LA NOTIZIA: La lunga scia dei suicidi in carcere, che coinvolge un alto numero di persone, soprattutto giovani o con problemi psicologici/psichiatrici e nella stragrande maggioranza dei casi in custodia cautelare (spesso da poco tempo), deve fare riflettere e far allargare la prospettiva alla protesta civile degli avvocati.
Il commento di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia
La politica non investirà mai quanto necessario nè per il potenziamento delle misure alternative nè per l’adeguamento delle strutture murarie alle basilari condizioni di una vita dignitosa delle persone.
Perchè sarebbe un investimento senza ritorno di consensi e anzi i cittadini le considererebbero risorse sprecate e sottratte a ben più importanti settori come la scuola, le infrastrutture, l’economia, etc.
Ma anche perchè è radicata nel cittadino l’idea arcaica che la pena (come dice la parola stessa) è sinonimo di sofferenza e non semplicemente di privazione della libertà.
Ma chi va in carcere oggi e per cosa?
La domanda sorge spontanea perchè, prima di preoccuparci di come vengono trattate le persone in carcere, dovremmo erigere barricate perché quelle stesse persone non entrino in carcere: la verità è che molti, per un motivo o per un altro, sono ingiustamente privati della libertà.
A cominciare da quelli in custodia cautelare che solo in una bassissima percentuale sono soggetti realmente pericolosi per gli altri.
In carcere prima del processo ci stanno principalmente costoro: a) i disperati senza lavoro, permesso di soggiorno, fissa dimora, b) gli psicolabili. Queste prime due categorie stanno in carcere per un motivo ben preciso: sono considerati dei rifiuti per la nostra società che, in questa prospettiva, fa svolgere al carcere la funzione di discarica.
C) poi ci sono i soggetti messi in carcere in attesa del processo con lo scopo di farli crollare psicologicamente. Di solito sono persone posizionate all’opposto nella scala sociale rispetto ai primi: provengono da buona famiglia, hanno carriere politiche e/o professionali brillanti, ma, per una ragione o per l’altra, hanno toccato il tasto sbagliato e sono finiti nel tritacarne del processo penale. Si spera in questo modo che non resistano in carcere e che confessino quello che hanno o che non hanno fatto, l’importante è che confessino.
D) Passando al versante delle pene definitive, abbiamo il problema del numero degli errori giudiziari non rimediati, che non sapremo mai, ma che, alla luce delle cifre degli errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni accertate, per le quali ogni anno lo Stato sborsa una cifra a 5 zeri come risarcimento, non devono essere così modesti.
Dunque, se togliessimo tutte le persone che, secondo i principi della nostra Costituzione, non dovrebbero stare in carcere, ma affidate ai servizi sociali, psichiatrici, o che non vogliono confessare o condannate in base a prove deboli o contraddittorie, credo che il problema sarebbe drasticamente ridotto.
Ogni suicidio è un urlo di innocenza contro l’ingiustizia dello Stato.
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