La Quinta Sezione penale, in tema di reati fallimentari, ha affermato che un sindaco non risponde del delitto di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata dal comune per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell’ente pubblico, posto che, nel caso in cui non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo in qualità di “extraneus”, concorrente nel reato, a condizione che sia dimostrato lo specifico contributo fornito al legale rappresentante della società.
La Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.U.P. presso il tribunale locale, assolveva il primo imputato, con la formula per non aver commesso in fatto, dal reato di bancarotta fraudolenta (secondo l’ipotesi accusatoria egli – in qualità di sindaco e legale rappresentante di una società dichiarata fallita con sentenza emessa nel 2015 dal tribunale di Salerno – avrebbe posto in essere una serie di operazioni dolose) e rideterminava la pena nei confronti del secondo imputato, accusato del reato di bancarotta semplice, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.
La ridetta sentenza veniva impugnata dal secondo imputato, mentre il Sostituto Procuratore generale proponeva ricorso avverso la sentenza assolutoria emessa nei confronti del primo imputato.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno e infondato il secondo presentato nell’interesse dell’imputato condannato.
Il Supremo Collegio ha, preliminarmente, evidenziato come le censure, oggetto del gravame della Pubblica Accusa, costituivano una mera reiterazione delle doglianze “di merito” e, pertanto, non valutabili e sindacabili in sede di legittimità.
Ciò posto, la Quinta Sezione, sposta la propria attenzione su un aspetto non considerato dal Sostituto Procuratore generale avente a oggetto il tema del concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta impropria in caso di asserita commissione di operazioni dolose da parte di quest’ultimo.
Difatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, la condotta contestata può costituire un effettivo contributo causale rispetto alla condotta integrante il reato di bancarotta solo nel caso in cui esso risulti decisivo “per l’assunzione della condotta da parte dell’’ intraneus” (in tal senso, Sez. 5, n. 37101 del 15/06/2022, Rv. 283597 secondo cui è da escludere “la responsabilità del legale per avere lo stesso reso consigli di incerta valenza causale in merito ad un’operazione – di fatto aggravante il dissesto della società – di aumento fittizio del capitale sociale e di emissione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni”; Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, Rv. 260932 che ha stabilito il principio di diritto secondo il quale “il concorso dell”extraneus” – istigatore e beneficiario delle operazioni – è configurabile quando questi è consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo, invece, necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi” e Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rv. 250409 secondo la quale “la condotta realizzata in concorso col fallito deve risultare efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente deve avere operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa”).
Ciò posto, ribadita la correttezza dell’impianto argomentativo della sentenza di merito, la Suprema Corte ha sottolineato come la Corte di appello di Salerno abbia fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza civile secondo cui la società di capitali, con partecipazione totalmente o solo in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento poiché trattasi di soggetto di diritto privato ai sensi dell’art. 1 della Legge fallimentare.
Difatti, la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato sol perché il Comune (quale ente pubblico) possiede in tutto o in parte le azioni della società medesima atteso che il rapporto sussistente tra la società e l’ente locale è prettamente autonomo.
Di tal che, il Comune non può decidere “da solo” sullo svolgimento del rapporto intercorrente tra le parti nè può procedervi esercitando i relativi poteri autoritativi o discrezionali, potendo avvalersi, unicamente, degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società (cfr. S. U. civ. n.7799 del 15/04/2005, Rv. 580283 – 01).
Di conseguenza, la posizione dell’ente pubblico è da rinvenirsi in quella di socio in base al capitale conferito.
L’ente non potrà influire sul funzionamento della società “sfruttando” il proprio potere pubblico avvalendosi dei relativi poteri di origine pubblicistica.
Ciò posto, seppure la natura privatistica della società può essere “influenzata” dal c.d. “controllo analogo” a mezzo del quale l’azionista “pubblico” sfrutta la propria influenza dominante sulla ridetta società (al fine di cercare di assimilarlo a una relazione interorganica), esso (ossia il “controllo analogo”) non può incidere sul piano giuridico tra P.A. ed ente privato societario, il quale è pur sempre “centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante” (cfr. Sez.1 civ., n. 5346 del 22/02/2019, Rv. 653095).
In tal senso devesi evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “la relazione interorganica determinata dal cd. controllo analogo non incide sull’alterità soggettiva dell’ente societario nei confronti dell’amministrazione pubblica: i due enti – quello pubblico e quello privatosocietario – restano distinti sul piano giuridico-formale, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante. (…) Resta intatta la considerazione, però, che nell’ambito dell’ordinamento nazionale (che solo rileva ai fini specifici) non è prevista – per le società in house così come per quelle miste – alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei comuni all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito. Donde soltanto in tale veste l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società” (cfr. Sez.1 civ., n. 5346 del 22/02/2019, cit.).
La argomentazione giuridica superiormente esposta, oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza, ha condotto recentemente ad affermare che, in tema di reddito d’impresa, in caso di esistenza di una società a partecipazione pubblica e, nello specifico, di società a partecipazione pubblica volta alla gestione dei servizi pubblici locali affidatarie di servizi “in house providing”, la società “in house providing” “è, anche sotto il profilo fiscale, centro autonomo di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive rispetto all’ente locale che su di essa esercita il cd. “controllo analogo”, con conseguente sussistenza di autonomo titolo giuridico per dedurre i costi e detrarre l’IVA in relazione a contratti dalla stessa stipulati, operando essa come societa di diritto privato” (cfr. Sez. 5 civ., n. 21658 del 29/07/2021, Rv. 661900).
Di tal che, nel caso di specie il Sindaco, nella qualità di legale rappresentante del Comune socio unico, essendo in rapporto di alterità rispetto al C.d.A. della società partecipata, non era titolare di poteri impeditivi dell’evento così contestato nell’imputazione.
Né è ravvisabile la responsabilità penale del Sindaco sulla base della qualifica rivestita e sulla base della sovrapposizione tra il ruolo di legale rappresentante del Comune socio unico della società in house e di rappresentante dell’ente locale.
Difatti, in assenza di prova di una amministrazione di fatto da parte di quest’ultimo della società partecipata, la responsabilità del ridetto sarà configurabile solo nel caso in cui, in qualità di extraneus concorrente nel reato, abbia fornito uno specifico e idoneo contributo al legale rappresentante della società al fine di porre in essere la condotta criminosa.
Ciò posto, la Quinta Sezione ha rigettato, inoltre, il ricorso presentato dall’imputato condannato sottolineando come la corte territoriale avrebbe compiutamente motivato con riferimento alle “regole”, previste dal codice civile e violate dagli amministratori, non potendosi sostenere la tesi secondo cui trattavasi nel caso di specie di una “mera” elencazione degli articoli violati.
Difatti, la Corte di appello di Salerno, richiamata la norma contenuta nell’art. 2403 c.c., ha sottolineato come:
- il sindaco abbia non solo obblighi di “controllo” ma, anche, di “vigilanza” in ordine al corretto rispetto della legge e dello statuto da parte degli amministratori;
- i sindaci siano titolari dei poteri quali quello di procedere, in qualsiasi momento” ad “atti di ispezione e controllo”, di chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell’attività sociale o su determinati affari e di convocare l’assemblea societaria nel caso in cui dovessero ravvisare fatti di rilevante gravità;
- la violazione degli anzidetti obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito nel rispetto degli obblighi derivanti dalla carica loro conferita.
Pertanto, “l’obbligo di vigilanza dei sindaci si estende al contenuto della gestione, perché la previsione della prima parte del primo comma dell’art. 2403 cod. civ. deve essere correlata con tutte le altre norme che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni e su determinate operazioni quando queste possono suscitare, per le modalità della loro scelte o della loro esecuzione, delle perplessità” (Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006; Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, Rv. 260215; Sez.5, n.44107dell’11/05/2018, Rv.274014).
Inoltre, devesi rilevare che, in tema di responsabilità degli organi sociali in caso di inosservanza del relativo dovere di vigilanza imposto ai sindaci dalla norma contenuta nell’art. 2407, comma 2, c.c. non è richiesta la individuazione di specifici comportamenti contrastanti con il ridetto dovere essendo sufficiente che i sindaci non abbiano rilevato una evidente violazione o non abbiano agito di fronte ad atti di dubbia legittimità e/o regolarità non avendo, pertanto, svolto l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede (cfr. Sez. 1 civ., Ord. n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 32397 del 11/12/2019, Rv. 656128).
Conclusivamente argomentando, se è vero che i principi fondanti la responsabilità contrattuale non possono essere automaticamente “trasferiti” e “trasfusi” nel campo della responsabilità penale, devesi, comunque, evidenziare che “in tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma primo, n. 4, e 224 legge fall., per aver omesso di attivarsi per rimediare all’inerzia dell’amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, cosi aggravandone il dissesto, solo quando la situazione di insolvenza sia rilevabile dagli atti posti a loro disposizione, dovendo il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l’aggravamento del dissesto” (cfr. Sez.5, n. 28848 del 21/09/2020, Rv. 279599).
Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 7723, deposito del 22 febbraio 2024
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