La quinta sezione si è occupata della questione afferente il regime di procedibilità dei reati (alla scadenza del termine del 30 marzo 2023 come previsto dalla “Riforma Cartabia”) in caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante da parte del P.M. tale da determinare la “trasformazione” della procedibilità del reato “a querela di parte” in quella “d’ufficio” rilevando come “il pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio, avendone il potere e l’occasione (la prima udienza dopo il 30 marzo 2023); con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo processuale al prosieguo dell’azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell’ipotesi di estinzione del reato, non si è in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere”.

Il Tribunale di Catanzaro dichiarava, con sentenza datata 06.11.2023, non doversi procedere nei confronti di un soggetto accusato dei reati previsti dagli artt. 624 e 625 n. 2 c.p. attesa l’impossibilità di proseguire l’azione penale per difetto della condizione di procedibilità.

Il sostituto Procuratore presso il ridetto Tribunale ricorreva per cassazione rappresentando come l’organo giudicante avesse erroneamente considerato il reato procedibile a querela anziché d’ufficio (nonostante le modifiche introdotte dalla c.d. “Riforma Cartabia”) e rilevando la sussistenza di una circostanza aggravante (ossia quella prevista dall’art. 625 n. 7 c.p.) che era stata contestata dal P.M. in udienza e che “manteneva”, pertanto, la procedibilità d’ufficio del reato contestato.

La quinta sezione, investita del ricorso, lo reputava fondato evidenziando come, a seguito della tempestiva contestazione in udienza da parte del P.M. della ridetta aggravante, detto reato risultasse effettivamente procedibile d’ufficio.

Ciò posto, nel caso di specie, devesi rilevare:

  • che la norma contenuta nell’art. 85 del d. lgs. n. 150/2022 ha, espressamente, previsto che “il termine per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, primo comma, cod. pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”;
  • che la modifica normativa riguarda anche fatti commessi prima del 30 dicembre 2022;
  • che il fatto contestato all’imputato è stato “accertato in data 12.2.2020”;
  • che la persona offesa non ha presentato querela;
  • che, però, il P.M., alla prima udienza utile (individuata nella data del 15.5.2023), immediatamente prima dell’apertura del dibattimento, ha contestato la circostanza aggravante ex art. 625 n. 7 c.p.;
  • che il Tribunale di Catanzaro è, comunque, pervenuto alla declaratoria di improcedibilità per difetto della querela sottolineando come “la contestazione del P.M., pur ammissibile in linea di principio, non potesse spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inibiti dalla ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela, ad opera delia persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023”.

Orbene, la quinta sezione non ha condiviso il modus operandi del tribunale catanzarese specificando come la questio iuris può essere risolta attraverso una lettura congiunta delle norme contenute negli artt. 129 e 517 c.p.p..

In tal senso, secondo la Suprema Corte, vi sono alcuni temi che assumono decisivo rilievo ossia:

  • quello dell’incidenza della peculiare regolamentazione derivante dalla c.d. riforma Cartabia, che ha coinvolto, nel mutamento delle regole sulla nuova procedibilità a querela, con apposito regime transitorio, anche reati sub iudice originariamente contestati secondo il rito della procedibilità di ufficio”;
  • quello, correlato, dalle ricadute del principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite Domingo, ove applicato in modo automatico al caso processuale in esame”;
  • quello della possibilità o meno di una valutazione scissa delle plurime ipotesi di non punibilità all’interno dell’art. 129 cod. proc. pen.”.

Ciò posto, in tema di furto aggravato, la procedibilità è a querela salvo la avvenuta contestazione della circostanza aggravante ex art. 625, n. 7, c.p..

L’ “accorgimento” della “Riforma Cartabia” riguarda, inoltre, la possibilità per la persona offesa di presentare la querela entro tre mesi dall’entrata in vigore della predetta riforma (30.03.2023).

Ovviamente, la riforma non è dovuta intervenire, in alcun modo, sul potere di intervento della pubblica accusa, la quale ha la possibilità di “sfruttare” lo strumento della contestazione suppletiva della circostanza aggravante utile (ex art. 517 c.p.p.).

Ciò detto, la Suprema Corte ha rilevato la sussistenza di numerose criticità considerato:

  • che lo strumento della contestazione suppletiva della circostanza aggravante utile “non è risultato concretamente utilizzabile nei processi in cui, nel periodo di tempo fissato dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 (cioè dall’entrata in vigore della riforma al 30 marzo 2023), non è stata celebrata alcuna udienza”;
  • che “un’interpretazione che neghi gli effetti di tale legittimo atto propulsivo del pubblico ministero, in ragione dell’operatività della causa di improcedibilità “ora per allora”, nei casi in cui il pubblico ministero – a causa della scansione che lo specifico processo ha avuto nel tempo – non ha avuto alcuna possibilità di assumere l’iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, si pone in contrasto, ad opinione di questo collegio, con l’art. 517 cod. proc. pen. e con i valori tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.”;
  • che, difatti, “tale potere deve trovare uno spazio per il suo esercizio anche nei processi in cui, per effetto della novella e del suo regime transitorio, disegnato per l’iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l’eventuale inattività processuale nel periodo 30 dicembre 2022-30 marzo 2023 – per la mancata celebrazione di udienze in tale arco temporale per mancata fissazione o per impedimenti processuali – ha di fatto impedito al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato”;
  • che “tale spazio deve essere recuperato consentendo al pubblico ministero di esercitare, nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023, nel contraddittorio tra le parti, il potere di contestazione suppletiva”;
  • che, difatti, “il riconoscimento della prevalenza massima al venire meno della condizione di procedibilità, anche nei casi in cui il concreto esercizio del potere di contestazione suppletiva sia dovuto esclusivamente all’inattività processuale durante il periodo indicato all’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022, infatti, porterebbe a un eccessivo e ingiustificato sacrificio dei poteri del pubblico ministero e del principio di obbligatorietà dell’azione penale”.

Pertanto, secondo la quinta sezione, è necessario garantire alla pubblica accusa il corretto esercizio del potere di contestazione suppletiva “senza decadenze o limitazioni” permettendo alla medesima (ossia alla pubblica accusa) di esercitare tale potere nella prima udienza utile che sia stata fissata dopo il 30 marzo 2023.

In sintesi, la Corte considera altamente irragionevole la apposizione di condizioni/ limiti all’esercizio del potere integrativo (previsto dalla norma contenuta nell’art. 517 c.p.p.).

Altra questione è la compatibilità di siffatta operazione con quanto previsto dalla norma contenuta nell’art. 129 c.p.p.. e, specificamente, “se le diverse situazioni processuali evocate nell’articolo citato esigano un trattamento unitario oppure siano assoggettabili anche a valutazioni talvolta non omogenee”.

La quinta sezione opta per le “valutazione non omogenee” rilevando come “una prima deroga al trattamento unitario delle diverse situazioni processuali evocate nell’art. 129 cod. proc. pen. si può cogliere nel secondo comma dello stesso articolo, dove la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito”.

Pertanto, secondo il Supremo Collegio, la norma contenuta nell’art. 129 c.p.p. deve essere oggetto di attenta analisi – rispetto al singolo caso oggetto di esame dell’organo giudicante – considerato che “l’estinzione del reato per prescrizione costituisce una vicenda irreversibile”, mentre “la condizione di procedibilità, invece, subisce vicende alterne” poiché “quando il procedimento viene iniziato potrebbe anche mancare”, “può essere poi presentata querela a discrezione della persona offesa” e, infine, “la querela può essere rimessa”.

Quello che emerge, di conseguenza, è l’impossibilità di fare riferimento a uno specifico momento di “assenza” della querela dal momento che “questa all’inizio potrebbe mancare, ma non per questo si arriva a una sentenza di proscioglimento, “ora per allora” ”.

Di conseguenza, secondo la quinta sezione, la scadenza del termine previsto dall’art. 85 rispetto ai processi in relazione ai quali non è stata fissata la prima udienza è questione ben diversa poiché “non vi è stata alcuna omissione da parte del giudice e tantomeno del pubblico ministero, che si è trovato nell’impossibilità di esercitare il suo potere di contestazione suppletiva”.

Il dato fondamentale che la Corte intende ribadire è che “la sorte del processo non finisce per dipendere dalla diligenza del giudice o del pubblico ministero e l’imputato non riceve alcun pregiudizio per condotte omissive del giudice o della parte pubblica, ma si deve solo confrontare con un regime transitorio della nuova disciplina della procedibilità, come determinato dalla lettura coordinata degli art. 85 e 517 cod. proc. pen.”.

Di tal che, aderire a un’interpretazione antitetica rispetto a quella fornita dalla quinta sezione, con la sentenza in esame, determinerebbe l’instaurarsi di situazioni illogiche secondo cui “si rimetterebbe” paradossalmente “la sorte dei processi al calendario delle udienze e, in presenza di identiche situazioni, un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al fatto che sia stata o meno fissata udienza nel periodo tra l’entrata in vigore della riforma Cartabia e il 30 marzo 2023”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha stabilito che “il pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio, avendone il potere e l’occasione (la prima udienza dopo il 30 marzo 2023); con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo processuale al prosieguo dell’azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell’ipotesi di estinzione del reato, non si è in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere”.

 

Cass. pen., sez. V, ud. 24 maggio 2024 (dep. 11 luglio 2024), n. 27697

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