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In tema di ricorso per cassazione, deve formare oggetto di specifica deduzione, mediante la prospettazione della violazione del disposto degli artt. 309, comma 9 e 324, comma 7, cod. proc. pen., la mancanza assoluta di motivazione del decreto di sequestro preventivo in punto di “periculum in mora”, causativa della nullità radicale di tale provvedimento e, pertanto, non integrabile dal Tribunale del riesame, posto che la Corte di cassazione, diversamente da quanto avviene per le ordinanze dispositive di misure cautelari personali ex art. 292, comma 2, cod. proc. pen., non può rilevarla d’ufficio.

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

Il Tribunale del riesame di Roma rigettava la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del medesimo luogo stante la ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in relazione ai reati previsti dagli artt. 5 e 10 bis, d.lgs. n. 74 del 2000 asseritamente commessi da un soggetto che aveva ricoperto la funzione di legale rappresentante di una S.R.L..

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca aveva ad oggetto una somma considerata profitto di più reati e quantificata in euro 889.574,37.

Ciò posto, considerato il mancato reperimento di tale liquidità, era stata apposto il vincolo sui beni nella disponibilità dell’odierno ricorrente per un valore equivalente alla ridetta somma.

Pertanto, si procedeva al sequestro di euro 104.947,57 (di proprietà della società) e di beni mobili ed immobili di proprietà del legale rappresentante per un valore complessivo pari a euro 50.137,22.

Il ricorrente, impugnato il relativo provvedimento giurisdizionale, si doleva della mancanza di motivazione del decreto di sequestro preventivo rilevando come il ragionamento del Tribunale del riesame si fosse unicamente focalizzato su una erronea valutazione del periculum in mora avendo detto organo giudicante giustificato il ridetto periculum, unicamente, sulla base del debito erariale maturato dal ricorrente (nonostante la corposa allegazione di documenti comprovanti il pagamento dei debiti nei confronti dell’Erario) e sui numerosi procedenti penali a carico del medesimo.

La Terza sezione ha accolto il ricorso evidenziando, preliminarmente, come il provvedimento di sequestro preventivo ex art. 321, comma 2, c.p.p. finalizzato alla confisca ex art. 240 c.p. deve essere correttamente motivato con specifico riferimento al c.d. periculum in mora e, al contempo, deve espressamente indicare le ragioni per le quali si renda necessaria l’applicazione anticipata dell’effetto ablativo sulla res prima della conclusione del giudizio.

In tal senso, secondo le Sezioni Unite (cfr. sent. n. 36959 del 24/06/2021, Ellade), il pericolo di dispersione deve necessariamente essere reputato sussistente (con congrua motivazione) prima che il giudizio venga definito non rilevando, pertanto, la natura della confisca né la funzione della medesima.

Di tal che, la “natura “obbligatoria” della confisca non rende “obbligatorio” anche il sequestro ad essa funzionale”. L’obiettivo e l’intenzione del Legislatore sono stati quelli di evitare una automatica “confiscabilità della cosa perché già tale caratteristica sarebbe indice di pericolosità oggettiva del bene”. Il rischio sarebbe, indubbiamente, quello di “trascurare la diversità sostanziale delle ipotesi per le quali il legislatore ha previsto la confisca di beni, peraltro non sempre incentrata sulla pericolosità del bene” pervenendo “ad una non consentita sovrapposizione della misura cautelare, da una parte, e di quella definitiva, dall’altra”.

Il giudice dovrà, conseguentemente, indicare le ragioni giustificanti l’applicazione del vincolo sul bene e le motivazioni dalle quali desumere che la res potrebbe essere, nelle more del giudizio, modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata od alienata “anche in caso di sequestro preventivo di cosa soggetta a confisca obbligatoria”.

Discorso opposto deve essere fatto nei confronti delle cose “la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisca reato” (cfr art. 240, co. 2, n. 2, c.p.) poiché, in questo caso, è sufficiente dare atto della confiscabilità del bene difettando “il presupposto della sentenza di condanna o di applicazione della pena”.

In tal senso, diviene fondamentale quanto enucleato dalle Sezioni Unite (cfr. sent. n. 40847, 30/05/2019, Bellucci) secondo cui “solo la confisca delle cose oggettivamente criminose prescinde … dalla sentenza di condanna e può trovare applicazione anche nel caso di estinzione del reato” dal momento che il divieto di restituzione ex art. 324, comma 7 e gli effetti del riesame si concentrano sulla natura intrinsecamente illecita della res divenendo “irrilevante la verifica della motivazione del sequestro o della convalida».

Situazione totalmente opposta è quella secondo cui gli altri casi di confisca obbligatoria transitano necessariamente dall’ “accertamento dell’esistenza di un’attività vietata”. Pertanto, una irragionevole applicazione del divieto di restituzione della resper un bene la cui detenzione o il cui uso non presenta profili di illiceità ha l’effetto di privare di rilevanza lo stesso giudizio di riesame, il che si pone in una logica antitetica rispetto a quella che ha spinto le Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 5876 del 28/0.1/2004, Bevi/acqua, Rv.226713) ad affermare la necessità che il sequestro, anche se probatorio, sia sempre supportato da adeguata motivazione circa le finalità del vincolo” (cfr. in tal senso Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli).

Nel caso di specie, la quaestio iuris ruota attorno alla possibilità di ritenere correttamente sussistente o meno il periculum in mora alla luce del rilevante debito tributario gravante in capo al ricorrente e alla necessità di procedere all’apposizione del vincolo sui beni alla luce del grave stato di incapienza e al considerevole numero di precedenti penali del soggetto destinatario della misura reale per reati contro il patrimonio.

Se – da una parte – il Tribunale del riesame ha reputato legittimo questo ragionamento optando per la conferma del vincolo apposto sui vari beni, la Suprema Corte – dall’altra – non ne ha condiviso i contenuti ribadendo come, secondo il dictum delle Sezioni Unite “Ellade”, non vi è identità di presupposti tra il sequestro conservativo e quello preventivo finalizzato alla confisca.

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità, con una recente pronuncia, ha ribadito come “in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, è illegittimo il provvedimento di applicazione della misura che non contenga una, sia pur concisa, motivazione circa la ritenuta sussistenza del “periculum in mora”, anche nel caso in cui il patrimonio del soggetto passibile di ablazione sia di consistenza inferiore alla somma sino alla cui concorrenza questa dovrebbe operare, non coincidendo il suo presupposto applicativo con quello della mancanza/insufficienza della garanzia patrimoniale, previsto per il sequestro conservativo”.

Il ragionamento della Terza sezione trova il proprio fondamento nel fatto che “la particolare disciplina del sequestro conservativo è […] finalizzata alla salvaguardia della generica garanzia patrimoniale che grava sul debitore per l’adempimento delle sue obbligazioni (art. 2740 cod. cív.) ed il suo campo di applicazione è delineato con riguardo agli obblighi concernenti le “sanzioni civili” indicate negli artt. 185 ss. cod. pen.”, mentre risulta essere “ben diversa la disciplina – e la ratio – del sequestro preventivo, nell’ambito della quale ha trovato collocazione anche la cautela reale finalizzata alla confisca di valore, non appare(ndo) dunque consentito fondare il presupposto di quest’ultima sulla mera mancanza/ insufficienza della garanzia patrimoniale”.

Ancora una volta viene affrontato il tema dell’obbligo motivazionale gravante sul giudicante in caso di applicazione della norma contenuta nell’art. 321, comma 2, o comma 2-bis, c.p.p. dal momento che la sussistenza del periculum potrà ritenersi fondata solo fornendo adeguata motivazione con specifico riferimento alla “valutazione prognostica concernente gli eventi suscettibili di verificarsi medio tempore e tali da poter pregiudicare l’esecuzione della confisca sul patrimonio di cui l’autore del reato dispone, quale che esso sia”.

Infine, il riferimento effettuato dal Tribunale del riesame in ordine alla presenza di precedenti penali per reati contro il patrimonio è stata reputata priva di pregio dai Giudici di legittimità poiché l’esigenza cautelare reale deve avere quale unico e precipuo scopo quello di impedire la dispersione del bene che deve essere confiscato non rilevando il “passato giudiziario” del soggetto titolare dei beni.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza al fine di procedere a un nuovo giudizio in ordine alla sussistenza o meno delle esigenze cautelari che hanno, inizialmente, determinato l’applicazione della misura reale.

Ciò posto, devesi, da ultimo, evidenziare che nel caso di specie non è stato possibile – secondo la Terza sezione – disporre l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza (come richiesto dal P.G. presso la Corte di Cassazione) dal momento che il ricorrente “non ha specificamente dedotto in questa sede la violazione dell’art. 309, comma 9, ultimo paragrafo, cod. proc. pen., non essendosi cioè lamentato del fatto che il provvedimento genetico avrebbe dovuto essere annullato tout court dal tribunale del riesame perché radicalmente mancante della motivazione sul punto”. Difatti, non rientra tra i poteri del tribunale del riesame quello di integrare (a differenza dei provvedimenti cautelari aventi a oggetto misure cautelari personali) il contenuto del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di “periculum in mora” in caso di totale assenza o di grave mancanza di motivazione.

In tal senso, la carenza patologica dell’impianto motivazionale è “causa di radicale nullità del provvedimento ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen.”, ma ciò “deve essere oggetto di specifica devoluzione in sede di legittimità (se del caso anche di allegazione del provvedimento genetico che non necessariamente deve essere trasmesso dal giudice a quo) posto che la mancanza di motivazione del decreto di sequestro preventivo sulla sussistenza delle esigenze cautelari non è rilevabile d’ufficio, diversamente da quanto prescrive, per le ordinanze che dispongono misure cautelari personali, l’art. 292, comma 2, cod. proc. pen.

 

Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 23400 del 14/02/2024 Cc. (dep. 11/06/2024) 

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