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In tema di reati contro la persona è configurabile il delitto di tortura, aggravato ai sensi dell’art. 613-bis, comma quarto, cod. pen. nel solo caso in cui le lesioni personali conseguite alla condotta incriminata non siano state volute dall’agente, realizzandosi, in caso contrario, un concorso di reati.

Con il ricorso la difesa lamentava, tra le altre cose, l’erronea applicazione della legge penale per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il delitto di cui all’art. 613-bis cod. pen. senza considerare: a) che l’azione si era svolta nel giro di pochi minuti, in un unico contesto spazio-temporale, con la conseguenza che non era ravvisabile una reiterazione di condotte; b) che non era stato posto in essere un trattamento particolarmente inumano o degradante per la dignità della persona poiché l’ammanettamento aveva rappresentato un – sia pur non consentito – mezzo di contenzione, volto a neutralizzare eventuali atti violenti auto ed etero-diretti da parte del detenuto, inevitabilmente molto agitato dopo i fatti; c) che le sofferenze lamentate dalla persona offesa non potevano essere qualificate come acute, dal momento che si erano sostanziate in lesioni guaribili in quindici giorni. Sosteneva ancora la difesa la erronea applicazione della legge penale, con riferimento al mancato assorbimento del reato di lesioni nella circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 613-bis cod. pen.

 

La Corte ha respinto il ricorso chiarendo innanzitutto che il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della liberta individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 01). Nel caso di specie, sarebbe sufficiente osservare che, dopo la violenta aggressione, il detenuto è stato lasciato in cella, ammanettato e in mutande per dare conto della gravissima lesione della dignità che è stata consumata nei suoi confronti da parte di chi, proprio perché rappresenta lo Stato, è più di ogni altro chiamato a rispettare la personalità di coloro che sono posti in condizioni di restrizione della libertà personale e affidati alla custodia e al controllo delle Istituzioni. Ma deve aggiungersi che, ai fini dell’integrazione del delitto di tortura di cui all’art. 613-bis, comma primo, cod. pen. (e, naturalmente, ferma restando la necessità che ricorrano gli altri elementi costitutivi della fattispecie), la locuzione “mediante più condotte” va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 01, la quale ha, altresì, precisato che la crudeltà della condotta si concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalità causale, che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto).

 

Va poi ribadito che il “trauma psichico verificabile“, previsto dall’art. 613-bis cod. pen. non deve necessariamente tradursi in una sindrome duratura da “trauma psichico strutturato” (PTSD) e può consistere anche in una condizione critica temporanea che risulti, per le sue caratteristiche, non integrabile nel pregresso sistema psichico della vittima, sì da minacciarne la coesione mentale e di tale condizione la norma richiede l’oggettiva riscontrabilità, che non esige necessariamente l’accertamento peritale, né l’inquadramento in categorie nosografiche predefinite, potendo assumere rilievo anche gli elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dal suo comportamento successivo alla condotta dell’agente e dalle concrete modalità di quest’ultima (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 02).

Sotto altro e concomitante profilo la Corte rileva che l’interpretazione, letterale e sistematica, del quarto comma dell’art. 613-bis cod. pen. orienta verso l’individuazione di un’ipotesi di reato aggravato dall’evento (che le lesioni costituiscano elemento circostanziale, non necessario ai fini del perfezionamento del reato base, è affermato in motivazione da Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 0). In altri termini, la previsione normativa mira non già ad attenuare, sul piano della dosimetria della pena, anche per effetto del possibile giudizio di bilanciamento, le conseguenze discendenti da un‘azione dolosamente diretta, come nella specie, a provocare lesioni, ma solo ad aggravare la risposta sanzionatoria al verificarsi, quale conseguenza non voluta dell’azione, delle lesioni stesse. Anticipando i risultati dell’analisi, si osserva che la diversa scelta del quinto comma dello stesso art. 613-bis cod. pen. di differenziare il caso in cui la morte sia una conseguenza non voluta da quello in cui sia una conseguenza voluta non è affatto incompatibile con l’analisi della struttura variabile dei cd. reati aggravati dall’’evento (per un’ipotesi contravvenzionale, v., ad es., l’art. 689, quarto comma, cod. pen.), espressione dietro la quale si unificano soluzioni sanzionatorie diversificate e non sempre frutto di un meditato inquadramento sistematico.

 

Ai fini del decidere, sostiene la Corte, si rileva che non è in discussione che l’evento delle lesioni rientrasse nel fuoco del dolo degli agenti. Il ricorrente contesta principalmente di avere partecipato all’azione criminosa; in ogni caso, la condotta degli agenti, secondo la puntuale ricostruzione dei giudici di merito, era finalizzata a provocare lesioni, come dimostrano i ripetuti colpi inferti anche con uno strumento in ferro. In questa sede, pertanto, non si pone direttamente il problema di scandagliare i profili controversi che caratterizzano la concreta applicazione delle norme con le quali il legislatore prevede la punibilità di un comportamento, comminando una sanzione penale più grave, se da siffatto comportamento derivi un evento tipico (in particolare, se l’accadimento ulteriore sia circostanza aggravante o elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie incriminatrice, con le conseguenze in tema di criteri di imputazione soggettiva o di possibilità di operare il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen.).

 

Il tema centrale è rappresentato dal fatto che le varie previsioni ricondotte alla mobile categoria dei reati aggravati dall’evento sono state dalla dottrina classificate in varie ipotesi: 1) i reati aggravati da un evento necessariamente voluto (ad es., art. 243, secondo comma, cod. pen.; 286, secondo comma, cod. pen.; art. 434, secondo comma, cod. pen.; art. 642, secondo comma, cod. pen.; 2) i reati aggravati da un evento che indifferentemente può essere o non voluto (ad es., il delitto di calunnia, aggravato se dal fatto deriva la condanna dell’innocente ad una determinata pena: art. 368, terzo comma, cod. pen.); 3) i reati nei quali l’evento non può essere voluto poiché il reato base ha struttura colposa (ad. es., art. 452, in relazione all‘art. 449, secondo comma, cod. pen.); 4) i reati aggravati da un evento necessariamente non voluto, in quanto, se fosse voluto, si realizzerebbe il perfezionamento di un‘autonoma fattispecie incriminatrice dolosa (ad es., art. 571, secondo comma, cod. pen.; 572, secondo comma, cod. pen.; 588, secondo comma, cod. pen.).

 

Proprio quest’ultima ipotesi rivela, peraltro, che la ricostruzione del significato delle diverse previsioni si correla, oltre che con profili strutturali, con il problema del concorso apparente di norme incriminatrici. Sul piano letterale, il quarto comma dell’art. 613-bis in esame focalizza la sua attenzione sulla «derivazione» delle lesioni dai fatti di cui al primo comma, in tal modo sottolineando la centralità del nesso eziologico tra condotta ed evento ed esprimendo una scelta finalizzata ad isolare l’ipotesi dal caso in cui le lesioni, ben più intensamente che essere il mero termine di un processo causale, costituiscano oggetto della rappresentazione e volontà dell’agente. Sul piano sistematico, la finalità di inasprire il trattamento sanzionatorio, per il caso che dai «fatti di cui al primo comma» derivi l’evento delle lesioni, ossia una conseguenza, per quanto sopra detto, non necessaria ai fini del perfezionamento della fattispecie incriminatrice-base, è incompatibile con l’intenzione del legislatore di provocare l’assorbimento del delitto doloso di lesioni in quello di tortura, rendendolo un mero elemento circostanziale.

 

In altri termini, proprio l’esistenza di un‘autonoma fattispecie dolosa, in difetto di indici normativi diversi e, anzi, tenuto conto delle finalità di colmare una lacuna nell’ordinamento stigmatizzata dalla giurisprudenza sovranazionale (v., ad es., Corte EDU, 22 giugno 2017, Bartesaghi Gallo e altri c. Italia, in particolare, par. 121, che richiama le conclusioni della propria giurisprudenza nella sentenza Cestaro c. Italia, 7 aprile 2015), dimostra che la previsione del quarto comma dell‘art. 613- ter cod. pen. va intesa, pur in assenza di alcuna limitazione esplicita, come circoscritta al caso delle lesioni non volute.

 

In caso contrario, si realizzerà un concorso di reati. A diverse conclusioni non conduce la previsione, nel quinto comma, dell’esplicita distinzione, per l’ipotesi del verificarsi dell’evento morte, tra il caso in cui esso non sia voluto e il caso nel quale sia voluto. La differenziazione normativa, pur sollevando, per quest’ultima ipotesi, criticità che in questa sede non occorre esaminare per difetto di rilevanza (basti pensare alla singolarità dell’attribuzione dolosa dell’evento ulteriore, che sembra collocare la previsione al di fuori della categoria dei delitti aggravati dall’evento, e alle questioni di svilimento dell’esigenza di protezione di beni fondamentali, quali potrebbero scaturire dalla possibilità di operare il giudizio di bilanciamento tra circostanze, finendo per rendere applicabile, per un omicidio volontario la più ridotta pena base prevista dall’art. 613-ter cod. pen.), per la prima ipotesi prevede senz’altro un inasprimento sanzionatorio rispetto alle conseguenze scaturenti dall’art. 586 cod. pen.

E non c’è dubbio che non è necessario soffermarsi sui dubbi di razionalità del quinto comma dell’art. 613-ter cod. pen., essendo sufficiente, a livello sistematico, prendere atto che da esso non può trarsi alcuna implicazione sulla lettura del precedente quarto comma, nel senso che l’esplicita distinzione operata tra evento morte voluto e non voluto non rende il silenzio sul punto del quarto comma come significativo dell’irrilevanza della volontà dell’agente rispetto alle lesioni. Esattamente, pertanto, la Corte territoriale ha confermato l’attribuzione del delitto di lesioni, oggetto della consapevole e volontaria azione dei correi.

 

Cass. Pen. sez. V n. 1243 del 20 dicembre 2023 (dep. 10 gennaio 2024)

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