Il Commento di Michele Bontempi – penalista Foro di Brescia.
In aula incatenata mani e piedi, senza traduzione degli atti del processo e senza poter esaminare la prova dell’accusa.
Sembrano immagini che provengono da un lontano passato, invece no, in uno Stato europeo, Ungheria, oggi una cittadina italiana è stata trasferita dal carcere, dove si trova reclusa da qualche mese, all’aula del Tribunale con le mani e i piedi incatenati tirata da una guardia penitenziaria con una catena. C’è di più: in aula il suo avvocato eccepisce la mancata traduzione degli atti in italiano e la mancata possibilità – ancora oggi – di visionare la prova video contro la sua assistita.
In piena Europa ci sono ancora Stati che celebrano i processi secondo pratiche autoritarie e calpestando le più basilari garanzie.
Questo lo si può fare in maniera palese (come in questo caso) o più subdola (come può accadere negli Stati più “occidentali”, come il nostro), ma certamente una donna portata davanti al giudice come se fosse un animale incatenato è una immagine che non vorremmo più vedere.
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