“Ho appena finito di leggere “Gli spettri di Dike”, di Bruno Larosa (penalista del foro di Napoli), pubblicato nel luglio del 2024 da (la Bussola).
È un racconto avvincente, profondo, in cui il protagonista, Francesco de Falco, pubblico ministero ormai in pensione, isolato nella sua solitudine, rievoca frammenti del suo passato, quando, all’apice della carriera, come figura centrale della Procura di Roma, fu protagonista di inchieste clamorose che colpirono personaggi illustri.”
– Il commento di Domenico Albanese – penalista del Foro di Locri
Ora, solo e amareggiato dall’oblio in cui è piombato, il vecchio P.M. è tormentato dall’apparizione di un’ombra che, gradualmente, a lui si manifesta, infine rivelandosi.
Si tratta di Giandomenico Guida, celebre giudice napoletano, ex presidente di sezione del Tribunale del Riesame di Napoli, da lui indagato anni prima.
Tra i due nasce, lentamente, un dialogo serrato, sull’inchiesta che il P.M. condusse, con accanimento, contro Guida; inchiesta che secondo quest’ultimo fu montata ad arte e finalizzata a screditare non solo lui ma un’intera sezione del Tribunale del riesame, rea di non assecondare l’indirizzo dei pubblici ministeri, mostrandosi troppo indipendente da essi.
Il confronto, aspro e senza esclusioni di colpi, è l’espressione tangibile di due modi diversi di concepire la giustizia; per Guida, una funzione pubblica; per De Falco una missione purificatrice: quella di ripulire e preservare la società, corrotta e sempre più intrisa di criminali.
L’epilogo non sarà scontato!
Tema di fondo è quello della separazione delle carriere dei magistrati, un dibattito centrale che l’autore ritiene ormai non più rinviabile.
Il protagonista, incarnazione della degenerazione del potere giudiziario, rappresenta un sistema malato che si presta, forse troppo facilmente, agli abusi di potere dei pubblici ministeri, incentivati dalla vicinanza (garantita dal sistema) ai giudici, spesso ammaliati (se non succubi) del potere smisurato dei primi.
L’autore sembra non avere dubbi: il sistema attuale è insostenibile e necessita di una riforma che crei il giusto distacco tra la funzione requirente e quella giudicante.
Visto lo stato attuale della giustizia, attraversato, ormai da tempo, da forti tempeste, “Gli spettri di Dike” offre una lente sugli aspetti più inquietanti dell’abuso di potere legalizzato.
Si coglie appieno, tra le righe del racconto, l’inquietudine dell’autore, il cui animo è afflitto dal timore che, senza una riforma che affranchi i giudici dal potere dei colleghi requirenti, la situazione possa precipitare.
La lettura di questo racconto è stimolante poiché suscita una attenta riflessione su interrogativi pressanti che necessitano di risposte, primo fra tutti quello relativo alla necessità di una riforma del sistema giudiziario ma anche e soprattutto della sua portata, laddove si consideri che, forse, senza una contestuale e profonda revisione del codice di procedura penale, ogni riforma potrebbe, infatti, risultare insufficiente rispetto ai nuovi scenari.
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