La Quarta sezione penale, con la sentenza n. 35016/2024 riguardante i tragici fatti avvenuti durante la proiezione di un importante evento calcistico a Piazza San Carlo nell’anno 2017, ha posto l’attenzione sulla rilevanza dei ruoli di garanzia che ogni soggetto – nell’esercizio della propria funzione all’interno dell’Amministrazione – deve necessariamente assolvere e sul giudizio di prevedibilità dei pericoli in relazione ad eventi potenzialmente rischiosi che potrebbero innescarsi. Pertanto, la panoramica dei pericoli derivanti da un evento (nel caso di specie, di intrattenimento) “deve essere valutata con giudizio da operarsi ex ante, sulla base della conoscenza o della conoscibilità da parte del soggetto agente dei vari indicatori di rischio che vengano in gioco in una determinata vicenda” dal momento che “il giudizio di evitabilità può definirsi come la possibilità di annullare totalmente o diminuire l’esposizione alle conseguenze dannose per l’incolumità collettiva e individuale da parte del soggetto garante”.
La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, si è occupata dei fatti di Piazza San Carlo, verificatisi in occasione della proiezione presso la ridetta piazza della finale di Champions League del 2017. Durante tale evento, alcuni rapinatori – dopo aver razziato delle attività commerciali – utilizzarono dello spray urticante per aprirsi la strada e scappare via scatenando il panico tra la folla che riempiva il suindicato luogo pubblico.
Ciò posto, devesi rilevare che agli imputati del presente procedimento sono state elevate, in cooperazione colposa tra loro, le imputazioni di omicidio colposo in danno di P. E. ed A. M., di lesioni colpose di numerosissime parti offese, di disastro colposo per “avere agito, nelle rispettive qualità, con negligenza, imprudenza, imperizia ed in violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.
Le questioni di diritto afferenti il presente caso giudiziario – sottoposte all’attenzione della Suprema Corte – sono state numerose. Di tal che, la disamina di ogni singola questio iuris appesantirebbe il presente scritto rendendo particolarmente gravosa la disamina dei punti notali dell’intera vicenda. Pertanto, ci si soffermerà sulle censure più rilevanti e sulle risposte fornite alla medesime dai Giudici di legittimità.
La prima questio iuris, fondante i motivi di doglianza di gran parte dei ricorrenti (tra i quali vi è anche l’ex sindaco di Torino C.A.), riguarda il margine di prevedibilità degli eventi generatisi in Piazza San Carlo la sera del 3 giugno 2017, la conseguente evitabilità dei medesimi e, di conseguenza, la possibilità di ravvisare una condotta penalmente rilevante nel loro generale modus operandi.
La Quarta sezione, investita dei ricorsi, ha disarticolato punto per punto i vari quesiti pervenendo a una conferma quasi totale dell’impianto accusatorio e specificando, per quali ragioni, gli imputati avrebbero agito (nelle rispettive qualità) con “negligenza, imprudenza, imperizia ed in violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.
La anzidetta questio iuris – oggetto di disamina da parte dei Giudici di legittimità – attiene alla analisi della prevedibilità dell’evento che, secondo la Suprema Corte, “deve essere valutata con giudizio da operarsi ex ante, sulla base della conoscenza o della conoscibilità da parte del soggetto agente dei vari indicatori di rischio che vengano in gioco in una determinata vicenda”. Chiarito questo primo punto, secondo la Corte, una volta assolto l’obbligo di previsione, “il giudizio di evitabilità può definirsi come la possibilità di annullare totalmente o diminuire l’esposizione alle conseguenze dannose per l’incolumità collettiva e individuale da parte del soggetto garante”.
Ciò posto, devesi evidenziare che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta automaticamente l’addebito di una responsabilità colposa a carico del garante atteso che “il principio di colpevolezza (impone) la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso”.
Pertanto, soprattutto nel campo della colpa generica, l’identificazione del pericolo e della causa scatenante il medesimo assumono decisivo rilievo al fine di comprendere se le regole prudenziali, funzionali al suo depotenziamento o annullamento, siano state effettivamente rispettate. L’accertamento della causa diviene momento essenziale considerato che, solo dopo un’attenta analisi del fatto e della causa ad esso collegato, “si deve procedere alla individuazione del comportamento lecito alternativo, il quale deve discendere da una ben
determinata regola prudenziale”. In tal senso, diviene essenziale operare il c.d. giudizio controfattuale ovvero comprendere “che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all’imputato dall’ordinamento”.
L’obiettivo fondamentale, in caso di colpa generica, è quello di:
- pervenire a un “corretto processo di identificazione della regola prudenziale violata e della prevedibilità dell’evento” consentendo “di individuare la regola astratta, preesistente all’evento, a cui avrebbe dovuto conformarsi il soggetto agente per prevenire eventi del genere di quelli verificatisi”;
- evitare la violazione dei principi di legalità e di colpevolezza (violazione che si verifica ogni volta in cui si sia proceduto a un giudizio effettuato ex post e non ex ante).
Nel caso di specie, secondo la Corte, la “prevedibilità dell’evento (deve) essere rapportata non alla causa primigenia dello spostamento della folla — nella specie, diffusione dello spray urticante – ma alla conseguenza generatasi in seguito all’azione dolosa dei rapinatori (panico collettivo)”. Di tal che, i Giudici di legittimità non hanno condiviso i contenuti delle tesi difensive avente a oggetto la impossibilità di prevedere la realizzazione di quella determinata causa che ha scatenato il panico in piazza (spruzzo dello spray urticante). Il ragionamento della Suprema Corte si fonda sul fatto che, in caso di formazione di un assembramento di migliaia di persone in un determinato spazio confinato, è altamente probabile il verificarsi di un avvenimento “naturalistico o antropico atto ad innescare una prima scintilla di panico” soprattutto se, come nel caso concreto, “la vicenda si collocava in un contesto temporale, noto a tutti, nel quale era alto il rischio di attentati terroristici”.
Se da una parte è vero quanto sostenuto dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014) che hanno enucleato il principio di diritto secondo cui “in tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo”, dall’altro devesi, comunque, considerare che “il grado di “categorialità” a cui deve pervenirsi nella determinazione della causa dell’evento è certamente frutto di un ragionamento fondato su criteri logici, i quali, se applicati in modo puntuale e coerente, non risultano censurabili in sede di legittimità”.
Pertanto, secondo la Corte, non è condivisibile la tesi difensiva secondo cui l’impostazione accusatoria (recepita dai giudici di merito) si sarebbe fondata su una riduzione ad unità degli accadimenti della realtà (spruzzo dello spray da parte dei rapinatori in fuga) da dover evitare, disinnescare o, comunque, tamponare. Di tal che “la causa degli infortuni realizzatisi, delimitante il campo della riflessione sui profili di colpa individuati in capo ai ricorrenti e di ogni altro ragionamento susseguente, riferito in particolare al giudizio controfattuale ed alla evitabilità, rimane correttamente incentrata sul fenomeno del panico della folla, rischio che avrebbe potuto scatenarsi per ragioni diverse, ma che risultava prevedibile nel contesto in cui si è realizzato e che doveva essere per questo previamente considerato ai fini della sua gestione”.
Sempre in tema di causa dell’evento, la difesa ha censurato il fatto che i giudici di merito non avessero considerato che i movimenti massivi della folla fossero stati plurimi e distanziati nel tempo. Di tal che, tanto il giudice di primo quanto quello di secondo grado avrebbe dovuto effettuare una analisi separata con specifico riferimento a ogni “blocco” di movimento della massa (che si era innescato) trattandosi “di fenomeni realizzatisi in contesti spazio-temporali distinti tra loro, aventi ciascuno un proprio carattere ed una propria origine”. Tale “parcellizzazione” non è stata condivisa tanto dai giudici di merito quanto da quelli di legittimità posto che “la parcellizzazione dei movimenti della folla sia del tutto ininfluente ai fini della individuazione della causa degli eventi dannosi, dovendosi guardare al fenomeno nella sua unitarietà”.
Difatti, sottolinea la Corte, “una considerazione dei fatti che voglia tener conto in modo parcellizzato di un fenomeno lesivo come quello generatosi nel caso in esame porterebbe al risultato di escludere dal campo della prevedibilità qualunque accadimento”.
I motivi di doglianza rotanti attorno alla impossibilità di imputare all’ex Sindaco di Torino un addebito di cooperazione colposa trattandosi di “un intervento confinato in una fase soltanto ideativa della manifestazione” e “per questo insuscettibile di arrecare un contributo idoneo ad intrecciarsi con quello di altri coimputati che a tale fase non avevano partecipato” non sono stati condivisi.
I Giudici di legittimità hanno, in tal senso, evidenziato come in tema di reati colposi, il discrimen tra l’ipotesi di cooperazione da quella del mero concorso di cause indipendenti è determinato “dal collegamento delle volontà dei diversi soggetti agenti”.
Nel caso di cooperazione colposa “vi è la convergenza di una pluralità di volontà ed il soggetto agente ha la consapevolezza di contribuire con la propria condotta alla realizzazione di un evento che non è voluto. È importante rammentare come la giurisprudenza di legittimità ammetta la cooperazione colposa nella produzione di un evento lesivo che si manifesti anche attraverso un comportamento omissivo (cfr. Sez. 4, n.
26239 del19/03/2013, Gharby, Rv. 255696)”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ritiene fondamentale ribadire come la condotta addebitata all’imputata C.A. non può essere isolata alla sola fase ideativa estendendosi, invece, a quella organizzativa della manifestazione (condivisione di ogni scelta operativa del Capo di Gabinetto e mancata adozione della c.d. “ordinanza anti-vetro”) dando impulso alle scelte riguardanti il luogo di svolgimento e l’ente deputato ad organizzare la manifestazione senza valutare attentamente la “sostenibilità in termini di sicurezza di tali scelte”.
Pertanto, non è possibile invocare la cooperazione colposa c.d. “diacronica” al fine di escludere, secondo la difesa, la penale responsabilità dei ricorrenti.
Tale forma di cooperazione, in antitesi rispetto a quella c.d. “sincronica”, ricorre nelle ipotesi in cui, nel campo sanitario”, gli atti medici intervengono in fasi funzionali o temporali differenti.
Sia in caso di cooperazione colposa c.d. “diacronica” che “sincronica”, è possibile invocare il principio dell’affidamento con la differenza che quest’ultimo non può essere invocato dal sanitario nel caso in cui il collega abbia posto in essere una condotta colposa in contrasto con la “leges artis”.
Nel caso di specie, il riferimento alla cooperazione diacronica non è stato reputato condivisibile poiché l’imputata non si è limitata allo svolgimento della sola fase ideativa dell’evento di intrattenimento.
Infine, non è stato accolto il motivo di doglianza con cui la difesa della ricorrente C.A. ha evidenziato la sussistenza di vizi logici nell’impianto motivazionale redatto dai giudici di merito nella parte in cui i medesimi hanno evidenziato “la brevità del fattore tempo rispetto all’adozione di cautele necessarie per adempiere ad una puntuale preparazione della manifestazione con evidenti ricadute sul profilo afferente la sicurezza del suo svolgimento”.
Di tal che, dalla disamina delle sentenze di primo e di secondo grado, è possibile rilevare – secondo la Quarta sezione – come “il fattore tempo non sia stato considerato in maniera astratta dai giudici di merito, ma calato
nella realtà di una serie di adempimenti rilevanti per la procedura attuativa della manifestazione, a cui si era dato corso in maniera convulsa sotto l’impulso proveniente da G. e su indicazione della Sindaca, con ricadute innegabili sullo svolgimento in sicurezza della manifestazione”.
Pertanto, la forte contrazione dei tempi necessari ai fini di un’attenta programmazione del piano di sicurezza della manifestazione aveva, indubbiamente, condotto a sottovalutare i rischi a cui erano esposti migliaia di spettatori e a non prendere in considerazione i più importanti aspetti afferenti l’evacuazione in sicurezza della piazza. Inoltre, le caratteristiche di quel luogo pubblico (Piazza San Carlo) e la decisione assunta dal Capo di Gabinetto di installare un solo maxischermo “hanno contribuito al verificarsi dei tragici eventi in seguito allo scatenarsi del panico tra la folla” posto che i decessi e gran parte delle lesioni riportate dalle persone ivi presenti spettatori “sono stati causati proprio dallo schiacciamento della folla che non era riuscita a defluire e a trovare sbocchi, mentre altre lesioni erano state provocate dai vetri delle bottiglie rotte sparse sulla pavimentazione”.
Di conseguenza, la condotta negligente e imprudenze della ricorrente (ex sindaco di Torino) e degli altri imputati (nelle rispettive qualità) sono strettamente collegati a una serie di rilevanti comportamenti omissivi.
Nello specifico, sottolinea la Corte, “la Sindaca, che era anche assessore con delega specifica agli eventi culturali, assunta la decisione della proiezione nella Piazza San Carlo, con affidamento della relativa organizzazione a T.T. P., dato impulso alla realizzazione della manifestazione in tempi brevissimi, avrebbe dovuto seguire l’evoluzione dei lavori dell’Amministrazione e vigilare sul loro andamento, intervenendo anche in modo drastico, una volta resasi conto che non erano stati considerati gli aspetti concernenti la sicurezza del pubblico partecipante e le condizioni per garantire la tutela dell’incolumità degli spettatori in caso di disordini”.
Infine, secondo la Quarta sezione, non vi sono dubbi in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato poiché non vi è sospetto che “la Sindaca si fosse prefigurata la possibilità dei rischi connessi alla manifestazione e la necessità che fossero curati con particolare attenzione gli aspetti riguardanti la sicurezza”.
La assoluta rilevanza delle condotte omissive emerge, inoltre, dalla mancata adozione della c.d. “ordinanza anti-vetro” in un evento di tale portata. Difatti, il Sindaco, secondo quanto previsto dalle norme contenute negli artt. 50 e 54 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, è “titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità pubblica dei cittadini, in quanto, pur essendo privo di poteri di concreta gestione, deve comunque svolgere un ruolo di vigilanza e controllo sull’operato dei suoi dirigenti, disponendo di mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire eventi dannosi nonché del potere sostitutivo di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti” (cfr. Sez. 4, n. 58243 del 26/09/2018).
Conclusivamente argomentando, la Suprema Corte ha rimarcato la posizione di garanzia che, in tale occasione, avrebbe dovuto rivestire – tra i vari soggetti nell’adempimento delle rispettive funzioni – anche l’ex Sindaco di Torino non potendo, conseguentemente, cogliere nel segno l’assunto difensivo secondo cui per “altre figure, anche istituzionalmente preposte alla gestione del rischio concretizzatosi” si sia pervenuto a un giudizio assolutorio dal momento che “in base a costante orientamento di legittimità, ove vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo di impedire l’evento”.
Cass. Pen., Sez. IV, num. 35016 Anno 2024, Ud. 17/06/2024
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