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In caso di concorso di aggravanti comuni e aggravanti ad effetto speciale, il giudice, se non diversamente stabilito, dopo aver individuato la sanzione prevista per l’aggravante ad effetto speciale più grave, opera, nell’esercizio del potere discrezionale conferitogli dall’art. 63, comma quarto, cod. pen., un unico aumento di pena fino a un terzo per tutte le ulteriori aggravanti ad effetto speciale e, all’esito, effettua gli eventuali aumenti obbligatori per le aggravanti comuni entro i limiti di cui all’art. 66 cod. pen. (Fattispecie in tema di rapina pluriaggravata, commessa anteriormente alla modifica dell’art. 628 cod. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103).

In caso di concorso di circostanze aggravanti comuni e ad effetto speciale, la Suprema Corte, con la pronuncia in esame, è intervenuta sul tema afferente le modalità di quantificazione della pena da parte del giudice (alla luce del potere a quest’ultimo conferito dalla norma contenuta nell’art. 63 c.p.) e sulla contemporanea necessità da parte dell’organo giudicante di rispettare i limiti previsti ex art. 66 c.p..

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Bologna confermava la pronuncia resa dal G.U.P. presso il Tribunale di Ravenna che aveva condannato l’imputato alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 1.000 di multa per il reato di rapina pluriaggravata (più persone riunite, uso dell’arma, travisamento e minorata difesa) in concorso.

Il ricorrente, impugnando la suindicata sentenza, lamentava:

  • la erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 c.p.;
  • la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 628, terzo comma, n. 1 e quarto comma, 61 n. 5, 63 e 68 c.p. non avendo il giudice di secondo grado proceduto a “cumulare quoad poenam più circostanze aggravanti speciali, anche se racchiuse entro lo stesso numero” (il fatto è stato commesso prima dell’entrata in vigore della riforma introdotta con la Legge n. 103/2017). Pertanto, in ossequio a una “interpretazione giurisprudenziale più favorevole al reo, la sussistenza di più circostanze speciali non incideva sulla pena, che restava ancorata alla cornice edittale autonoma prevista dalla stessa disposizione (da quattro anni e sei mesi a venti anni di reclusione, oltre alla multa)”. Di tal che, il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente individuato, in presenza delle tre contestate aggravanti, il “minimo edittale di una rapina commessa ante 2017 in anni quattro e mesi sei di reclusione oltre alla multa” e avrebbe erroneamente applicato “per ciascuna aggravante speciale intranumero e per l’aggravante comune, tre ulteriori e distinti aumenti ai sensi dell’art. 63 n. 4 cod. pen.”. Pertanto, la Corte territoriale “non avrebbe dovuto procedere a tre distinti aumenti ex art. 63, n. 4, cod. pen.” poiché l’aumento per le ulteriori circostanze “dovrebbe essere unico ed unitario e, soprattutto, non dovrebbe considerare la circostanza più grave, la quale è già stata considerata ai fini dell’individuazione della cornice edittale speciale, per il doppio – illegale – addebito della medesima circostanza”;
  • la erronea applicazione dell’art. 61 n. 5 c.p. e motivazione manifestamente illogica e contraddittoria sul punto essendosi il giudice di secondo grado limitato ad affermare che il fatto sarebbe avvenuto di notte. Tale situazione avrebbe permesso al soggetto agente di ottenere un vantaggio anche alla luce della presenza di poche persone sul posto. L’iter motivazionale sarebbe, pertanto, viziato e contrasterebbe con quanto sancito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini) in ordine alla configurabilità di tale circostanza aggravante.

Orbene, il Supremo Collegio ha, preliminarmente, rilevato che è privo di pregio il motivo afferente “l’asserita tenuità del danno ai sensi dell’art. 62, n. 4, cod. pen.” attesa la aspecificità del motivo di censura.

In tal senso, sottolinea la Corte, “ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., occorre tener conto sia del danno patrimoniale, che deve essere di minima rilevanza, sia degli effetti dannosi subiti dalla vittima a causa della condotta violenta o minacciosa, trattandosi di reato plurioffensivo che lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà o l’integrità fisica e morale della persona offesa (cfr., Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, Uccello, Rv. 247363-01; Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salannone, Rv. 265685-01; Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173-01; da ultimo, v. Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868-01)”.

Ciò posto, i Giudici di legittimità hanno, invece, reputato fondato il secondo motivo rappresentando che “il fatto risulta essere stato commesso il 19/10/2016, ossia in epoca antecedente all’introduzione del quarto comma dell’art. 628 cod. pen. da parte dell’art. 1, comma 8, lett. c) della l. 23 giugno 2017, n. 103 (in vigore dal 3 agosto 2017), norma – attualmente in vigore – che disciplina espressamente il trattamento sanzionatorio nell’ipotesi di ricorrenza di due o più circostanze ad effetto speciale disciplinate dal precedente terzo comma, ovvero nell’ipotesi che un’aggravante ad effetto speciale concorra con altra aggravante ad effetto comune”.

Il giudice di secondo grado avrebbe, pertanto, a detta del ricorrente, proceduto ad un erroneo calcolo della pena poiché:

  • avrebbe individuato “la pena base ai sensi del terzo comma dell’art. 628 cod. pen. che, per l’ipotesi in cui il fatto risulti aggravato ai sensi di uno dei numeri indicati nella medesima disposizione, stabilisce una cornice edittale autonoma che spazia da quattro anni e sei mesi a venti anni di reclusione e da 1032 euro a 3098 euro di multa”;
  • avrebbe, pertanto, già considerato, nella commisurazione della pena base, “la commissione del fatto con l’uso dell’arma, ritenuta la più grave delle circostanze infranumero considerate al numero 1 del comma terzo dell’art. 628 cod. pen.”;
  • avrebbe, successivamente, aumentato la “pena di mesi 6 di reclusione ed euro 300 di multa in applicazione dell’art. 63, comma 4, cod. pen., norma che disciplina tanto concorso tra più circostanze ad effetto speciale, quanto il concorso tra circostanze ad effetto speciale e circostanze ad effetto comune, fino a disporre un unico complessivo aumento, da interpretare, tuttavia, come riferito pro quota, ed in misura pari, a tutte le circostanze aggravanti di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 (armi, travisamento e più persone), unitamente alla circostanza aggravante”.

Tale modus operandi avrebbe condotto, secondo il ricorrente, al computo di una pena illegittima atteso il mancato rispetto della normativa vigente al momento di commissione del fatto e il mancato rispetto dell’interpretazione giurisprudenziale favorevole sussistente al momento di commissione del fatto ossia quando si “riteneva, per il caso di concorso di più circostanze infranumero della rapina, di dover disporre l’aumento in modo unitario e complessivo, senza dover riconoscere tanti aumenti quante fossero state le singole aggravanti racchiuse nello stesso numero”.

La illegittimità del calcolo si sarebbe sostanziata nel fatto che il giudice di secondo grado “avrebbe considerato l’indice di maggiore gravità del fatto connesso al concorso di più aggravanti dapprima ai fini dell’individuazione della pena base, e, successivamente, sulla maggior pena così determinata, disponendo tre ulteriori aumenti, di cui uno (pari a mesi due di reclusione ed euro 300 di multa) per la medesima circostanza che aveva già giustificato la determinazione della pena base entro la maggiore cornice edittale di cui al comma terzo”.

Ciò posto, il mancato rispetto della disposizione normativa vigente al momento del commesso reato e dell’orientamento di legittimità dianzi indicato, avrebbe indotto la Corte, sempre secondo il ricorrente, a computare “disgiuntamente le aggravanti dell’arma e del travisamento, nonostante le stesse fossero indicate nello stesso numero e, come tali, dovessero essere considerate, stante l’identità di ratio della previsione normativa, come forme di manifestazione alternativa di una medesima aggravante e, pertanto, come unico titolo per l’aumento successivo ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen.”.

Orbene, la Suprema Corte ha sottolineato che, in caso di concorso tra più circostanza aggravanti ad effetto speciale “previste nell’ambito di una stessa norma”, la dottrina e la giurisprudenza hanno distinto due differenti fattispecie.

La prima sussiste quando “nell’ambito di una stessa norma sono previste più aggravanti speciali (…)”.

In questa situazione, in caso di contestazione di più circostanze aggravanti speciali ritenute, poi, sussistenti dall’organo giudicante, deve essere applicata la disposizione prevista dalla norma contenuta nell’art. 63, comma 4, c.p. ossia deve essere “applica(ta) la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla fino ad un terzo per l’altra o le altre circostanze” (cfr. Sez. 5, n. 5988 del 19/12/2022, dep. 2023, Di Gesù, Rv. 284229-01 secondo cui «se la lesione ha cagionato una malattia guarita oltre i quaranta giorni e, al tempo stesso, l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione, si applica la regola di cui all’art. 63, comma 4, cod. pen., valida anche per le ipotesi (come quella dell’art. 583, comma 1, cod. pen.), in cui la norma incriminatrice non prevede pene diverse ma un’unica pena per ciascuna delle tre circostanze, tra loro equiparate ai fini della gravità, in forza della quale il giudice, non potendo applicare la pena stabilita per la circostanza più grave, fissata la pena base (entro lo spazio edittale posto dall’art. 583, comma 1, cit.), ha facoltà di aumentarla fino ad un terzo»).

Sussisteva un analogo ragionamento con riferimento alle “aggravanti previste per la rapina all’art. 628, comma terzo, cod. pen., prima che fosse introdotto, con la citata legge n. 103/2017, il comma quarto”.

Difatti, la giurisprudenza di legittimità aveva stabilito che “in caso di rapina pluriaggravata ai sensi del comma terzo, si applicava il disposto dell’art. 63, comma 4, cod. pen.: quindi, il giudice, nell’ambito della sua discrezionalità, avrebbe potuto aumentare la pena base (da anni quattro e sei mesi a venti anni e della multa da 1.032 euro a 3.098 euro) fino ad un terzo (cfr., Sez. 5, n. 135 del 13/01/2000, Lo Gatto, Rv. 215485-01; Sez. 4, n. 27748 del 10/05/2007, Fazio, Rv. 236834-01; Sez. 2, n. 14762 del 17/03/2017, Puntaloro, non mass.)”.

Di tal che, “in caso di concorso delle aggravanti speciali previste per la rapina dall’art. 628, terzo comma, cod. pen., il giudice, ai sensi dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., nell’esercizio del suo potere discrezionale può, invece di considerare le stesse assorbite nella sanzione autonomamente stabilita per la rapina, aumentare la pena edittale prevista per siffatti delitti sino ad un terzo: trattasi, invero, di circostanze che hanno carattere autonomo in quanto si diversificano reciprocamente per il loro contenuto, ne’ si pongono in rapporto tale da consentire di ritenerle l’una comprensiva dell’altra”.

La seconda fattispecie (considerata da dottrina e giurisprudenza) sussiste quanto la norma prevede una pena autonoma in caso di più circostanze ad effetto speciale.

Pertanto, la norma contenuta nell’art. 63, comma 4, c.p. “non si applica, in quanto, in base al generale principio di specialità, prevale l’autonoma disciplina derogatoria”.

In tal senso, i Giudici di legittimità hanno stabilito che «le regole dettate in via generale dall’art. 63, quarto comma, cod. pen., non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l’entità della pena applicabile, derivante dal concorso di più circostanze aggravanti è diversamente risolta dal legislatore nell’ambito della singola fattispecie criminosa, così come avviene nell’art. 416-bis cod. pen. Detta norma racchiude in sè e autonomamente disciplina difatti ogni profilo attinente al trattamento sanzionatorio nelle varie forme circostanziate contemplate, ed espressamente prevede, in particolare, che per effetto del comma 6 la pena stabilita nel quarto comma è aumentata da un terzo alla metà, così derogando alla norma generale» (in terminis, Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo, Rv. 244460-01; nello stesso senso, Sez. 6, n. 41233 del 24/10/2007, Attardo, Rv. 237671-01; Sez. 6, n. 7916 del 13/12/2011, dep. 2012, La Franca, Rv. 252069- 01).

Però, la regola ex art. 63, comma 4, c.p. “torna ad applicarsi nuovamente nel caso in cui con quelle particolari aggravanti ad effetto speciale (nell’esempio: art. 628, quarto comma, cod. pen.) concorra una (o più) circostanza ad effetto speciale (ad es. art. 99, commi secondo, terzo, quarto), nonché nell’ipotesi, quale la presente, in cui il reato è aggravato, oltre che da plurime circostanze ad effetto speciale, anche da una o più circostanze aggravanti comuni e non vi sia una norma che preveda una sanzione specifica per detta ipotesi. In una simile evenienza, si è affermato che si applica un doppio aumento di pena sulla pena relativa alla circostanza ad effetto speciale più grave: la prima, derivante dall’aumento dell’ulteriore aggravante ad effetto speciale ex art. 63, quarto comma, cod. pen. e la seconda, derivante dagli ulteriori aumenti (circostanza che può determinare più aumenti di pena a seconda del numero delle aggravanti comuni ritenute), con l’unico limite costituito dall’osservanza del criterio moderatore finale dettato dall’art. 66, n. 1, 2 e 3 cod. pen.” (cfr., Sez. 5, n. 1928 del 21/12/2017, dep. 2018, Boettcher, Rv. 272003-01).

Conclusivamente argomentando, in caso di sussistenza di tre aggravanti ad effetto speciale e di una ad effetto comune, il giudice dovrà:

  • individuare quale sia la più grave tre le contestate aggravanti a effetto speciale;
  • applicare sulla pena inflitta “un unico aumento per le ulteriori aggravanti ad effetto speciale

con il rispetto del limite del terzo fissato dall’art. 63, quarto comma, cod. pen., per poi procedere ad uno o più aumenti di pena obbligatori (a seconda del numero delle aggravanti comuni ricorrenti), con l’unico limite rappresentato in questo caso dalla citata previsione dell’art. 66 cod. pen.”.

Nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha correttamente individuato la violazione più grave al pari degli aumenti “applicati sia in relazione alla seconda aggravante ad effetto speciale (aumento facoltativo) che per l’unica aggravante ad effetto comune (aumento obbligatorio)”, ma ha errato nel procedere all’ “ulteriore aumento di pena effettuato per l’ultima aggravante ad effetto speciale stante la previsione limitativa costituita dall’art. 63, quarto comma, cod. pen., aumento di pena che, tenuto conto della misura di sanzione effettivamente irrogata in forza della considerata diminuente per il rito abbreviato, può essere eliminato in questa sede”.

Sulla scorta delle superiori considerazioni, la pena è stata rideterminata e ridotta dalla Suprema Corte in “anni tre, mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 933 di multa, previa eliminazione della frazione di pena irrogata per la terza aggravante ad effetto speciale (mesi uno, giorni dieci di reclusione ed euro 67,00 di multa)”.

Infine, l’ultimo motivo di gravame è stato reputato aspecifico e infondato posto che “la censura, diretta a contestare l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 5 cod. pen” non si sarebbe confrontata con la motivazione dell’impugnata sentenza e, soprattutto, con il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 40275 del 15/07/2021, ric. Cardellini, Rv. 282095-01, secondo cui “la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto”.

Pertanto, la censura proposta dal ricorrente non ha introdotto alcun elemento idoneo a smantellare il ragionamento giudiziale in ordine alla sussistenza della contestata aggravante non potendosi ravvisare vizi di alcun genere nel contenuto della impugnata sentenza sul punto.

 

Sez. 2, Sentenza n. 46210 del 03/10/2023 Ud. (dep. 16/11/2023) Rv. 285437-01

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