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Nel caso in esame la Corte di Appello aveva dichiarato con ordinanza l’inammissibilità dell’appello avverso la sentenza di primo grado in quanto l’imputato, benchè ristretto in regime di arresti domiciliari, non aveva eletto domicilio  contestualmente al deposito dell’atto di impugnazione, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio per come previsto dal novellato art. 581 comma 1 ter c.p.p.

Con l’atto di gravame davanti alla Suprema Corte il difensore dell’imputato si richiama al recente indirizzo interpretativo della stessa Suprema Corte secondo cui tale obbligo non opera nelle fattispecie in cui l’appellante risulta detenuto.

La terza sezione, concorda con la tesi sostenuta dal difensore.

Afferma in particolare, e in aderenza all’indirizzo maggioritario elaborato dalla Suprema Corte, che in tema di impugnazioni, l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ed applicabile alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse in data successiva all’entrata in vigore del citato decreto), ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, richiede, a pena d’inammissibilità, il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata unitamente all’atto d’impugnazione, non opera nel caso in cui l’imputato impugnante sia detenuto.

Con forte richiamo alla decisione delle sezioni unite nr. 12778 del 27.02.2020, osservava che tale disciplina deve trovare applicazione anche nei confronti dell’imputato detenuto in luogo diverso da un istituto penitenziario e, qualora lo stato di detenzione risulti dagli atti, anche nei confronti del detenuto per altra causa, aggiungendo che nessun dubbio può invero prospettarsi sulla impossibilità di distinguere tra un imputato detenuto in carcere ed uno ristretto agli arresti domiciliari.

 

Cass. sez. pen. III., ud. 16.01.2024( dep. 31.01.2024) nr. 4233.

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