in capo all’accusato – della condotta di partecipazione e, al contempo, aveva invitato la Corte territoriale a un’attenta riflessione al fine di verificare la riscontrabilità o meno dei presupposti del “concorso esterno”.
La Corte di appello – nel corso del secondo giudizio di rinvio – ha erroneamente optato per la revoca delle statuizioni civili sovrapponendo “il giudizio relativo all’ambito applicativo del secondo comma dell’art. 129 alla disciplina contenuta nell’art. 578 cod. proc. pen.”
Di conseguenza, i giudici di secondo grado hanno (da una parte) correttamente accertato l’avvenuta prescrizione del reato alla luce della avvenuta riqualificazione dello stesso in “concorso esterno” procedendo erroneamente (dall’altra) alla revoca delle statuizioni civili pur in assenza – dalla disamina delle risultanze probatorie – della “evidenza dell’innocenza dell’imputato (verifica che ha avuto esito negativo)”.
Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto dare applicazione alla norma contenuta nell’art. 578 c.p.p. posto che “quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello …, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decid[e] sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Una situazione siffatta ha condotto i giudici dell’appello a una soluzione opposta alla regola di giudizio e alla conseguente violazione di legge.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte – in accoglimento del ricorso proposto dalla parte civile – ha disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza “limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio in ordine alla conferma o meno delle statuizioni civili ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. alla Corte di appello civile di Roma”.
Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza n. 45262 del 10/10/2024 Ud. (dep. 10/12/2024)
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