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a cura di Luciano Romito (Prof. Ordinario di Glottologia e Linguistica presso l’Università della Calabria e Coordinatore dell’Osservatorio sulla Linguistica Forense (OLF) gruppo tematico dell’Associazione Italiana di Scienze della Voce (AISV)

Resoconto della tavola rotonda tenuta al Senato della Repubblica dal titolo – Le intercettazioni: intelligence e formazione del perito linguista

Il presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), prof. Paolo Pedone, intervenendo alla Tavola Rotonda tenuta al Senato della Repubblica dal titolo “Le intercettazioni: intelligence e formazione del perito linguista”, ha evidenziato come i concetti di formazione e nuove professioni siano strettamente interconnessi, ma non sempre in modo lineare. Alcune professioni emergono autonomamente nel mercato del lavoro, costringendo l’accademia ad adattarsi e a creare nuovi percorsi formativi. Altre, invece, necessitano di un riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni per essere legittimate e associate a un percorso formativo specifico. Senza tale riconoscimento, la professione non esiste formalmente e le mansioni vengono svolte da individui con percorsi formativi e livelli di istruzione diversi. Questo è il caso dell’esperto linguista in ambito forense, tema centrale di questo intervento.

La Commissione Giustizia del Senato della Repubblica ha avviato il 20 dicembre 2022 un’indagine conoscitiva sul tema delle intercettazioni, conclusasi il 20 settembre 2023, con l’obiettivo di raccogliere informazioni tecniche sul fenomeno delle intercettazioni. Sono state ascoltate 46 persone, per lo più appartenenti al mondo della giurisprudenza. Inoltre, sono stati uditi 5 tecnici: 4 informatici e un perito elettronico e consulente trascrittore. Nessun linguista o esperto di parlato è stato coinvolto. Dall’analisi dei verbali si evince che il documento sonoro (udienza, interrogatori e intercettazioni) viene sostituito completamente dalla verbalizzazione o trascrizione, cioè dal documento cartaceo. Nessuna menzione viene fatta riguardo alla figura del trascrittore.

Eppure, tutto ciò che ruota intorno al processo è fatto di parole: testimonianze, interrogatori, requisitorie dei pubblici ministeri, arringhe della difesa, motivazioni delle sentenze e, soprattutto, intercettazioni. Tutto ciò viene trascritto e diventa documento, ma non è un esperto ad occuparsene, bensì una persona con qualunque percorso formativo alle spalle.

La necessità di una figura professionale di esperto linguista in ambito forense è dimostrata dall’enorme richiesta di consulenze o perizie di trascrizione e di identificazione del parlante. Secondo Eurispes, in Italia si effettuano mediamente 181 milioni di intercettazioni con oltre 140 mila bersagli all’anno, che variano dalla semplice telefonata al messaggio vocale su WhatsApp intercettato con un trojan o captatore informatico.

Nonostante la centralità e l’importanza di questo mezzo di ricerca della prova, il Tribunale non ritiene indispensabile nominare persone con competenze certificate e la politica non ritiene necessario il riconoscimento della figura professionale dell’esperto linguista in ambito forense.

La nomina da parte del Tribunale di un Consulente tecnico per procedere alla trascrizione avviene attraverso il dispositivo dell’art. 221 del Codice di Procedura Penale, che recita: “Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina.” Ad oggi non esiste un albo professionale o una figura professionale legittimamente riconosciuta; inoltre, nel mondo moderno caratterizzato da una sempre maggiore complessità, far riferimento a un’unica disciplina sembra quanto meno anacronistico.

Il presidente della Società Italiana di Glottologia (SIG), sempre nella stessa tavola rotonda, ha correttamente fatto notare che mangiare e digerire ciò che mangiamo non ci rende automaticamente gastroenterologi, così come parlare e capire ciò che diciamo non ci rende linguisti. Eppure, nella mente della magistratura e dell’avvocatura sembra sussistere proprio questa assunzione; una sorta di presunzione di conoscenza sulle complesse dinamiche del linguaggio solo perché noi stessi lo utilizziamo per comunicare. Inoltre, poiché le intercettazioni sono fatte di parole e tutti noi siamo in grado di ascoltarle e comprenderle adeguatamente, si presume che siamo anche in grado di trascriverle soddisfacentemente, senza necessità di particolari competenze.

Esistono invece moltissimi potenziali problemi legati a quanto appena detto, in primis quando il Giudice, nella sua qualità di peritus peritorum, ascolta in camera di consiglio, quindi con un portatile e delle cuffiette, le intercettazioni o i passi più rilevanti delle conversazioni captate per giungere al suo proprio convincimento.

La Corte di Cassazione ha da sempre affermato che la prova è solo il supporto che contiene la conversazione telefonica o ambientale, mentre la trascrizione costituisce una mera trasposizione grafica del contenuto di quel supporto (cfr. Cassazione penale, sez. VI, 28/03/2018, n. 24744: “In tema di intercettazioni di conversazioni telefoniche o ambientali, la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, sicché il giudice può utilizzare il contenuto delle intercettazioni indipendentemente dalla trascrizione, che costituisce la mera trasposizione grafica del loro contenuto, procedendo direttamente al loro ascolto”; o Cassazione penale, sez. VI, 30/10/1992, in Mass. Pen. Cass. 1993, fasc. 6,12 (s.m.): “La trascrizione delle registrazioni, non soltanto non costituisce mezzo di prova, ma non può neppure identificarsi come una tipica attività di documentazione, fornita di una propria autonomia conoscitiva, rappresentando esclusivamente un’operazione di secondo grado volta a trasporre con segni grafici il contenuto delle registrazioni”; o Nota della Cassazione Penale Sez.V di 11/03/2002, n°9633: “La prova è costituita dalla bobina. La trasposizione su carta del contenuto delle registrazioni rappresenta solo un’operazione di secondo grado”).

Il giudice ha sempre la facoltà di ascoltare i supporti analogici e digitali contenenti le registrazioni. Prima di redigere la sentenza, se ritiene che le trascrizioni fornite dalla polizia giudiziaria o dal perito siano insufficienti, può procedere direttamente all’ascolto in camera di consiglio, utilizzando le cuffie. Tuttavia, l’ascolto può risultare complesso poiché i brani intercettati sono spesso di scarsa qualità acustica e, nella maggior parte dei casi, sono in dialetto o in lingua straniera. In quest’ultimo caso, il giudice si affida alla trascrizione giurata di un traduttore certificato e iscritto all’albo dei traduttori. Se la registrazione è in dialetto, il giudice tende a ritenersi competente nell’ascolto, basandosi sulla propria conoscenza dialettale o su quella del trascrittore. Tuttavia, a differenza del traduttore, il trascrittore non possiede una certificazione di competenza nei dialetti e non è iscritto a nessun albo professionale che garantisca tale competenza dialettologica.

Si tende a ignorare che le lingue e, ovviamente, anche i dialetti, non sono monoliti, ma sono costituiti da repertori di varietà; per esempio, non esiste un dialetto calabrese, ma numerosissime varietà spesso totalmente diverse le une dalle altre. Un giudice, un Pubblico Ministero o un Avvocato anche se calabrese può non essere in grado di comprendere una determinata varietà locale o situazionale del dialetto che sta ascoltando e, quindi, può rischiare di effettuare degli errori di interpretazione di ciò che ascolta.

Secondo il presidente della Società di Intelligence, prof. Mario Caligiuri, esperto nello sviluppo della società contemporanea, evidenzia la necessità di comprendere che il problema è principalmente culturale. La capacità di ascoltare non implica una conoscenza approfondita del funzionamento della percezione. Pertanto, il riconoscimento della figura professionale dell’esperto linguista in ambito forense rappresenta un’esigenza cruciale per il paese, la giustizia e la vita dei cittadini. Questo cambiamento culturale richiede innanzitutto una scelta e una volontà politica.

Oggi non viene richiesta nessuna competenza specifica, perché nell’ordinamento penale la trascrizione è considerata una operazione semplice e meccanica e la naturale conseguenza di questa assunzione è che l’incarico per la trascrizione assume le forme della perizia (infatti non è una perizia) quindi non richiede competenza o specializzazione (cfr. Cassazione penale, sez. VI, 06/11/2008, n. 2732: “La trascrizione delle conversazioni intercettate comporta una mera attività ricognitiva e non comprende quei compiti di valutazione […]” o Cassazione penale, sez. VI, 15/03/2016, n. 13213 “la trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie dì operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico scientifico; Cassazione penale, sez. VI, 3/11/2015, n. 44415 “La perizia di trascrizione delle intercettazioni  sono  operazioni non di carattere “valutativo”, bensì “descrittive” e ciò esclude che la trascrizione possa essere assimilata a una perizia”; Cassazione penale sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 3027, Rv 266497 “La trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere materiale, per le quali non sarebbe necessaria l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico”; Cassazione penale, sez. VI, 22/1/2016, n. 3027 “La perizia di trascrizione delle intercettazioni sono operazioni non di carattere “valutativo”, bensì “descrittive” e ciò esclude che la trascrizione possa essere assimilata a una perizia e il riferimento ai brogliacci non realizza una violazione di legge. […] Ne discende che la trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico scientifico”; Cassazione penale, sez. I, 26/03/2009, n. 26700 “L’incompatibilità ad assumere l’ufficio di perito per chi è stato nominato consulente tecnico in un procedimento connesso, prevista dall’art. 222, comma 1, lett. e), c.p.p., non opera con riguardo all’attività di trascrizione delle intercettazioni, disciplinata dall’art. 268, comma 7, c.p.p., atteso che il rinvio contenuto in tale norma alle forme, ai modi ed alle garanzie previste per l’espletamento delle perizie non comporta l’equiparazione del trascrittore al perito, dovendo il primo – a differenza del secondo, chiamato ad esprimere un “giudizio tecnico” – porre in essere soltanto una “operazione tecnica”, non implicante alcun contributo tecnico-scientifico e connessa esclusivamente a finalità di tipo “ricognitivo”).

Inoltre, nelle sentenze della Cassazione, la trascrizione è considerata un’attività priva di interpretazione, in quanto “non è altro che la mera trasposizione in simboli grafici della registrazione” (cfr. Cassazione penale, sez. I, 24/04/1982, n. 805). Il trascrittore deve riportare su carta le parole ascoltate, come se la comunicazione fosse fatta solo di parole. Tuttavia, la comunicazione è un processo complesso, in cui si sovrappongono canali paralleli. La conversazione non è fatta solo di parole, ma include tutto il canale della voce: la prosodia, cioè l’intonazione, le pause, i silenzi, e altre modalità extralinguistiche, come i movimenti del corpo, delle mani e degli occhi.

Tutti questi canali contribuiscono alla corretta interpretazione del messaggio e non possono essere trascurati – come invece accade oggi – nella trascrizione di un’intercettazione. Spesso, proprio in questi aspetti risiede la chiave di lettura per una corretta interpretazione della comunicazione. È esperienza comune saper cogliere il significato di un lungo silenzio prima di una risposta, eppure quel silenzio e la sua durata non verrebbero solitamente trascritti se la conversazione fosse stata intercettata. La trascrizione, in questo caso, non rappresenterebbe, adeguatamente lo scambio comunicativo captato. E ciò, nonostante il codice di procedura penale (Dispositivo dell’art. 266 Codice di procedura penale Capo IV – Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni) preveda che oggetto dell’intercettazione siano le “conversazioni e comunicazioni”. La trascrizione, pertanto, deve restituire tutti gli aspetti dell’intero evento comunicativo captato, non solo le parole.

Il ruolo del trascrittore

Il trascrittore compie sempre un’operazione di interpretazione e soprattutto una scelta, decidendo cosa inserire nella propria trascrizione e cosa omettere. La scelta riguarda i diversi canali di comunicazione oppure l’aggiunta di ambigui “omissis” o puntini sospensivi, secondo una prassi troppo diffusa. La scelta è sempre influenzata, anche inconsciamente, dallo scopo e dall’obiettivo della trascrizione e dalle conoscenze pregresse che il trascrittore ha sul caso in esame (visione professionale, cfr. Goodwin, Charles, 1994, Professional Vision, American Anthropologist 96(3): 606-633). Inoltre, le difficoltà nell’ascolto del segnale rendono spesso incomprensibili i discorsi captati. Davanti a una o più parole incomprensibili, accade spesso che chi trascrive decida di supplire ricorrendo – ma sbagliando – alle sue conoscenze del contesto in cui è avvenuta la conversazione, oppure alla conoscenza delle parti in gioco, o ancora dei reati oggetto di procedimento. È portato a compiere tale sforzo interpretativo pur di fornire una sua versione “leggibile” e coerente di ciò che è stato detto, invece di astenersi dal trascrivere e segnalare che quel brano di parlato è incomprensibile.

La trascrizione di un segnale sonoro intercettato non può essere un’opinione o un’interpretazione personale, ma deve tendere a essere la corretta, oggettiva e veritiera rappresentazione grafica della realtà sonora. È necessario avere la giusta competenza per riportare su carta una corretta traduzione del codice multimodale del parlato in quello bidimensionale che è la forma scritta.

A differenza di ciò che si ritiene comunemente, “trascrivere”, cioè convertire il codice del parlato in quello scritto, è un’operazione estremamente complessa, per la quale non sono sufficienti solo un paio di cuffie e tanta buona volontà. Questa semplificazione ha generato numerosi errori giudiziari a causa di errate trascrizioni di intercettazioni. Se a queste difficoltà aggiungiamo l’uso del dialetto nella normale comunicazione intercettata, ci accorgiamo che l’operazione richiesta è duplice: interpretare correttamente il dialetto, tradurlo in italiano senza cadere nell’errore di tradurre lessicalmente la parola o l’espressione, ma effettuare una traduzione semantica, quindi di fatto interpretando e poi tradurre il tutto in forma scritta. La trascrizione spesso può essere molto distante dalla realtà, cioè da quanto effettivamente pronunciato.

È evidente che, così facendo, avremmo certamente restituito il significato di quel passo captato proprio grazie al fatto che non ci saremmo limitati a trascrivere “la parola” come, invece, prescrive la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Il trascrittore forense, nell’eseguire il proprio lavoro, affronta, in maniera inconscia, problemi linguistici e tecnici non superabili con una cuffia e tanta buona volontà. Deve individuare il numero dei parlanti e caratterizzare ogni singola voce anche quando queste sono molto simili o lontane dalla microspia, e ad ognuna di queste voci deve assegnare le frasi che ascolta. Deve comprendere le caratteristiche personali del parlante, quali naturalezza e chiarezza della voce, lo stato emotivo e fisico, i difetti di pronuncia, la sua competenza linguistica e la ricchezza lessicale. Deve comprendere il codice utilizzato, quindi il parlato, l’uso del dialetto o di un gergo o di un codice e lo stile utilizzato, i vari repertori delle varietà come informale, formale, solenne. Deve considerare il contesto, quindi il luogo in cui avviene la conversazione, la situazione e le conoscenze condivise tra i parlanti, e quindi il loro livello di cooperazione durante la conversazione. Poi ci sono i problemi tecnici, come i diversi tipi di registrazione, di formati e di supporti, la qualità della registrazione (lossless o lossy), gli strumenti utilizzati e quindi la presenza di rumori additivi o convolutivi.

La trascrizione forense non è la mera trasposizione in caratteri grafici, ma necessita di una relazione introduttiva che informi il lettore sulla qualità della registrazione, sul contesto, sulla situazione, ecc., e di una legenda (per quanto possibile standardizzata) che esplichi (attraverso caratteri semplici) tutte le caratteristiche linguistiche sovrasegmentali e tecniche.

È possibile misurare la qualità della trascrizione e la sua attendibilità?

Durante un’intercettazione, il microfono è fisso mentre i parlanti si muovono nell’ambiente (avvicinandosi e allontanandosi dal dispositivo di ricezione), urlano, si sovrappongono, parlano sottovoce, spesso è presente la televisione o la radio accesa. È impossibile che durante una conversazione tra presenti il segnale abbia tutto la stessa identica qualità e quindi la stessa identica attendibilità. Quando leggiamo la trascrizione di un’intercettazione, al contrario, constatiamo come il testo sia pulito e lineare; la trascrizione (sotto forma di verbalizzazione) rappresenta una finzione, secondo la quale il dialogo intercettato si sarebbe svolto in modo ordinato e lineare: il turno di parola viene di volta in volta preso dall’altro interlocutore in modo fluido, senza pause, esitazioni, sovrapposizioni, indecisioni, negoziazioni, conflitti, ecc. Ovviamente sappiamo tutti che non è così. Nella realtà, le conversazioni si svolgono in modo del tutto diverso. Nella trascrizione scompare l’oralità originaria (caratteristica fondamentale di ogni comunicazione): scompaiono la prosodia, i fenomeni paraverbali, le sovrapposizioni dei turni, le pause e i silenzi. Tutto ciò allontana la trascrizione dalla realtà. Presentare una trascrizione senza alcun commento o valutazione della qualità del segnale, pratica purtroppo diffusissima, porta il lettore (magistratura e avvocatura) a pensare che vi sia una sostanziale identità tra conversazione registrata e conversazione trascritta. È fuorviante indurre a credere che ciò che il magistrato legge sulla carta corrisponda totalmente al segnale intercettato.

Bisogna comprendere che ogni trascrizione è selettiva e costituisce una forma di interpretazione. Sarebbe opportuno che questa consapevolezza facesse parte del bagaglio formativo sia dei magistrati che degli avvocati.

Spesso, in ambito forense, si tende a pensare che in una trascrizione sia importante solo il contenuto di ciò che viene detto, trascurando la forma. Tuttavia, una prova linguistica non riguarda soltanto il livello semantico. Tutti i livelli di analisi di una lingua – fonologico e fonetico, morfologico, sintattico, lessicale, pragmatico e così via – possono essere oggetto di dispute forensi (Coulthard, 2007) e incidere sull’accertamento del fatto di reato. Una prova linguistica deve pertanto essere analizzata in tutte le sue parti, per decidere quali elementi possono essere utili ai fini investigativi e processuali.

È anche fondamentale conoscere il funzionamento del cervello durante la percezione. Questa, infatti, si lascia sempre e inconsciamente influenzare dal contesto: si pensi alla luna che appare grande quando è vicina all’orizzonte e piccola quando è alta nel cielo. La percezione è influenzata dalle conoscenze pregresse e dai diversi livelli linguistici percepiti, dalla struttura della frase e dalla conoscenza della sintassi, che inconsciamente si attivano nei casi di segnale acustico degradato per ‘cercare’ la parola più probabile.

Ad esempio, se si ascolta la frase “ieri ho mangiato un [segnale incomprensibile]”, dopo aver percepito la parola “un”, un rumore potrebbe coprire la parola successiva. Il cervello cercherà di colmare questa incognita trovando una parola compatibile con qualcosa di commestibile (nella mia cultura), maschile e singolare. Poi, in base all’accento e alla durata della parte coperta dal rumore, la scelta cadrà sulla parola più probabile, non su quella effettivamente pronunciata. E il giudice, quando ascolta l’intercettazione in camera di consiglio con la trascrizione in mano, cercherà la compatibilità e non la parola effettivamente pronunciata e coperta dal rumore. Siamo bravi a comparare e confrontare. Se cerchiamo di stimare il peso di una penna, il nostro cervello ipotizzerà in base alla propria esperienza, ma con grande difficoltà. Tuttavia, se ci chiediamo quale delle due penne sia più pesante, non avremo alcun dubbio nella risposta.

In sostanza, si corre il rischio, altamente probabile, che la trascrizione riporti un contenuto difforme da quanto effettivamente pronunciato e intercettato. In altre parole, la rappresentazione grafica della prova audio risulterà totalmente alterata, compromettendo il corretto accertamento del fatto di reato e delle responsabilità penali.

Cosa fare?

Per ovviare a questo problema, è necessaria una competenza specifica sul funzionamento della lingua e della percezione, oltre a parametri per stimare l’attendibilità della trascrizione in base al rumore presente e alla qualità della registrazione. Esistono già tabelle basate su analisi percettive, e altre possono essere sviluppate. È fondamentale fissare limiti precisi sotto i quali un segnale audio non può essere trascritto, requisiti minimi di attendibilità, come avviene in altri campi di indagine e accertamento probatorio, come le impronte digitali o la quantità di sangue necessaria per un’identificazione. Non possiamo continuare a fidarci dell’opinione di un singolo senza competenze certificate. È necessario individuare e prevedere la figura professionale di esperto linguista forense, costruire percorsi formativi pubblici come lauree triennali o master di primo o secondo livello, e far sì che magistratura e avvocatura, nella nomina di un perito o consulente, si affidino a queste figure professionali, intervenendo sull’art. 221 del Codice di Procedura Penale che oggi lascia piena libertà al giudice nella nomina.

Conseguenze della mancanza di riconoscimento ufficiale

La mancanza di riconoscimento ufficiale della figura dell’esperto linguista in ambito forense può avere diverse conseguenze negative:

  • Qualità delle trascrizioni: Senza esperti qualificati, le trascrizioni delle intercettazioni potrebbero essere imprecise o incomplete, compromettendo l’integrità delle prove.
  • Errori giudiziari: Errori nelle trascrizioni o nell’interpretazione delle intercettazioni possono portare a decisioni giudiziarie errate, con potenziali ingiustizie per imputati o vittime.
  • Disomogeneità delle competenze: Persone con background formativi diversi potrebbero avere livelli di competenza variabili, portando a una mancanza di standardizzazione e affidabilità nelle perizie linguistiche.
  • Ritardi nei processi: La necessità di correggere errori o di richiedere ulteriori perizie può rallentare i procedimenti giudiziari, aumentando tempi e costi della giustizia.
  • Mancanza di fiducia: La percezione di una giustizia non accurata o inefficiente può minare la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario.
  • Opportunità mancate: Senza un riconoscimento formale, i linguisti forensi potrebbero non essere incentivati a specializzarsi in questo campo, limitando lo sviluppo di competenze avanzate e innovative.
  • Privato versus pubblico: già oggi, gli esperti linguisti con competenza consolidate in maniera autonoma, lavorano per il privato rendendo la legge sempre meno ’uguale per tutti’.

Queste conseguenze sottolineano l’importanza di riconoscere e valorizzare la figura dell’esperto linguista in ambito forense per garantire un sistema giudiziario più equo ed efficiente.

Riconoscimento internazionale

Alcuni paesi hanno già riconosciuto ufficialmente la figura dell’esperto linguista in ambito forense, ed attivato dei percorsi formativi adeguati, ad esempio:

  • Regno Unito: è uno dei paesi pionieri nel campo della linguistica forense. Esistono corsi di laurea e master specifici in linguistica forense, e gli esperti sono spesso coinvolti come consulenti tecnici nei processi giudiziari.
  • Stati Uniti: la linguistica forense è una disciplina riconosciuta, con numerosi programmi accademici e professionisti che lavorano come periti in tribunale.
  • Germania: La Germanic Society for Forensic Linguistics (GSFL) è un’organizzazione che promuove la ricerca e la pratica della linguistica forense in Germania.

In Italia, la situazione è ancora in evoluzione. Alcune regioni, come Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Basilicata e Calabria, hanno riconosciuto, ufficialmente, le figure professionali di “Tecnico di analisi e trascrizione di segnali fonici” e “Tecnico di gestione della perizia di trascrizione in ambito forense” grazie alle iniziative promosse dall’Osservatorio di Linguistica Forense (OLF), ma è necessario modificare l’art. 221 del Codice di Procedura Penale.

Linee guida e formazione

Le linee guida per individuare le competenze necessarie alla formazione di questa nuova figura esistono già e sono state sottoscritte da tutte le associazioni scientifiche che si occupano di parlato. Il vademecum sulle regole da rispettare nell’effettuare una trascrizione esiste già ed è stato pubblicato dal Ministero dietro sollecitazione del tavolo permanente delle fonti orali.

Ora è compito esclusivo della politica, in sinergia con la magistratura, l’avvocatura e gli altri operatori istituzionalmente coinvolti nel processo, prendere consapevolezza in modo sinergico e condiviso del problema e cercare una soluzione. Noi, come università e studiosi, siamo pronti già da molto tempo e siamo disposti a fornire ogni contributo utile.

Trascrivere la realtà: oltre le parole, verso la verità giudiziaria

Documento redatto a conclusione del convegno di studi Le intercettazioni: intelligence e formazione del perito linguista promosso da Società Italiana di Intelligence (SOCINT) e Osservatorio sulla Linguistica Forense (OLF), con il patrocinio dell’Università della Calabria, degli Studi di Milano, del Salento, degli Studi “G. Marconi” di Roma e di tutte le associazioni scientifiche italiane che si occupano di parlato, Società Italiana di Glottologia (SIG), Società italiana di Linguistica (SLI), Associazione Italiana di Linguistica Applicata (AITLA), Società Italiana di Didattica delle lingue e Linguistica educativa (DILLE), Associazione Italiana di Linguistica Computazionale (AILC), nonché delle Camere penali di Roma, Palermo, Cosenza e Catanzaro. L’evento, tenutosi al Senato della Repubblica, l’8 novembre 2024, per sottolineare l’importanza di riconoscere la figura dell’esperto linguista in ambito forense, proponendo soluzioni concrete alle attuali criticità.

Introduzione
Il presente documento analizza la criticità dell’assenza di una figura professionale riconosciuta dell’esperto linguista forense in Italia, evidenziandone l’impatto sul sistema giudiziario e sulla sicurezza nazionale. Ogni anno in Italia si effettuano circa 181 milioni di intercettazioni, ma le trascrizioni vengono spesso affidate a personale non qualificato, causando potenziali errori giudiziari e inefficienze processuali. L’elaborato propone soluzioni concrete, tra cui l’istituzione di percorsi formativi dedicati, la creazione di un albo professionale e la riforma dell’articolo 221 del Codice di Procedura Penale. L’analisi si basa su contributi di esperti del settore e confronti internazionali, offrendo una roadmap per l’implementazione di queste proposte nel sistema italiano.

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