La sanzione di inutilizzabilità, che, a norma dell’art. 16-quater, comma 9, d.l. 15 gennaio 1991, n.8, convertito dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, come modificata dall’art. 14 legge 13 febbraio 2001, n. 45, colpisce le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare, non si applica alle precisazioni e alle integrazioni rese dal dichiarante a chiarimento di fatti già riferiti nei termini di legge, sempre che non indichino nuovi episodi criminosi o nuove incolpazioni.
La Prima Sezione, con la pronuncia in esame, ha reputato non sussistente la sanzione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine normativamente previsto (pari a 180 giorni dalla manifestata volontà di collaborare) se le stesse hanno unicamente a oggetto precisazioni e integrazioni al fine di chiarire i fatti già riferiti “nei termini di legge”.
La sanzione è, invece, applicabile se le precisazioni o le integrazioni abbiano a oggetto “nuovi episodi o nuove incolpazioni”.
Nel caso di specie, i ricorrenti, impugnando la sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli, lamentavano – tra i vari motivi – la violazione della norma contenuta nell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) c.p.p. in relazione alla norma contenuta nell’art. 16-quater, comma 1, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’art. 14 legge 01 febbraio 2001, n. 45, stante la avvenuta violazione della norma “posta a garanzia della corretta escussione dei collaboratori di giustizia, con conseguente vizio di illogicità della motivazione sul punto specifico”. Ciò posto, nel caso concreto, il Pubblico ministero aveva provveduto, nell’anno 2018, ad ascoltare i collaboratori (già ascoltati nell’anno 2014) e aveva provveduto a sentire i medesimi una volta trascorso il termine di centottanta giorni normativamente previsto.
Di conseguenza, le difese lamentavano la violazione della norma contenuta nell’art. 16-quater, comma 9, d.l. n. 8 del 1991, convertito in legge n. 82 del 1991 rappresentando che “l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo cui la sanzione di inutilizzabilità opera esclusivamente in fase dibattimentale, espone però il processo alle mutevoli e sospette delazioni dei collaboratori di giustizia, magari in dipendenza della fine del periodo di isolamento e, quindi, in stretto nesso di correlazione con l’aggiramento della norma”.
La situazione dianzi esposta permetterebbe ai collaboratori di giustizia di “aggirare la norma posta a tutela della veridicità e spontaneità del loro narrato”.
Difatti, nel caso di specie, secondo i ricorrenti, la argomentazione della Corte di assise di appello sarebbe illogica nella parte in cui si sostiene che “le dichiarazioni rese nel 2018 costituiscano mere integrazioni, rispetto alle precedenti propalazioni” rese nell’anno 2014.
In tal senso, le difese si dolevano della ritenuta utilizzabilità, da parte del giudice di secondo grado, di tali nuove dichiarazioni pur essendo ampiamente decorso il termine pari a 180 giorni dalla manifestazione di collaborare.
Ciò posto, la Suprema Corte, non ha condiviso la tesi difensiva, rappresentando che la norma contenuta nell’art. 16, comma quarto, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45 – che si occupa della inutilizzabilità delle propalazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di 180 giorni decorrenti dalla data di manifestazione della volontà di collaborare con la giustizia – non è applicabile nel caso in cui le dichiarazioni si sostanzino in semplici precisazioni o integrazioni rispetto a fatti precedentemente ricostruiti dal collaboratore medesimo.
Pertanto, la sanzione prevista dal citato art. 16 “non riguarda le dichiarazioni che siano state sollecitate soltanto ai fini della ulteriore delucidazione, rispetto a episodi già riferiti e compiutamente ricostruiti — sotto il profilo storico e oggettivo – entro l’arco temporale fissato dalla norma”.
Invece, le dichiarazioni sono inutilizzabili se le medesime vengono rese in epoca successiva e “(disvelano) fatti delittuosi nuovi e diversi, o magari (fanno) riferimento a nuovi soggetti responsabili degli episodi già denunciati” (cfr. Sez. 1, n. 9070 del 03/02/2011, Bidognetti, Rv. 249605, secondo cui: <<La previsione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaborante decorsi i centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare non si applica a quelle dichiarazioni rese come precisazione ed integrazione, che siano state sollecitate dagli organi inquirenti a chiarimento ulteriore degli episodi già riferiti nei termini di legge, sempre che non conducano ad individuare episodi criminosi nuovi e diversi o ulteriori soggetti responsabili degli episodi già denunciati>>; conf. Sez. 2, n. 16619 del 13/03/2008, Battaglino, Rv. 239796 e Sez. 1, n. 13697 del 08/03/2007, Torni, Rv. 236363 secondo le quali: <<Il divieto di utilizzabilità delle dichiarazioni “contra alios” rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dall’inizio della collaborazione è limitato alle dichiarazioni su episodi e soggetti diversi da quelli che hanno formato oggetto delle precedenti rivelazioni>> ).
Pertanto, la Suprema Corte ha rigettato i ricorsi rilevando la correttezza dell’impianto argomentativo della sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli secondo cui le “nuove” dichiarazioni erano da intendersi mere integrazioni rispetto al nucleo centrale delle propalazioni dei collaboratori di giustizia e, pertanto, pienamente utilizzabili stante la corretta applicazione sia della norma di riferimento sia dei principi di diritto stabiliti dal Supremo Collegio.
Sez. 1, Sentenza n. 45336 del 14/07/2023 Ud. (dep. 10/11/2023) Rv. 285508-01
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