L’obbligo di motivazione che, a pena di nullità, deve sorreggere il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possano considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio il decreto di sequestro probatorio relativo a beni ritenuti cose pertinenti ai reati di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen., in cui il giudice si era limitato a citare le norme di legge, senza fornire una descrizione fattuale, seppur sommaria, delle fattispecie per cui si procedeva).
Il Tribunale di Fermo rigettava l’istanza di riesame proposta avverso un decreto di convalida di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero su beni ritenuti costituenti cose pertinenti ai reati contestati (trattavasi dei reati previsti dalle norme contenute negli artt. 474 e 648 c.p.) trattandosi di res asseritamente caratterizzate da un vincolo di pertinenzialità con le condotte criminose dianzi indicate.
La difesa, proponendo ricorso per Cassazione, lamentava, tra i vari motivi, violazione di legge in relazione agli artt. 253 e 355 c.p.p. stante l’omessa motivazione dell’impugnata ordinanza con riferimento al presunto “collegamento” tra i beni (sottoposti a vincolo) e la contestata condotta criminosa.
Primariamente, il ricorrente sottolineava come non solo il corpo del decreto di sequestro probatorio fosse caratterizzato dalla mera indicazione delle norme violate senza essere accompagnato da adeguata motivazione, ma anche l’impianto argomentativo dell’impugnata ordinanza della quale, pertanto, se ne eccepiva la nullità.
Orbene, la Suprema Corte reputava il ricorso fondato annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro probatorio e disponendo la restituzione dei beni agli aventi diritto.
Preliminarmente, il Supremo Collegio ha evidenziato come ogni provvedimento avente a oggetto il sequestro probatorio di uno o più beni deve essere adeguatamente motivato dando specificamente conto del “fumus commissi delicti”.
Pertanto, è onere dell’A.G. quello di motivare in ordine alla astratta configurabilità del reato contestato sulla base degli elementi a disposizione (fondanti la notitia criminis) in modo da spiegare per quale ragione divenga assolutamente necessario applicare un vincolo sulla res al fine di garantire la corretta prosecuzione delle indagini.
E’, inoltre, compito dell’A.G. quello di “rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, spiegando la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti che si intendono accertare (cfr., Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Rv. 253508; Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Rv. 257816; Corte cost., ord. n. 153 del 2007)”.
Nel caso di specie, invece, la assoluta carenza motivazionale (stante l’utilizzo di una mera formula di stile) avrebbe attribuito al mezzo di ricerca della prova “una finalità meramente esplorativa” attesa:
- l’omessa indicazione dei reati che sarebbero stati commessi;
- la mancata indicazione in ordine alla natura della condotta “criminosa” posta in essere dal ricorrente;
- l’omesso collegamento tra la medesima (ossia la condotta “criminosa) e i beni sottoposti a vincolo;
- l’assenza di qualsivoglia indicazione in ordine alle coordinate spazio – temporali in cui il reato o i reati in questione sarebbero stati compiuti.
La Seconda Sezione ribadisce l’importanza del rispetto dell’obbligo di motivazione del decreto di sequestro probatorio atteso che il medesimo è affetto da nullità se non indica per quali ragioni sia necessario apporre il vincolo reale sulla res e soprattutto per quale motivo sia possibile ritenere sussistente un collegamento tra la contestata condotta criminosa e il bene sequestrato.
In tal senso non può reputarsi “sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati (debbano) considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita (cfr., Sez. 5, n. 13594 del 27/02/2015, Gattuso, Rv. 262898; Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Macis, Rv. 274781)”.
L’assenza di motivazione in ordine al “fumus” non permetterebbe al destinatario del provvedimento di comprendere le ragioni dell’apposizione del vincolo e, soprattutto, di capire per quale motivo i beni sequestrati debbano intendersi corpo del reato o cose pertinenti al reato per cui si procede.
Inutile precisare che le Sezioni unite, intervenute nella subiecta materia, hanno ribadito che “il decreto di sequestro probatorio, anche se abbia ad oggetto cose costituenti corpo del reato, (deve) contenere una specifica motivazione della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548)”.
Tale modus operandi è sovrapponibile nel caso di sequestro di “cose pertinenti al reato” (art. 321, comma 1, c.p.p.).
In assenza di una espressa definizione normativa delle “cose pertinenti al reato”, è la giurisprudenza a fornire una definizione circoscritta affermando come “la nozione di “cosa pertinente al reato“, che delinea l’ambito operativo del sequestro preventivo, abbia una portata più ampia di quella impiegata nell’art. 253 cod. proc. pen., comprendendo essa anche il corpo del reato e, oltre a qualunque cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, anche quelle cose legate indirettamente alla fattispecie criminosa (cfr., Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259850; Sez. 2, n. 34986 del 19/06/2013, Pini, Rv. 256100; Sez. 2, n. 17372 del 22/01/2009, Romeo, Rv. 244342)”.
Di tal che, al fine di una corretta valutazione in ordine alla sussistenza del vincolo di pertinenzialità tra la res e le condotte criminose contestate, il bene sottoposto a sequestro deve presentare carattere strumentale rispetto alla condotta criminosa.
Il rischio di una valutazione fin troppo generica della sussistenza del carattere della strumentalità impone all’A.G. di “attribuire a detto requisito un significato conforme ai principi generali di adeguatezza e proporzionalità sottesi al sistema delle misure cautelari, anche reali”.
Pertanto, assume decisivo rilievo “il principio per cui anche la funzione “cautelare” del sequestro, strumentale rispetto al successivo provvedimento di merito, non è sganciata dai principi di adeguatezza e proporzionalità (cfr., Sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013, Camerini, Rv. 237327)”.
La corretta applicazione del principio di proporzione diviene elemento essenziale al fine di bilanciare adeguatamente diritti costituzionalmente tutelati (da una parte) e la necessità di limitarli per soddisfare un interesse superiore (dall’altra).
In tal senso devesi rilevare che le fonti dell’Unione (cfr. par. 3 e 4 dell’art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali) e il rango loro conferito dall’ordinamento italiano induce ad affermare la assoluta rilevanza di una corretta applicazione del principio di proporzione.
Il suddetto principio, come più volte sostenuto dalla dottrina, “assolve ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto”.
Ciò posto, i Giudici di legittimità, pur dando atto della presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali sul punto, hanno sottolineato come sia “necessario un esame particolarmente rigoroso sul rapporto che lega la cosa al reato ed è altresì necessario, quando il legame prospettato sia di natura funzionale, che tale rapporto non sia meramente occasionale (cfr., Sez. 6, n. 33045 del 25/01/2018, Mazza; Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014 Denaro, cit; nello stesso senso, sostanzialmente, Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, F., Rv. 269374; Sez. 5, n. 12064 del 16/12/2009, dep. 2010, Marcante, Rv. 246881, che fanno riferimento alla necessità che il bene oggetto di sequestro preventivo debba caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la “res” ed il reato commesso)”.
Una situazione siffatta assume ancor più rilievo soprattutto nel caso in cui il bene dovesse appartenere a un soggetto terzo, rispetto all’indagato, nei cui confronti non è stato ipotizzato alcun coinvolgimento nell’attività criminosa dell’indagato medesimo.
In casi consimili “la verifica del nesso di funzionalità non occasionale tra il bene e la condotta deve essere (…) maggiormente rigorosa”.
Sez. 2, Sentenza n. 46130 del 04/10/2023 Cc. (dep. 15/11/2023) Rv. 285348-01
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