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La terza sezione penale, ritornando sul tema afferente l’importanza del soddisfacimento, da parte del ricorrente, dell’onere di dichiarazione/elezione di domicilio da “accompagnare” (a pena di inammissibilità) all’atto di impugnazione – a seguito dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia – ha statuito che «In tema di impugnazioni, nel caso in cui l’imputato nei cui confronti non si sia proceduto in absentia, abbia reso formale dichiarazione/elezione di domicilio nel precedente grado di giudizio e il difensore abbia “indicato” l’esistenza di tale dichiarazione/elezione nell’atto di impugnazione senza provvedere al deposito, opera nei suoi confronti la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’imputato non assente e della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

La Corte di appello di Milano, con ordinanza datata 14.09.2023, dichiarava inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse dell’imputato che veniva, pertanto, condannato per il reato di violenza sessuale ed altro.

L’imputato, per il tramite del difensore, proponeva ricorso per Cassazione.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile sulla base delle argomentazioni logico-giuridiche, di seguito, indicate.

Il Supremo Collegio dichiarava infondato il primo motivo di doglianza rilevando come debba ritenersi assolutamente “legittima la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, nella specie un atto di appello, non accompagnata dal deposito della dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio” (cfr. Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023, Iacuzio, non massimata; Sez. 6, n. 7020 del 16/01/2024, Mirabile, non massimata).

In tal senso, secondo la Suprema Corte, la nuova disposizione prevista dalla norma contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. (ossia la allegazione della dichiarazione/elezione di domicilio per la proposizione dell’atto di appello unitamente alla procura speciale) determina la necessità in capo all’interessato di indicare nuovamente, anche se già fatto in precedenza, il un domicilio dichiarato o eletto non riconoscendosi più validità illimitata alla dichiarazione o elezione di domicilio già presente in atti.

L’obiettivo del legislatore è stato quello di prevedere “un onere collaborativo, riguardante sia il processo celebrato in assenza sia quello in cui l’imputato abbia avuto conoscenza del giudizio, onere finalizzato alla regolare celebrazione della fase del processo di secondo grado. E ciò anche ai fini di assicurarne la ragionevole durata ed impedire una eventuale dichiarazione di improcedibilità” (cfr. Sez. 2, n. 38442 del 13/09/2023, Toure, Rv. 285029).

Di tal che, il soddisfacimento dell’onere di elezione o dichiarazione di domicilio in funzione del giudizio di impugnazione ha quale precipuo scopo quello di consentire la rapida notifica del decreto di citazione a giudizio da notificarsi esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto.

Pertanto, la Suprema Corte non condivide la tesi sostenuta dal ricorrente (ossia la irragionevolezza  di una nuova dichiarazione/elezione di domicilio) considerata l’esigenza di tutelare la certa conoscenza della celebrazione del processo di appello da parte dell’imputato e la partecipazione consapevole allo stesso del medesimo.

Non può, al pari, essere condivisa la soluzione proposta dal ricorrente secondo cui la norma contenuta nell’art. 164 c.p.p. (avente a oggetto la disciplina afferente l’efficacia della determinazione del domicilio dichiarato o eletto) può fungere  da norma “paracadute” in assenza di una espressa dichiarazione di domicilio – in caso di proposizione di appello da parte dell’imputato  – sol perché tale norma richiama al suo interno quella prevista dall’art. 601 c.p.p..

Né, tantomeno, è condivisibile la tesi secondo cui la norma contenuta nell’ 157 ter c.p.p.  (disciplinante il caso delle notificazioni degli avvisi o citazioni a giudizio, anche di appello, nei confronti dell’imputato non detenuto) rimanda al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.p. poiché la norma per prima citata, al terzo comma, espressamente prevede che «in caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è sempre eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto, ai sensi dell’articolo 581, commi 1-ter e 1-quater».

Orbene, devesi rilevare che la scelta del legislatore di “modulare la durata di efficacia della precedente elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d’atto dell’esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l’esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica la necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato”.

Di tal che, non può reputarsi irragionevole la richiesta di “un nuovo atto di volontà (elezione) o di scienza (dichiarazione) avente comunque valore processual-negoziale a ridosso del nuovo grado di giudizio, quindi maggiormente in grado, per «prossimità» al giudizio di impugnazione, di garantire l’effettività della conoscenza della citazione per il giudizio medesimo” (cfr. Sez. 6, n. 26631 del 12/05/2016, Andronache, Rv. 267433 – 01; Sez. 6, n. 4921 del 09/12/2003, Filocamo, Rv. 228319). La non irragionevolezza della superiore richiesta si fonda sulla centralità della notifica degli atti introduttivi del giudizio per ogni fase e grado essendo questi ultimi qualificabili come “momenti decisivi della scansione processuale per garantire la piena consapevolezza dell’imputato e la possibilità di un reale esercizio del diritto di difesa, per la quale non basta la mera conoscenza della pendenza del procedimento, ma necessita la consapevolezza della pendenza del processo, e nemmeno genericamente, ma con riferimento a ciascuna specifica fase o grado dello stesso”.

Di conseguenza, la elezione/dichiarazione di domicilio (prevista a pena di inammissibilità) è funzionale a garantire la certezza che l’assenza de ricorrente sia il frutto di una sua libera scelta e non il risultato di una notificazione errata (cfr. Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 – 01; Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 17/08/2020, Ismail Darwish Mhame, Rv. 279420 – 01, Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 23/04/2021, Lovric, Rv. 280931 – 01).

In tal senso, appare opportuno evidenziare quanto affermato da Sez. 5., n. 38166 del 04/07/2023 che, specificamente occupandosi della applicabilità della norma contenuta nell’art. art. 581, comma 1-quater, c.p.p. anche al ricorso per cassazione, ha rilevato come “nel sistema del diritto processuale penale italiano, il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione) differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo” secondo cui “l’effettività del diritto di difesa […] non richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni grado del giudizio, poiché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato. Ne discende che al legislatore va riconosciuta ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato” (cfr. Sez. U, n. 8914/2017 – dep. 2018, Corte cost., n. 188 del 16/12/1980 e n. 395 del 13/07/2000, Corte EDU, relativa in particolare all’art. 6, par. 3, lett. c, Carta EDU: cfr. Corte EDU, 27/4/2006, Sannino c. Italia; Corte EDU, 21/09/1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, Quaranta c. Svizzera).

L’obiettivo del legislatore è stato, pertanto, quello di garantire una proposizione consapevole delle impugnazioni da parte dell’imputato senza, però, prevedere requisiti talmente stringenti da costituire una forma di pregiudizio per l’imputato medesimo.

Ciò posto, nel caso di specie, l’adempimento dell’onere di elezione/dichiarazione di domicilio (previsto a pena di inammissibilità) “risulta un requisito proporzionato e adeguato allo scopo di avere certezza in ordine al domicilio aggiornato dell’impugnante, proprio per garantire il giusto processo, quanto alla conoscenza del giudizio e dunque l’esercizio del diritto di difesa, nonché alla ragionevole durata del processo”.

Il soddisfacimento di tale onere da parte del ricorrente costituisce, da una parte, una forma di concreta contribuzione al corretto funzionamento della amministrazione della giustizia da parte dello stesso e, dall’altra, è una forma di garanzia della certezza del diritto “a fronte di un ‘sacrificio’ assolutamente limitato, quale è il rilascio della dichiarazione/elezione di domicilio”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la terza sezione ha enucleato il principio di diritto secondo cui «In tema di impugnazioni, nel caso in cui l’imputato nei cui confronti non si sia proceduto in absentia, abbia reso formale dichiarazione/elezione di domicilio nel precedente grado di giudizio e il difensore abbia “indicato” l’esistenza di tale dichiarazione/elezione nell’atto di impugnazione senza provvedere al deposito, opera nei suoi confronti la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’imputato non assente e della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

 

Cass. pen., sez. III, ud. 8 marzo 2024 (dep. 16 luglio 2024), n. 28500

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