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Quello che connota la reazione del mondo del giornalismo alla imminente introduzione del divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari è il vittimismo. Il fingere di essere vittima è una tipica tecnica di manipolazione che vuole far sentire in colpa il proprio interlocutore invertendo i ruoli.

Il commento di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia

Si candidano a capro espiatorio della violazione della presunzione di innocenza mentre i veri responsabili andrebbero cercati altrove e, senza troppi giri di parole, nei magistrati: sono loro che a volte sbagliano a mettere in carcere persone che, alla fine del processo, verranno assolte, come se esistesse un indissolubile legale logico consequenziale fra misure cautelari e gogna mediatica.
I giornalisti non avrebbero alcuna responsabilità nel riportare le notizie su fatti che poi il processo smentirà e sarebbero doppiamente vittime, perchè a loro e solo a loro la futura riforma vorrebbe far pagare multe salate nel caso di violazione dei divieti.
A volte i confini fra la libertà di stampa e smania di ottenere uno scoop non sono ben distinguibili ma, soprattutto, manca la consapevolezza che la libertà di espressione e di opinione sancita dall’art.21 Cost. è come tutti i diritti costituzionali soggetta a bilanciamento con altri valori costituzionali. E’ così per tutti i diritti primari: il diritto alla salute con il diritto al lavoro, l’ordine pubblico con la libertà del singolo, la proprietà privata con l’utilità pubblica, lo stesso diritto alla vita con l’autodeterminazione della persona.
Pensiamo solo al complesso dibattito sul fine vita e sull’eutanasia, su cui ancora il nostro Stato non ha trovato un equilibrio generalmente accettato.
Questo drammatico equilibrio manca ancora di più oggi nel nostro paese fra diritto di informazione e tutela della persona e, in particolare, della sua libertà e della sua presunzione di innocenza. 

Pubblicare il testo dell’ordinanza cautelare non sarebbe sbagliato in sé, se non fosse costantemente utilizzato come strumento per anticipare alla fase delle indagini il raggiungimento della verità più brutta che si possa immaginare, quella che si compone sempre di ujn puzzle di tre pezzi: la vittima, il cattivo che l’ha offesa, maltrattata, uccisa etc e la punizione come reazione o vendetta della società.
Il problema è che – come è fisiologico – il processo è diverso dalle indagini e spesso porta ad un risultato opposto, in cui l’imputato diventa vittima e a quel punto lo è doppiamente perchè nessuno gli porterà restituire quel pezzo di vita interrotta a partire dalle indagini e fino al processo, attraverso sì le misure cautelari sbagliate, ma anche per effetto della gogna mediatica che le ha accompagnate.

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