Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione, la gravità dei reati commessi dal condannato, salvo che non sia connotata da un disvalore talmente elevato da elidere ogni altro elemento positivo di giudizio, non può esaurire sic et simpliciter lo spettro di valutazione della pericolosità sociale dell’istante, essendo indispensabile esaminare anche il comportamento tenuto nel periodo successivo alla commissione delle condotte illecite presupposte, in un contesto prognostico ispirato al principio di gradualità del trattamento rieducativo (fattispecie relativa alla concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali).
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso della difesa, ha osservato che il Tribunale di sorveglianza di Roma, per giustificare il diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale richiesto dal condannato, faceva riferimento alla sua condizione di soggetto pregiudicato e all’assenza di prospettive lavorative adeguate a favorire il reinserimento sociale dello stesso.
In questa cornice la Corte ha rilevato che, ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione, la gravità dei reati commessi dal condannato, salvo che non sia connotata da un disvalore talmente elevato da elidere ogni altro elemento positivo di giudizio, non può esaurire sic et simpliciter lo spettro di valutazione della pericolosità sociale dell’istante, essendo indispensabile esaminare anche il comportamento tenuto nel periodo successivo alla commissione delle condotte illecite presupposte, in un contesto prognostico ispirato al principio di gradualità del trattamento rieducativo (Sez. 1, n. 10026 del 04/06/2018, A., Rv. 274513 – 01; Sez. 1, n. 20551 del 04/02/2011, D’Ambrosio, Rv. 250231 -01).
Deve, invero, evidenziarsi che, nel caso di specie, non risulta effettuata dal Tribunale di sorveglianza di Roma un’adeguata verifica sull’idoneità trattamentale della misura alternativa alla detenzione richiesta dal condannato rappresentate dalla detenzione domiciliare, attraverso un vaglio complessivo della sua personalità, del percorso rieducativo intrapreso dopo l’inizio dell’esecuzione della pena e delle prospettive lavorative del condannato. Tale verifica giurisdizionale, peraltro, si imponeva alla luce degli elementi positivi introdotti dalla difesa del ricorrente che aveva depositato la dichiarazione di disponibilità di (omissis) ad assumere lavorativamente il condannato presso la sua ditta individuale.
Ne discende che il provvedimento impugnato, sul piano motivazionale, non appare fondato su un giudizio prognostico adeguato alla personalità del condannato, tenendo presente che le misure alternative alla detenzione non presuppongono una completa emenda e una totale esclusione della pericolosità sociale, che, invece, costituiscono l’obiettivo del processo di rieducazione, ma postulano, più limitatamente, l’esistenza di elementi positivi dai quali si possa desumere l’intrapresa del percorso rieducativo e una ragionevole prognosi di reinserimento sociale del condannato; elementi positivi che, laddove introdotti nell’intesse del ricorrente devono essere esaminati analiticamente dal Tribunale di sorveglianza, che deve dare conto, sia positivamente sia negativamente, delle prospettive di reinserimento sociale connesse da tali elementi.
Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza della Suprema Corte, alla quale il Tribunale di sorveglianza di Roma non si conformava, secondo cui, ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione, pur non “potendosi prescindere dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva” (Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, Incarbone, Rv. 264602 01).
Cass. Pen. sez. I n. 373 del 27 ottobre 2023 (dep. il 4 gennaio 2024).
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