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La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-ter del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui prevedeva che la verifica della persistenza della pericolosità sociale, dopo lo stato di detenzione, poteva avvenire solo se questo si fosse protratto per almeno due anni.

Con sentenza n. 162 del 24/09/2024 e depositata il successivo 17/10/2024 la Corte Costituzionale taccia di incostituzionalità il comma 2 ter dell’art. 14 D. Lgs 159/2011 nella parte in cui fissava un limite temporale di ininfluenza della privazione della libertà correlata ad espiazione pena.

In conseguenza di tale pronuncia, <<dopo la cessazione dello stato di detenzione, il tribunale sarà tenuto a verificare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato>>, con le modalità prescritte dall’art. 14 del Codice antimafia. Ne discende che, fintanto che non intervenga la rivalutazione, << la misura di prevenzione in precedenza disposta dovrà considerarsi ancora sospesa, e le prescrizioni con essa imposte non potranno avere effetto nei confronti dell’interessato>>.  

Il Giudizio di legittimità costituzionale prende avvio dall’ordinanza del Tribunale di Oristano chiamato a decidere sulla responsabilità penale di un uomo imputato per plurime violazioni dell’art. 75, comma 1, cod. antimafia, per aver trasgredito, la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione nelle ore notturne. Lo stesso era sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di un anno in forza di un decreto, la cui esecuzione era tuttavia rimasta sin dall’inizio sospesa, essendo l’interessato detenuto per esecuzione pena durata poco più di un anno. La sorveglianza speciale era quindi divenuta esecutiva soltanto quando l’interessato era stato scarcerato.

Il Giudice delle Leggi, nella sentenza che si segnala ai lettori, muove il proprio convincimento dal raffronto della disciplina prevista in materia di misure di sicurezza con quelle in esame relativa alle misure di prevenzione. Le due discipline, scrive la Corte, sono accomunate <<dalla finalità di “prevenire la commissione di reati da parte di soggetti socialmente pericolosi e [di] favorirne il recupero all’ordinato vivere civile” (sentenza n. 69 del 1975, ordinanza n. 124 del 2004), al punto da poter essere considerate come “due species di un unico genus” (sentenze n. 419 del 1994 e n. 177 del 1980)»

Con la recente pronuncia la Consulta ripercorre quindi il percorso logico giuridico già offerto nella sentenza n. 291 del 2013.  In quest’ultima veniva stigmatizzato il diritto vivente (sintetizzato nella sentenza delle SS.UU. del 25 marzo-14 luglio 1993, n. 6) perché ritenuto “incompatibile con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost”. Conseguentemente, l’art. 15 cod. antimafia veniva dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura».

Veniva nello specifico evidenziato come <<il decorso di un lungo lasso di tempo incrementa la possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile: ma a maggior ragione ciò vale quando si discuta di persona che, durante tale lasso temporale, è sottoposta ad un trattamento specificamente volto alla sua risocializzazione. Se è vero, in effetti, che non può darsi per scontato a priori l’esito positivo di detto trattamento, per quanto lungo esso sia, meno ancora può giustificarsi, sul fronte opposto, una presunzione – sia pure solo iuris tantum – di persistenza della pericolosità malgrado il trattamento, che equivale alla negazione della sua stessa funzione>>.

A seguito della sentenza della Consulta del 2013, sulla scorta del sintetizzato ragionamento, anche rispetto alle misure di prevenzione veniva imposta una doppia verifica di pericolosità: nel momento dell’adozione del provvedimento, e nel momento dell’effettiva esecuzione di esso, nella specifica ipotesi in cui tra essi si sia verificato uno iato temporale per effetto di una sospensione dovuta alla detenzione per espiazione di pena dell’interessato.

Ne derivò poi la scelta del Legislatore del 2017 (art. 4 comma 1 L. 17 ottobre 2017, n. 161) di introdurre, nel codice antimafia, il comma 2-ter all’art. 14 istitutivo della presunzione di irrilevanza dello stato detentivo se non superiore ai due anni.

Con la sentenza n. 162/2024 la Corte Costituzionale, ha ritenuto la scelta del Legislatore costituzionalmente illegittima in quanto la presunzione in parola è:

1) lesiva dell’art. 3 Cost., perché “intrinsecamente irragionevole” in quanto non vi è alcuna ragione per ritenere che <<nell’arco di un intero biennio la personalità di un individuo, e in particolare il suo atteggiamento nei confronti dei valori fondamentali della convivenza civile, non possa subire significative modificazioni, quando si tratti di un individuo detenuto in esecuzione di una pena, e dunque sottoposto a un trattamento che per vincolo costituzionale è finalizzato alla sua rieducazione>>. Sotto altro profilo lesiva dell’art. 3 Cost. perché <<foriera di un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alla parallela disciplina oggi applicabile alle misure di sicurezza in forza dell’art. 679, comma 1, c.p.p.>>.

Peraltro evidenziano gli Ermellini che l’intrinseca irragionevolezza della soluzione legislativa appare ancora più evidente <<allorché la cessazione della detenzione sia dovuta alla concessione di misure alternative, le quali presuppongono una valutazione di segno positivo riguardo alla condotta carceraria del condannato che vi acceda>>.

2) in contrasto con l’art. 13 Cost.. poiché la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è a tutti gli effetti una restrizione della libertà personale e come tale deve soggiacere alla disciplina imposta dall’art. 13 Cost..

Ed infatti, l’art. 13 Cost. subordina la legittimità costituzionale di eventuali restrizioni di tale libertà non solo alla puntuale definizione per legge dei presupposti della restrizione, ma anche al loro accertamento caso per caso da parte di un giudice; accertamento che, per esplicita previsione della norma costituzionale, deve qui intervenire in via preventiva, o comunque non oltre novantasei ore dall’avvenuta restrizione.

<<La disciplina censurata prevede, invece, un meccanismo di tutela giurisdizionale successivo e soltanto eventuale (perché attivabile soltanto su istanza di parte) su un requisito centrale – quello della pericolosità dell’interessato – la cui effettiva e persistente sussistenza al momento dell’esecuzione della misura deve essere considerata, a sua volta, condizione della sua proporzionalità rispetto ai legittimi obiettivi di prevenzione dei reati, che la misura di prevenzione persegue>>.

3) in palese contrasto con il principio della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.

La presunzione legislativa dettata dal comma 2 ter presuppone che un trattamento penitenziario in ipotesi protrattosi fino a due anni sia radicalmente inidoneo a modificare l’attitudine antisociale di chi vi è sottoposto.

Evidenzia la Corte come <<un simile presupposto varrebbe a determinare di per sé l’incompatibilità con l’art. 27, terzo comma, Cost. di tutte le pene detentive di breve durata>>. L’ordinamento invece non può che muovere, piuttosto, <<dalla premessa della idoneità anche delle pene detentive di durata non superiore ai due anni a svolgere una funzione rieducativa nei confronti del condannato>>.

Conclude infatti il Giudice delle Leggi che <<per ovvie ragioni di coerenza rispetto a quella premessa, di lasciare aperta la porta a una verifica caso per caso se questo risultato sia stato raggiunto, o se invece persista, nonostante l’avvenuta espiazione della pena, una situazione di pericolosità sociale dell’interessato, che deve ancora essere contrastata mediante l’effettiva esecuzione della misura precedentemente disposta>>.  

 

SENTENZA N. 162 ANNO 2024

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