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In tema di “aberratio ictus”, la reazione della vittima designata, per effetto della quale l’offesa tipica della fattispecie criminosa si realizzi in danno dello stesso autore materiale del reato, non rappresenta un fattore sopravvenuto idoneo ad interrompere il rapporto di causalità, non costituendo uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico dell’azione delittuosa. (Fattispecie relativa a vittima che, aggredita da più soggetti, aveva spostato il braccio dell’agente che stava per esplodere un colpo di pistola nei suoi confronti, deviando la direzione di tiro, sicché il proiettile aveva attinto il medesimo agente, cagionandone la morte)”.

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

Il G.I.P. presso il Tribunale di Agrigento disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di tre persone in relazione ai reati di concorso in omicidio (capo 1 dell’imputazione), di concorso in omicidio tentato (capo 2 dell’imputazione) e di concorso nel porto illegale in luogo pubblico di un’arma comune da sparo (capo 3 dell’imputazione).

Ciò posto, per una più agevole comprensione dell’intera controversia, devesi rilevare che, nel caso di specie, i tre indagati avevano dato il via a una spedizione punitiva (muniti di una pistola semiautomatica cal. 9) ai danni del titolare di una rivendita di automobili usate a causa di una transazione economica fallita. Gli indagati si recavano sul posto assieme al fratello di uno dei tre soggetti destinatari della misura. Uno degli accusati – unitamente al fratello – aggredivano l’imprenditore mentre era seduto all’interno di una vettura (lato guida) forzando lo sportello e introducendosi all’interno al fine di colpire l’uomo. In tale occasione, i due germani venivano aiutati dagli altri due indagati. Il primo si introduceva all’interno dell’auto per coadiuvare i fratelli nell’azione criminosa, l’altro si occupava del figlio della persona aggredita che, frattanto, era intervenuto per soccorre il padre in difficoltà. Durante la colluttazione, il fratello di uno degli indagati estraeva l’arma da fuoco puntandola in direzione dell’imprenditore. Ciò posto, prima che l’uomo potesse sparare, il titolare dell’auto-rivendita riusciva con una mossa repentina a deviare il braccio dello sparatore. Quest’ultimo, a causa della deviazione, veniva attinto dal colpo di pistola da lui stesso esploso (a causa della deviazione dianzi indicata) perdendo, conseguentemente, la vita. L’imprenditore, nel frattempo, si dava alla fuga assieme al figlio, ma i due venivano raggiunti, poco dopo, dai tre indagati. Uno dei tre accusati, impossessatosi della pistola, mirava contro l’obiettivo al fine di uccidere, ma l’arma si inceppava non permettendo a quest’ultimo di concludere la spedizione punitiva.

Uno degli indagati (nello specifico il fratello dell’uomo ucciso durante la colluttazione) proponeva istanza di riesame avverso l’ordinanza custodiale emessa dal G.I.P. di Agrigento.

Il Tribunale del riesame, dopo aver visionato le immagini dell’impianto di videosorveglianza presente sul locus commissi delicti e aver analizzato le varie dichiarazioni testimoniali delle vittime (dichiarazioni reputate attendibili a differenza di quelle rilasciate dagli indagati), condivideva la ricostruzione fattuale operata dal primo giudice, ma non la qualificazione giuridica del fatto in relazione al reato indicato al capo 1) dell’imputazione (concorso in omicidio consumato).

Difatti, anche se la morte dell’imprenditore era stata voluta da uno solo degli indagati (ossia il fratello dell’uomo ucciso nel corso della colluttazione), gli altri due avevano consapevolmente deciso di intraprendere la spedizione punitiva ad ogni costo (compreso il verificarsi dell’evento morte del destinatario della “spedizione”).

Ciò posto, secondo il Tribunale della libertà, la morte del fratello di uno dei tre accusati era stata il prodotto dell’ “azione cosciente e volontaria della vittima designata” che era riuscito a deviare il braccio dello sparatore e a modificare, pertanto, la traiettoria del colpo esploso. In tale contesto fattuale, secondo il Tribunale del riesame, “si era così inserito un fattore imprevedibile, che aveva segnato l’interruzione del nesso causale”. Di tal che, l’azione descritta al primo capo di imputazione doveva essere scomposta nel duplice reato di omicidio tentato ai danni dell’imprenditore e di omicidio ai danni del germano di uno degli accusati.

Il titolare dell’autorimessa, responsabile della morte dell’uomo (stante l’avvenuta deviazione del corpo), avrebbe, invece, invocato la scriminante della legittima difesa.

Pertanto, secondo il Tribunale della libertà, “l’azione descritta al capo 1) andava dunque scomposta nel duplice reato di omicidio tentato ai danni di […] e di omicidio ai danni di […]. Di quest’ultimo lo stesso […] (ossia l’imprenditore) era responsabile, benché l’occorso fosse scriminato dalla legittima difesa. Il solo reato all’indagato riconducibile, l’omicidio tentato, era diverso da quello contestato. Per tale ragione il giudice del riesame annullava, in questa parte, l’ordinanza genetica”.

Il Tribunale, confermava nel resto l’ordinanza, rilevando la sussistenza di indizi gravi nella condotta concorsuale, sia materiale sia morale, di tutti gli indagati in relazione al tentato omicidio del titolare dell’auto-rivendita e al reato di porto illegale della pistola poiché solo il malfunzionamento dell’arma – della quale si erano serviti i tre durante la spedizione punitiva – aveva determinato il non verificarsi dell’evento morte concorrendo, pertanto, tutti – ai sensi della norma contenuta nell’art. 110 c.p. – nei fatti criminosi contestati ai capi 2) e 3) dell’imputazione.

Infine, le esigenze cautelari erano ritenute di rilievo tale da richiedere necessariamente l’applicazione della misura della custodia in carcere (pericolo di reiterazione: modalità del fatto, totale assenza di autocontrollo e alte capacità di programmazione di nuove condotte ritorsive; rischio di inquinamento probatorio: necessità di proteggere le fonti dichiarative da “interventi esterni” e necessità di comprendere al meglio l’intera vicenda dal momento che l’arma non era stata mai rinvenuta).

Ciò posto, avverso la predetta ordinanza, proponevano ricorso per Cassazione uno degli indagati e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento.

La Prima Sezione, investita dei ricorsi, rigettava quello proposto dall’indagato e accoglieva quello presentato dal Procuratore della Repubblica.

Il pubblico ministero ha denunciato la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione dell’ordinanza con specifico riguardo alla ricostruzione giuridica operata dal Tribunale della libertà in relazione ai fatti di cui al capo 1) imputazione.

La deviazione del braccio – secondo il ricorrente – nel momento in cui lo sparatore trovavasi nell’esatto atto di esplodere il colpo dell’arma in suo possesso “non sarebbe configurabile come circostanza atipica, imprevedibile e/o inevitabile” poiché “tale fattore non rappresenterebbe un decorso causale autonomo, ex art. 41, cpv., cod. pen., né il giudice a quo avrebbe compiutamente indicato perché viceversa andrebbe considerato tale”. Difatti, il fatto che un soggetto, nei cui confronti è stata puntata una pistola carica a distanza ravvicinata, reagisca e tenti di difendersi determinando la “deviazione” della munizione esplosa e la morte di altra persona (nel caso di specie della stessa persona che aveva esploso il colpo) “rientrerebbe nell’id quod plerumque accidit. Di conseguenza, il fatto che il soggetto agente sia rimasto ucciso dal colpo dal medesimo esploso “non escluderebbe l’applicazione dell’art. 82, cit., dovendo ciascuno degli indagati, concorrenti nella realizzazione del reato programmato” – ossia il programmato omicidio dell’imprenditore – “rispondere, a pari titolo, nella logica del reato aberrante, dell’identica offesa caduta sul loro correo”.

La Prima Sezione ha reputato il ricorso fondato sottolineando come “l’aberratio ictus, prevista dall’art. 82 cod. pen., si verifica quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, l’offesa tipica della fattispecie criminosa è cagionata a una persona diversa da quella alla quale era diretta”.

Pertanto, devesi evidenziare:

  • che “l’errore è estraneo al momento ideativo e volitivo del reato, e dunque alla relativa determinazione delittuosa, incidendo esclusivamente sull’oggetto materiale della condotta, la quale, invece di ledere il bene-interesse della persona nei cui confronti l’offesa era volutamente diretta, lede un bene-interesse altrui” (cfr. Sez. 1, n. 4119 del 15/01/2019, Torre, Rv. 276386-01);
  • che l’errore sviluppatosi nel caso di specie “lascia inalterata la punibilità, giacché l’offesa di una persona invece di un’altra non vale ad alterarne il significato obiettivo, né la direzione della volontà e i suoi contenuti” (cfr. Sez. 1 n. 15990 del 6/04/2006, Muca, Rv. 234132-01; Sez. 1 n. 8353 del 27/06/1988, Santulli, Rv. 178925-01);
  • che, infine, “nella rappresentazione del fatto-reato, normativamente tipizzato, non ricade infatti l’identità personale della vittima prefigurata, che rimane dato esterno al fatto stesso” (cfr. Sez. 1 n. 18378 del 2/04/2008, Pecoraro, Rv. 240374-01).

Di tal che, l’analisi e il conseguente accertamento dell’elemento psicologico del reato si focalizzano necessariamente nei confronti della vittima che era la “inziale destinataria” del programma criminoso. Tutto ciò è giustificato dalla sussistenza di una fictio iuris che determina il trasferimento dello stesso “stato psichico” nei confronti della persona che, nella realtà, è stata attinta dal corpo di arma da fuoco. In casi consimili, ribadisce il Supremo Collegio, “il dolo sussiste ugualmente, con le stesse caratteristiche e intensità, stante la già richiamata indifferenza dell’intervenuto mutamento del soggetto passivo”.

La quaestio iuris assume caratteristiche totalmente differenti solo in caso di difetto di causalità (art. 41 c.p.) ossia “quando l’intervento di fattori sopravvenuti non comporti la sola deviazione dell’offesa verso altra persona, ma abbia reso possibile il prodursi di un’offesa che, al momento della condotta, non era prevedibile come verosimile conseguenza, secondo la migliore scienza ed esperienza” (cfr. Sez. 1, n. 6869 del 06/03/1984, Buccino, Rv. 165407-01). Difatti, in caso di difetto di causalità, il dolo del soggetto agente deve essere oggetto di una particolare indagine per tutta la durata dell’azione criminosa facendo particolare attenzione all’ “essenziale orientamento finalistico” dell’agente e del “criterio della necessaria persistenza dell’originaria intenzione delittuosa per tutto l’iter della condotta fino alla fase terminale”.

Pertanto, risponde dell’omicidio di persona diversa rispetto al soggetto destinatario della condotta offensiva, “il concorrente morale o il concorrente che non ha comunque posto in essere l’azione tipica, in quanto l’errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull’elemento soggettivo della compartecipazione, essendosi comunque realizzata l’azione comune, il cui esito aberrante è privo di rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo” (cfr. Sez. 1, n. 38549 del 08/07/2014, Bellone, Rv. 260797- 01; Sez. 1, n. 40513 del 21/09/2001, Anastasio, Rv. 220238-01).

Tornando al caso di specie, ove la vittima è una dei correi, è comunque configurabile l’aberratio ictus poiché l’azione del collettivo, corroborata dall’elemento psicologico, è univocamente diretta alla commissione del reato omicidiario. Di tal che, la morte di una persona diversa da quella oggetto del programma, secondo “il principio dell’indifferenza del soggetto passivo nella prospettiva di cui all’art. 82 cod. pen.”, non determina alcun effetto “liberatorio” nei confronti dei sodali.

Difatti, nel reato aberrante, la divergenza tra quanto programmato e quanto verificatosi non è sempre determinato dall’errore dell’agente, ma, anche, dalla potenziale “contro-risposta” del destinatario della condotta criminosa.

La reazione della persona, oggetto delle mire violente dei correi, “non integra, in linea di principio, un decorso causale eccezionale, che possa escludere, […] l’efficienza causale della condotta offensiva riconducibile all’esecutore materiale”. Ciò è giustificato dal fatto che la reazione del “bersaglio” è da individuarsi quale fattore prevedibile ed è tale da determinare, in non pochi casi, il radicale mutamento del “bersaglio finale”. Tutto questo sarà possibile, ovviamente, solo se “la reazione della vittima non soppianti del tutto, nella produzione dell’evento, la condotta causativa terminale, rendendola all’agente non più riferibile” e solo se “tale condotta causativa terminale non solo risulti all’agente stesso psichicamente riconducibile, ma resti anche sorretta dal medesimo dolo iniziale di offesa”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Prima Sezione ha disposto l’annullamento dell’impugnata l’ordinanza, relativamente al reato di cui al capo 1) dell’imputazione, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo.

 

Cass. Pen., Sez. I, Sentenza n. 34178 del 15/07/2024 Cc. (dep. 10/09/2024)

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