La Terza Sezione ribadisce con la allegata sentenza il principio secondo cui “La registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa. (…) Tali principi trovano applicazione nel caso in esame, in cui la conversazione si è tenuta in vivavoce.”
La Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa dal G.U.P. presso il locale tribunale, condannava l’imputato alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione poiché ritenuto responsabile dei reati previsti dalle norme contenute negli artt. 609-bis, 609-ter, primo comma, nn. 1) e 5) c.p., per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisica correlate all’età della persona offesa, posto in essere varie condotte di violenza sessuale nei confronti della medesima.
L’imputato, per il tramite del difensore, impugnava la sentenza di secondo grado interponendo ricorso per Cassazione e lamentando tra i vari motivi:
- la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità avendo la Corte d’appello ritenuto riscontrate le dichiarazioni rese dalle persone offese sulla base di elementi reputati, dal ricorrente, inutilizzabili. Difatti, il giudice di secondo grado avrebbe indebitamente utilizzato le dichiarazioni telefoniche aventi a oggetto la ammissione del fatto e rese dall’imputato (durante la fase delle indagini preliminari) alla madre dei minori, in vivavoce, alla presenza dei Carabinieri (presenti al momento della “telefonata” con quest’ultima). Pertanto, l’acquisizione di tali elementi sarebbe avvenuta senza il rispetto delle garanzie previste dagli artt. 267 e 268 c.p.p.. Inoltre, tali dichiarazioni sarebbero da reputarsi inutilizzabili poiché rese dall’incolpato alla polizia di giudiziaria in assenza del difensore.
La Suprema Corte reputava inammissibile il ricorso rappresentando, preliminarmente, come il suddetto motivo dovesse ritenersi privo della dovuta autosufficienza non avendo il ricorrente ottemperato al relativo onere di allegazione degli atti dei quali eccepiva l’inutilizzabilità.
Ciò posto, i Giudici di legittimità hanno ribadito che la registrazione fonografica, da parte di uno dei conversanti o di un soggetto ammesso ad assistervi, di un colloquio svolto tra presenti o tramite mezzi di trasmissione (es. telefono), non è riconducibile (nonostante la natura clandestina della modalità di registrazione) alla nozione di intercettazione così come normativamente prevista.
La suddetta registrazione è, invece, da classificarsi come “una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico” e, pertanto, utilizzabile dall’autore della medesima, anche a fini probatori nel corso del processo, sulla base della disposizione normativa contenuta nell’art. 234 c.p.p. “salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa”.
Di conseguenza, nel caso di specie, tale attività non può essere qualificata come una forma di captazione occulta (attuata da un soggetto estraneo alla conversazione tramite l’utilizzo di strumenti tecnici di percezione volti a “vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato” della interlocuzione) la quale ha quale precipuo scopo quello di intercettare la comunicazione tra due o più soggetti i quali conversano con l’evidente intendimento di non essere ascoltati da terze persone.
In tal senso, devesi evidenziare che la trascrizione della conversazione intercorsa tra la vittima e l’autore di condotte penalmente rilevanti quali quelle estorsive ed usurarie, le quali vengano portate a conoscenza delle forze dell’ordine per iniziativa della persona offesa attraverso la procedura di inoltro della chiamata in corso sull’utenza della polizia che provvede immediatamente alla sua registrazione tramite l’applicazione call recorder, è da reputarsi una “forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.”.
Secondo la Suprema Corte, tale modus operandi è parimenti applicabile anche nel caso in cui la conversazione si sia tenuta in vivavoce.
Cass. pen., sez. III, ud. 10 novembre 2023 (dep. 8 marzo 2024), n. 10079
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