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Il Commento di Giuseppe Bartolo – penalista Foro di Locri.

L’articolo di Errico Novi fa emergere una problematica da sempre avvertita dai penalisti italiani e dai detenuti che la vivono sulla loro pelle.

Una agghiacciante situazione che coinvolge i tribunali territoriali di sorveglianza, le strutture intramurarie, che sono ormai al collasso e soprattutto, il sistema penale nel suo complesso e per la sua credibilità.

Non si può non partire dai numeri dei detenuti attualmente presenti nelle varie strutture carcerarie, per affrontare il tema dell’articolo segnalato.

Come segnalato dal nuovo Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Prof. Maurizio D’Ettore nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani 2024, l’esorbitante numero dei detenuti lascia basiti: oltre 60840.

Altrettando sbalorditivo è il dato dei soggetti ristretti: con pene inferiori ad un anno 7730; pene comprese tra un anno e due anni 8322; pene comprese tra due anni e tre anni, 6934.

A questi dati numerici sconcertanti, leggo, il pensiero espresso in audizione alla Camera dei deputati (nella giornata di mercoledì scorso) del Capo del D.A.P. Giovanni Russo: “chi ha meno di due anni da scontare, o addirittura una pena residua inferiore ai 12 mesi, se non ai 6 mesi, non può stare in carcere”.

Pensiero che per una volta avvicina gli avvocati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di solito ostile a fornire risposte ai difensori, ma che per una volta affronta un tema delicato, quasi in perfetta adesione a ciò che i difensori (dei diritti piuttosto che delle persone), da anni segnalano, ovvero limitare l’uso indiscriminato della misura custodiale carceraria e l’applicazione di misure alternative alla detenzione per le peni brevi.

L’impegno per risolvere questa delicata situazione si è spostato, finalmente, sul piano della responsabilità politico-legislativa, diventando così tema di dibattito pubblico che investe di responsabilità coloro che dovrebbero dare risposte alla necessaria a tali impellenti ed ormai ineludibili difficoltà da anni segnalate e mai risolte.

Leggo che è stato stilato un dossier, su iniziativa del Ministero della giustizia a firma di Ostellari, dal quale emerge una promettente rete di accordi con varie associazioni cattoliche disponibili a concedere alloggi per quei reclusi che avrebbero diritto alla detenzione domiciliare, ma sono privi di una casa e quindi non possono essere scarcerati.

Ottima iniziativa del Ministero, ottima partecipazione delle associazioni cattoliche, pessimo è il mantenimento delle  limitazioni imposte dall’art. 4 bis O.P.

I tempi biblici dei tribunali di sorveglianza territoriali, nel decidere le varie questioni, sono il problema che meno incide sula riduzione del  numero dei detenuti, in quanto la concessione delle misure alternative alla detenzione carceraria, si infrange sul muro dell’ostatività prevista, appunto, dall’art. 4 bis O.P.

Rimane, quindi, problematica e non superabile, per moltissimi detenuti (sia in cautela custodiale che in quella esecutiva) l’ineludibilità dell’art. 4 bis O.P., che rimanendo tale obbliga alla detenzione carceraria senza consentire misure alternative alla stessa.

La privazione della libertà è la sola pena da eseguire, in ossequio al rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali, per cui la sostituzione della misura carceraria (per pene brevi da eseguire o da ultimare) con altra, non creerebbe alcuna elusione dei menzionati principi, pur mantenendo ferma la certezza della pena ed al contempo risolvendo, almeno in parte, il sovraffollamento carcerario e le conseguenti  condizioni inumane di vivibilità che ne derivano.

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