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In tema di utilizzazione dei risultati di intercettazioni effettuate con captatore informatico per delitti diversi da quelli per cui è stato emesso il decreto autorizzativo, il disposto dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l’utilizzazione all’accertamento dei delitti indicati all’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., è riferito esclusivamente alla captazione di conversazioni intercorse tra presenti, mentre per quelle che non si svolgono tra presenti opera la clausola di salvezza contenuta nell'”incipit” del medesimo art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., che rinvia alle condizioni previste nel comma 1 di tale disposizione.

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A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

La Quarta sezione, con la pronuncia in esame, si è occupata della delicata quanto interessante questione di natura procedurale afferente i profili relativi alla utilizzabilità delle intercettazioni in diverso procedimento.

La quaestio iuris degna di nota ruota attorno alla non semplice interpretazione della norma contenuta nell’art. 270, comma 1 bis, c.p.p. e ai “margini” di operatività del predetto dettato normativo.

Preliminarmente, devesi rilevare che, nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Catanzaro – in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. – applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un soggetto gravemente indiziato del delitto previsto dall’art. 73 d.P.R. 309/90.

Il Tribunale della libertà aveva considerato errata l’interpretazione della norma contenuta nell’art. 270, comma 1 bis, c.p.p. offerta dal G.I.P., il quale aveva rigettato l’iniziale richiesta di applicazione di misura cautelare formulata dall’organo inquirente.

La suindicata richiesta era stata avanzata dall’Ufficio di Procura stante l’avvenuta emersione, nel corso di una parallela attività di indagine nei confronti di altra persona e per altro reato (tentato omicidio), di gravi elementi dai quali era stato possibile ricondurre all’indagato del presente procedimento la condotta di illecita detenzione di circa 2 kg di sostanza stupefacente del tipo marijuana.

I gravi indizi di colpevolezza si fondavano sul contenuto di due intercettazioni – effettuate mediante captatore informatico – disposte ed effettuate nell’ambito di altro procedimento iscritto nei confronti di un diverso indagato per il reato di tentato omicidio.

Pertanto, se il G.I.P. aveva optato per declaratoria di inutilizzabilità del contenuto delle suddette intercettazioni stante la sussistenza del divieto previsto dalla norma contenuta nell’art. 270, comma 1 bis, c.p.p., il Tribunale del riesame, invece, ha rilevato come la c.d. “clausola di salvezza” del predetto articolo “consentirebbe di utilizzare i risultati delle intercettazioni con captatore in relazione ai reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato”.

Ciò posto, la Quarta sezione ha accolto il ricorso proposto dall’indagato.

Preliminarmente, la Suprema Corte ha precisato che la norma contenuta nell’art. 270 c.p.p. prevede – al primo comma – due deroghe al divieto di utilizzazione di captazioni effettuate in diverso procedimento:

  • la prima deroga consente la circolazione extra-procedimentale delle intercettazioni con specifico riferimento all’ accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza;
  • la seconda deroga attiene i reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p. (anche se, con riferimento a tale deroga, il legislatore – con il d.l. n. 105 del 10 agosto 2023 – ha soppresso il riferimento ai reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p. per i procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione).

Orbene, il vero problema riguarda la clausola di apertura prevista dall’art. 270 comma 1 bis c.p.p. poiché – come ribadito dai Giudici di legittimità – “sembrerebbe non chiaro il significato da attribuirsi alla (ridetta clausola), che fa salvo il disposto del comma 1, introducendo, al tempo stesso, significative restrizioni riguardanti le intercettazioni mediante captatore”.

Pertanto, secondo il Supremo Collegio le restrizioni normativamente previste inducono a ritenere che “le restrizioni previste dal legislatore con riferimento alle intercettazioni operate con captatore informatico valgano unicamente per le conversazioni tra presenti”.

Di conseguenza, la precisazione operata dalla norma predetta diviene fondamentale dal momento che il contenuto delle registrazioni, frutto dell’attività intercettiva del captatore informatico, sarà utilizzabile nel caso in cui “si registrino conversazioni tra presenti” e il contenuto della intercettazione “sarà consentito al di là dei limiti di autorizzazione del decreto che ha disposto l’intercettazione solo per l’accertamento dei più gravi delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen.”.

La ratio legis trova il proprio fondamento nella volontà del legislatore di evitare uno “spropositato e arbitrario utilizzo” del contenuto delle intercettazioni in altri procedimenti soprattutto nei casi in cui si fuoriesca dalla “previsione del decreto autorizzativo a delitti di particolare gravità e allarme sociale”.

In tal senso, devesi, comunque, sottolineare che il captatore informatico (per sua natura) è uno strumento dotato di una elevatissima forma di invasività che permette, nel caso di conversazioni tra presenti, anche di procedere alle c.d. “intercettazioni in incertam personam.

Conclusivamente argomentando, in caso di conversazioni effettuate con modalità diverse da quelle “tra presenti”, “la clausola di salvezza indicata nell’incipit della formulazione dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen. consente di ricondurre il caso nell’ambito della previsione di cui al primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen.”.

Difatti, l’utilizzazione in altro procedimento della conversazione intercettata (tramite captatore) tra due persone e, ovviamente, del contenuto della captazione “sarà possibile ove sia rilevante e indispensabile per l’accertamento di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen.”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha enucleato il principio di diritto secondo cui “In tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico per reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto autorizzativo, la previsione di cui all’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l’utilizzazione all’accertamento dei delitti indicati nell’art. 266, comma 2-bis cod. proc. pen., è riferita alle sole intercettazioni tra presenti. Non così per le conversazioni che non si svolgano tra presenti, realizzate anche mediante captatore, rispetto alle quali vale la clausola di salvezza contenuta nell’incipit dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., che rinvia alle condizioni previste nel primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen.”.

Pertanto, alla luce delle predette conclusioni, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza e ha invitato il Tribunale del riesame a valutare attentamente la natura e il tipo di conversazioni che sono state oggetto di intercettazione al fine di comprendere se le medesime siano qualificabili come “intercettazioni tra presenti”.

In tal caso la loro utilizzabilità dovrà essere esclusa.

In caso contrario il Tribunale “potrà avvalersi dei risultati delle intercettazioni, motivando sulla loro rilevanza e indispensabilità, siccome previsto dall’art. 270, comma 1, cod. proc. pen.”.

 

Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 25401 del 20/06/2024 Cc. (dep. 27/06/2024)

 

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